Belli Ciao, Pio e Amedeo e l’impossibilità di essere Checco Zalone

Diretti dallo storico partner di Zalone, Gennaro Nunziante, il duo di comici pugliesi cerca la via di una commedia sulfurea sui nostri tempi e sull’eterno incontro-scontro tra Nord e Sud. Ma manca la cattiveria della vera satira

Belli Ciao

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Che l’operazione di Belli Ciao con Pio e Amedeo occhieggi al difficilmente replicabile modello di Checco Zalone è inevitabile pensarlo. Alla macchina da presa infatti c’è Gennaro Nunziante (che firma anche la sceneggiatura insieme ai due protagonisti), vale a dire il regista dietro tutti i progetti di Zalone, prima della separazione di Tolo Tolo. Identico è anche il meccanismo alla base del dispositivo comico, che seguendo la stessa logica di Cado dalle Nubi e Che Bella Giornata, i primi due film della coppia Nunziante-Luca Medici, ruota interamente intorno al continuo confronto (scontro?) tra il meridionale trapiantato a Milano e stili di vita e ritmi meneghini. Persino la strategia commerciale è la stessa, con l’uscita in sala il primo gennaio, una scelta che nel caso di Zalone (ma stiamo parlando di un’epoca ante-Covid) diede risultati incredibili – va detto, a guardare gli incassi del primo giorno, che continua a dimostrarsi vincente, fatte le debite proporzioni, visto che Belli Ciao ha sfiorato i 500mila euro, addirittura piazzandosi davanti all’attesissimo Matrix Resurrections.

C’è più di tutto la volontà di fare una vera commedia di costume che racconti qualche brandello di paese reale – ancora una volta la ricetta Zalone. E così ecco che Pio e Amedeo li troviamo, nel paesello pugliese ovviamente baciato dal sole e dalla lentezza meridiana, quali promotori di una “comunità di recupero per meridionali che hanno vissuto a Milano”. Vale a dire tutti i cervelli in fuga che si sono fatti sedurre dal mito della carriera e del guadagno facile. I quali, dopo aver vissuto in periferie lontanissime dal centro di piazza del Duomo in microappartamenti senza finestre e dall’affitto proibitivo, mortificati da lavori sfiancanti e insoddisfacenti, convinti che bastassero gli apericena e i birignao di una lingua tutta “top” “adoro” e inglesismi vari a trasformarli in settentrionali doc, sono stati espulsi dalla tentacolare capitale dell’economia, tornando, traumatizzati e svuotati, a casa loro. Dove però a parte il sole, la suddetta lentezza e la (presunta) simpatia della gente non si capisce cosa ci sia ad attenderli in termini di futuro professionale.

Lo spunto di Belli Ciao è tutt’altro che male. E per estremizzare la dinamica Nord-Sud, Pio e Amedeo interpretano due ex amici pugliesi agli antipodi, inseparabili ai tempi della scuola, che si ritrovano dopo vent’anni. Pio s’è laureato all’università “Sboroni” (e già qui ci si potrebbe sforzare di cercare soluzioni comiche meno scontate), trasformandosi in top manager con compagna influencer da tre milioni di follower (Lorena Cacciatore) ed elettrizzante vita “liquida” con attico di design al Bosco verticale, simbolo contemporaneo di chi ce l’ha fatta.

Amedeo invece è rimasto al paese, incapace di dare corpo ai propri sogni e assuefattosi a una vita di piccolo cabotaggio, con l’ambizione però di far qualcosa per la sua terra – e infatti fa l’assessore, dovendo lottare con l’immobilismo dei compaesani, simboleggiato, è una delle trovate migliori del film, dallo sfiancante latinorum del sindaco (Giorgio Colangeli), perfetta espressione dell’inconcludenza dell’intellettuale meridionale d’una volta. Amedeo spera che proprio il tycoon Pio voglia finanziare il grande progetto di riqualificazione del paese. E il suo viaggio a Milano per cercare di convincerlo si trasforma in un corso accelerato di contemporaneità. Da un lato facendosi entusiasmare dagli aspetti di una vita brillante e affluente, piena di opportunità, consumi, incontri. Dall’altro, grattando la superficie, scoprendone anche il lato oscuro.

Belli Ciao qualche piccolo rischio nella costruzione del racconto se lo prende. Per esempio, disegnando il disamore di fondo della famiglia pugliese di Pio. Con lui che  senza pensarci due volte spedisce gli anziani genitori (buono il recupero della caratterista Gegia come madre) in una famigerata casa di riposo. E loro che lo ripagano con una ferocia anaffettiva e una grettezza che spinge a porsi qualche interrogativo sul supposto calore umano dei meridionali. E non è scontato che in un film comico delle feste ci sia addirittura un tentativo, per quanto edulcorato, di suicidio.

In Belli Ciao lo sforzo principale di Gennaro Nunziante, assecondato dai due protagonisti, è quello di sottrarre Pio e Amedeo all’automatismo della loro maschera, cercando cioè di non fare un film di comici, ma una commedia in cui la comicità emerga dai paradossi che esplodono nel mezzo di situazioni d’impronta tutto sommato realistica. Il limite principale del film è però proprio nell’indecisione, o nell’incapacità, di trovare una giusta misura per i due interpreti. I quali mettono da parte quei tratti politicamente scorretti – e onestamente anche piuttosto facili e qualunquisti – che sono stati fino a oggi il loro marchio di fabbrica. Con il risultato però che, senza l’ingrediente della cattiveria, il dispositivo comico resta spuntato, incapace di fa ridere e graffiare davvero – e in questo restano lontani dal modello di Zalone, che la sgradevolezza “cafona” e cinica del suo personaggio non la dimentica mai.

In Belli Ciao invece Pio e Amedeo appaiono inerti e indecisi, troppo preoccupati di non dispiacere e assecondare il pubblico cosiddetto generalista. E senza lo zolfo di un autentico spirito aggressivo – accontentandosi ecumenicamente del colpo al cerchio e alla botte secondo cui, certo, tanto Milano che il Sud hanno cose buone e aspetti contraddittori – anche le ambizioni di apologo morale di questo “bentornati al Sud” di Nunziante finiscono per sgonfiarsi in una satira all’acqua di rose, che si limita a piccole notazioni sugli aspetti più superficiali, i tormentoni lessicali, le mode e i modi, senza riuscire mai a costruire un ritratto dei nostri tempi autenticamente contropelo.