“Noi”, l’America di fronte allo specchio nell’horror politico di Jordan Peele

Una lucida allegoria che usa il genere orrifico per parlare di razzismo, disuguaglianze, lotta di classe

Noi - Us

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C’è notevole attesa per il terzo film di Jordan Peele, Nope, uscita prevista il prossimo luglio, di cui si sa ancora pochissimo, dai protagonisti, Daniel Kaluuya, Keke Palmer, Steven Yeun, al fatto che si tratterà sempre di un horror. Un genere che, sin dall’esordio di Scappa – Get Out, è il dispositivo narrativo che questo regista nato attore comico e divenuto nome di punta del nuovo cinema statunitense – anche premio Oscar per la sceneggiatura originale nel 2018, primo nero della storia –, ha scelto per la sua riflessione contropelo, graffiante e politica sull’America contemporanea, della quale da artista di colore pone in luce razzismo, disuguaglianze, esplosivi conflitti di classe.

Assolutamente imperdibile perciò stasera è la visione in prima tv su Italia 1 di Noi – Us, sua opera seconda, in cui il telegrafico titolo originale richiama scopertamente le iniziali di Unites States, immediatamente dichiarando l’ambiziosa volontà allegorica di riflessione a largo raggio sul carattere del paese. Infatti il film comincia con un prologo ambientato nel 1986, quando si svolse “Hands across America”, sorta di flash mob ante litteram in cui milioni di persone si unirono in una catena umana da una costa all’altra per raccogliere fondi per i senzatetto. Immagine positiva, confortante e pubblicitaria della bontà di una nazione solidale legata in un nutriente abbraccio collettivo.

Sotto però, cova ben altro. Lo rivela l’inquietudine che attanaglia la piccola Adelaide, che in quello stesso anno, durante le vacanze d’una famiglia della buona borghesia nera, esce dalla casa degli specchi di un luna park atterrita dal fatto di avervi incontrato una bambina uguale a lei, un suo autentico doppio. Gli anni passano e il trauma, fortunatamente, sembra essersi assopito. Al giorno d’oggi Adelaide (da adulta una eccellente, energetica Lupita Nyong’o) è divenuta moglie di Gabe Wilson (Winton Duke) e madre di due bambini, con una splendida famiglia benestante che decide per le vacanze di tornare sui luoghi dell’infanzia. E lì l’antico e mai confessato turbamento riaffiora.

Quattro sinistri figuri vestiti con tute rosso sangue e armate di forbicioni fanno irruzione nella casa dei Wilson. Fisicamente gli invasori sono la copia esatta dei padroni di casa, di cui però costituiscono una versione incattivita, selvaggia, inquietante. Chi sono? “Siamo americani”, risponde la donna con un tono ferino, agghiacciante. Non si sa perché, vogliono ammazzarli. I Wilson si difendono come possono, in un crescendo di violenza sempre più crudele.

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In men che non si dica, i doppi aumentano di numero e con loro la minaccia lungo tutto il paese, stretto nell’abbraccio mortale di una violenza che coinvolge qualunque città, in cui non si fa distinzione tra uomini e donne, bianchi e neri, ricchi e poveri. Le “ombre”, come vengono chiamate, cominciano a formare una catena come quella del 1986, con ben diversi, sebbene oscuri obiettivi. Perché sta accadendo tutto ciò? La risposta è legata al misterioso incontro di Adelaide col suo doppio di trent’anni prima.

Con Noi – Us Jordan Peele amplia la riflessione di Get Out, che metteva in luce le ipocrisie di una borghesia bianca a parole progressista e invece ideologicamente e psicologicamente razzista. Stavolta punta a un affresco critico sulla nazione, per raccontare le pulsioni sotterranee che costituiscono l’ossatura dell’identità americana. Il film, allo stesso modo dell’esperienza traumatica vissuta dalla piccola Adelaide, pone il paese di fronte all’immagine di sé stesso, al proprio doppio deformato, per far comprendere di che pasta è fatto davvero.

L’allegoria è scoperta, ma la bellezza di Noi – Us è legata al fatto di operare come un racconto interpretabile a diversi livelli. Accanto al sottotesto marcatamente politico, infatti, una citazione dalla Bibbia, il passo di Geremia 11.11 – “Così parla l’Eterno: ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò” – regala all’insieme delle sfumature metafisiche. Come se quella violenza rappresentasse la punizione che l’umanità subisce per una colpa originaria, una incomprensibile ma meritata apocalisse in terra.

Il tema del doppio, caratteristico della letteratura di ogni tempo e del cinema, invita a moltiplicare i piani di lettura. L’immagine dell’altro uguale a noi è come il viaggio di Alice attraverso lo specchio, e nel film, infatti, abbondano i coniglietti, cui i doppi sono legatissimi. I Wilson sono come un dottor Jekyll obbligato a confrontarsi improvvisamente con mister Hyde, la sua parte inconscia, aggressiva e desiderante. E il desiderio che le ombre mostrano per gli oggetti della società consumista posseduti dai Wilson e dalla società americana tutta, fa pensare che accanto a Freud ci sia anche Marx. E che dunque quella di Noi – Us non sia soltanto una lotta per la vita, ma una lotta di classe tra il felice mondo di sopra e l’espropriato mondo sotterraneo in cerca di rivincita.

La tensione di Noi – Us resta altissima fino a quando il mistero si scioglie e gli straordinari accadimenti trovano una spiegazione logica – non molto convincente – che depotenzia l’inquietudine metafisica, riportando l’imperscrutabile Male assoluto a una dimensione più comprensibile. Affiorano suggestioni e prestiti da classici come L’Invasione Degli Ultracorpi di Don Siegel, Il Corridoio Della Paura di Samuel Fuller o gli zombi di Romero da cui si mutua l’uso in chiave politica del genere orrifico. Le citazioni però sono riscattate dalla lucidità dell’apologo, dalla capacità di non far scadere mai l’horror nella facilità dell’effetto splatter, dalla ricercatezza di un’impaginazione visiva attenta ai dettagli (cromatismi, rituali della violenza, forbici, conigli).

Resta su tutto il radicalismo di un film in cui, sporgendosi attraverso lo specchio, gli eroi si scoprono simili ai loro persecutori, ostaggi della medesima efferatezza sadica, in cui sbiadisce la distinzione tra buoni e cattivi. L’ambiguità delle atmosfere mette a dura prova le certezze del sogno americano, lasciando lo spettatore alle prese con interrogativi tutt’altro che rasserenanti su quali siano le reali colpe e chi i veri colpevoli.

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