Il Male Non Esiste, la purezza e la moralità dello sguardo dell’Orso d’Oro a Berlino 2020

Il regista iraniano Mohammad Rasoulof, osteggiato dal regime, firma quattro episodi sulla pena di morte. Un film a tema in cui la condanna del regime non fa velo alla bellezza di un paese indimenticabile. In sala dal 10 marzo

Il Male Non Esiste

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Il Male Non Esiste ha il pregio della (apparente) semplicità. Il regista Mohammad Rasoulof sceglie un tema principale, la pena di morte e la responsabilità di fronte alle scelte individuali. E lo declina in quattro episodi in forma di apologo, che offrono un ritratto articolato dell’Iran contemporaneo, con uno stile depurato senza vistose marche d’autore, sempre radicato alle esigenze della narrazione e della rappresentazione chiara e distinta, ma al contempo problematica, della realtà.

Il Male Non Esiste esce solo adesso nei nostri cinema, dal 10 marzo, distribuito da Satine Film, dopo aver vinto nel 2020 l’Orso d’Oro al festival di Berlino. Un premio che Mohammad Rasoulof non ha potuto ritirare personalmente, lasciando l’incombenza alla figlia Baran (protagonista dell’ultimo episodio), perché, a dispetto dell’inesausta vitalità del cinema iraniano, il paese è sotto la cappa di una pesante censura, di cui Rasoulof è stato a più riprese vittima, prima condannato nel 2010 a sei anni di reclusione poi ridotti a uno, poi dal 2017 impossibilitato a lasciare il paese con l’accusa di fare propaganda antigovernativa. Da allora la sua attività di cineasta indipendente si è fatta sempre più complessa, secondo un destino che condivide con altri artisti come l’amico e collaboratore Jafar Panahi.

Il Male Non Esiste è un affresco che tiene insieme la vita di città e quella rurale, ruoli maschili e femminili, riuscendo allo stesso tempo a contemperare il realismo di fondo con l’uso accorto dei generi, dal melodramma al thriller, che mantengono viva la tensione e suscitano nello spettatore domande e aspettative che lo trascinano sino al finale che, sempre, contiene una rivelazione che ribalta le premesse.

Cos’è che rende singolare la vita del protagonista del primo episodio, “Il Diavolo non esiste”? Heshmat è un padre di famiglia dall’aria mite, lo vediamo svolgere premuroso tutte le incombenze quotidiane, s’occupa amorevolmente dell’anziana madre, va a prendere a scuola la figlia, è sempre accanto alla moglie talvolta un po’ petulante. Ma che lavoro svolge esattamente quest’uomo? Lo capiamo solo in conclusione, quando alla descrizione dilatata di momenti quotidiani apparentemente insignificanti si sostituisce la rivelazione tagliente della verità, che ha a che vedere con la pena di morte – in un paese in cui ancora oggi viene giustiziata una persona al giorno – e, indirettamente, la posizione che ognuno di noi prende rispetto ad essa.

È quel che accade anche a Pouya, protagonista del secondo episodio, “Lei ha detto lo puoi fare”, un militare di leva assegnato al corpo che si occupa delle esecuzioni capitali. Come potrebbe rifiutarsi di farlo, visto che in Iran solo passando attraverso il servizio militare obbligatorio si acquisisce il diritto a ottenere il passaporto, a trovare un lavoro, a vivere la propria vita?

Anche Javad è un soldato, e in “Compleanno” ha ottenuto tre giorni di licenza grazie ai quali andare a chiedere la mano della sua promessa sposa Naanà, che vive lontano dalla città, in una provincia prossima al mar Caspio. Una volta giunto trova la famiglia di lei impegnata nell’organizzazione di un funerale, per la morte di un carissimo amico di famiglia che Javad scoprirà, e sarà una rivelazione per lui drammatica, di conoscere. Che cosa ha dovuto fare esattamente il militare per ottenere la licenza?

Nel quarto episodio, “Baciami”, un medico interdetto dalla professione, Bahram, ospita nella sua casa in un villaggio sperduto dell’entroterra la nipote Darya, che vive col padre in Germania. Qui, ecco l’uso accorto del dispositivo di genere, al pubblico è chiaro sin dal primo istante che c’è un segreto che aleggia intorno alla vicenda, e che il rapporto tra l’uomo e la ragazza non è esattamente quello tra uno zio e una ventenne vistosamente occidentalizzata. Cos’è che ha spinto Bahram a rivoluzionare completamente la sua esistenza e perché è essenziale che lo racconti a Darya?

Ne Il Male Non Esiste Mohammad Rasoulof descrive i momenti qualunque della vita di ogni giorno, gesti, emozioni impercettibili dei personaggi, attraverso una radiografia del quotidiano che scolpisce e dà valore ai tempi morti. L’osservazione è minuziosa e dettagliata, con piani fissi compassati che però all’improvviso, come nel secondo episodio, lasciano il campo alla concitazione delle riprese a mano che seguono il disperato tentativo di Pouya di ribellarsi al suo destino di boia.

Si sente la forza di sceneggiature attentamente costruite che scandiscono i passaggi narrativi sino ai colpi di scena, che però convivono con sequenze che si limitano a registrare frammenti di realtà che potrebbero sembrare insignificanti. Lo sguardo della macchina da presa trova sempre la giusta distanza, talvolta cercando l’intimità della vicinanza coi protagonisti, altre volte, come nell’inquadratura finale dell’ultimo episodio, assumendo il respiro maestoso di campi lunghissimi che ricordano, per quella capacità di restituire interrogativamente la complessità del reale, il cinema di Abbas Kiarostami.

Grazie all’attenta ma impercettibile cura formale – che non diventa mai formalismo –, Il Male Non Esiste è un film a tema che non scade mai nel film a tesi. È chiara la volontà di indagare la questione essenziale della pena capitale, per l’Iran e non solo, per rilanciare una domanda, “che fare?”, intesa non astrattamente, bensì quale interrogativo che ci implica come persone e cittadini. Il caleidoscopio di storie forse pure collegate l’una all’altra – i protagonisti dell’ultimo episodio potrebbero benissimo essere quelli del secondo invecchiati di vent’anni – elimina qualunque rischio di didascalicità del messaggio.

E la purezza dello sguardo riesce a tenere insieme la requisitoria contro lo stato autoritario con l’amore viscerale per l’Iran, del quale ogni inquadratura racconta la commovente bellezza. Così lo spettatore deve confrontarsi con un sentimento, se non ambiguo, misto, nel quale alla inequivoca condanna del regime e di certi comportamenti s’accompagna lo struggimento per alcuni personaggi, e per un paese, indimenticabili.

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