Licorice Pizza, il filmino di famiglia degli anni Settanta di Paul Thomas Anderson

Una storia d’amore tenera e impossibile tra un quindicenne e una donna di venticinque. Il nuovo film del regista americano guarda al tempo e ai luoghi della sua infanzia. Tre nomination all’Oscar, dal 17 marzo in sala

Licorice Pizza

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Forse è un filmino di famiglia Licorice Pizza. Un ritorno a casa prima di tutto, alla San Fernando Valley nella contea di Los Angeles in cui il regista Paul Thomas Anderson è nato (nel 1970) e cresciuto. E gli anni Settanta, per la precisione il 1973, sono il periodo in cui è collocata la storia del film. Un ritorno a casa anche in termini cinematografici, visto che nella Valley erano ambientati sia Magnolia che Ubriaco d’Amore. È intimo Licorice Pizza anche nel riferimento del titolo, omaggio a una catena di negozi di dischi del sud della California di quell’epoca.

E non c’è nulla di più famigliare dei due protagonisti. Anderson sceglie due non divi, anzi due non attori – come succede coi filmini casalinghi –, alla loro prima prova cinematografica. Lui, nella parte del quindicenne Gary Valentine, ingenuo e spavaldo, caotico e pragmatico, è Cooper Hoffman (comunque un po’ troppo adulto per la parte), figlio maggiore di Philip Seymour Hoffman, attore feticcio e amico di Anderson, tragicamente scomparso nel 2014. Lei, la Alana Kane venticinquenne di cui Gary s’innamora contro ogni regola e logica, è Alana Haim, una delle componenti, insieme alle due sorelle, del complesso musicale HAIM.  Complesso di cui Anderson sì è appassionato al punto da dirigere molti dei loro videoclip (e forse per capire certe scelte stilistiche di Licorice Pizza potrebbe essere utile guardarsene qualcuno). Scoprendo poi casualmente, ecco l’elemento familiare, che la loro madre era stata sua insegnante d’arte in una scuola a Studio City, sempre nella San Fernando Valley, ovviamente.

E, se non da superotto casalingo, perché naturalmente è curatissima, restituisce una sensazione che sa di antico la fotografia del film (dello stesso Anderson e Michael Bauman), insieme luminosa e morbida, calda e accogliente, rimandando anch’essa al cinema degli anni Settanta. Lo stesso periodo che raccontava Vizio Di Forma, film situato agli albori del decennio che però di quell’epoca voleva essere un disilluso epicedio.

Mentre Licorice Pizza è accarezzato da un sentimento struggente, quel tempo settantesco vuole raccontarlo nella sua sorridente svagatezza, ritraendo sì anni scombiccherati e sbilenchi, e tuttavia abitati da protagonisti esuberanti, per i quali la vita è ancora un’avventura ricca di opportunità, che merita d’essere sperimentata fino in fondo. E Anderson li descrive con un senso di partecipazione affettuosa – proprio perché gli sono così vicini, familiari –, ben lontana dalla visione disseccata, cerebrale, cupa di tutti quei suoi personaggi bigger than life, dal petroliere Daniel Plainview al carismatico Lancaster Dodd di The Master allo stilista dell’élite britannica Reynolds Woodcock de Il Filo nascosto, sigillati nella loro incomprensibile introversione, nelle loro ossessioni.

Il cinema del nuovo millennio di Anderson è stato tutto caratterizzato da figure enigmatiche che costruiscono relazioni contorte: Daniel col predicatore Eli, Lancaster col reduce di guerra sociopatico Freddie, Reynolds con la musa inquietante Alma. Niente che assomigli a un autentico calore in questi rapporti, compressi dentro dinamiche irrigidite e vagamente disumane. Dall’altro lato invece, pur nei continui alti e bassi di una vicenda sentimentale che sembra non dover cominciare mai, stante la grande differenza di età che spaventa e imbarazza Alana, Licorice Pizza mette in scena due ragazzi vivacissimi, ripresi sempre in movimento, di corsa, in sequenze costruite come tante vignette una accostata all’altra, che mantengono un forte sapore di improvvisazione, apparentemente senza troppi assilli di sceneggiatura.

Poi, a vederla bene, la sceneggiatura, pure quella firmata dal regista, c’è, in una mescolanza di pezzi di storia personale e pezzi di cinema. Per cui Gary è esemplato su Gary Goetzman, amico di Anderson, oggi socio di Tom Hanks, all’epoca attore bambino tra i protagonisti di Appuntamento Sotto Il Letto con Lucille Ball, poi imprenditore precocissimo in settori bizzarri che Licorice Pizza racconta, dai materassi ad acqua alle sale da gioco coi flipper. Il Jack Holden di Sean Penn che recita battute pure nella vita privata richiama più o meno il divo William Holden; lo scatenato sessuomane Jon Peters di Bradley Cooper è il parrucchiere che grazie a Barbra Streisand divenne un produttore cinematografico; Joel Wachs (Benny Safdie), nel cui staff Alana a un certo punto entra, è stato per trent’anni una figura di rilievo nella scena politica di Los Angeles, e nel 1973 tentò davvero la scalata, fallimentare, alla poltrona di sindaco.

Non per questo Licorice Pizza si trasforma in un affresco d’epoca o in uno stantio giochino su chi è chi. No, Anderson resta fedele alla piccola dimensione del filmino familiare, all’interno del quale queste figure hanno ruoli da comparse, che gli consentono parentesi gustose, divertenti, paradossali. I protagonisti, gli unici inseguiti nel loro laborioso e tortuoso arco narrativo, sono sempre Gary e Alana. Dalla prima scena, un magnifico piano sequenza che, nell’assenza di stacchi di montaggio, fa capire subito allo spettatore come esista un legame magico tra i due che è impossibile spezzare, sino all’ultimo fotogramma del film.

Certo Licorice Pizza nella sua progressione ondivaga e sussultoria pare perdere continuamente pezzi, sconfinando nell’episodicità. Come succede al camion rimasto a secco che Alana è costretta a guidare in retromarcia lungo una pericolosa discesa, anche il film rischia di restare senza benzina e deragliare nella sua folle corsa all’incontrario. Almeno, da spettatori sappiamo che, per una volta nel cinema spesso così serioso di Anderson, possiamo confidare in un grazioso lieto fine. Che però, beninteso, è il lieto fine di un filmino d’epoca riesumato dagli anni Settanta, rivisto dopo decenni con la consapevolezza che niente del genere può accadere nel cinema o nel mondo d’oggi. Il che rende l’operazione di Licorice Pizza, più che nostalgica, malinconica e, sotto sotto, non proprio allegra.

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