A tradimento, una coltellata al cuore: a Quarta Repubblica, il programma di Nicola Porro, un servizio sui sommersi. Una ha perso il lavoro e racimola 16 euro la settimana per “fare compagnia a un’anziana” e il prete le ha dato i soldi per far studiare la figlia. L’ex detenuto, enorme, coperto di tatuaggi, non si vergogna del suo passato ma di un presente che lo rimanda a casa ogni sera a mani vuote, senza niente da offrire. In collegamento, Salvini fatica a non crollare e per una volta un politico sembra sincero. Io invece crollo senza ritegno perché ci sono passato: anche la mia famiglia, a un certo punto, trovava le centomila lire nella cassetta della posta e sapevamo che ce le aveva messe il parroco, don Febo. Una piccola azienda, una rapina, le banche che staccano l’ossigeno e ci giocammo Milano, la bella casa, la modesta dignità di una piccola borghesia consumista per ritrovarci 500 chilometri più giù, in 40 metriquadri, dentro un villaggio fantasma sul mare, di quelli che d’inverno ci restano solo i professionisti del sesso, gli spacciatori, i mafiosi da due soldi, ma sempre pericolosi, spediti dalla legge Pica a soggiorno coatto. Qui cominciavo a scrivere, fresco di laurea, e i delinquenti che incontravo in Tribunale al mattino, e di cui raccontavo, me li ritrovavo sulla porta la sera. Incazzati. Ci ho vissuto sedici anni in quella discarica di umanità, e ancora non mi spiego come ne sia potuto uscire e addirittura vivo.
Però nel nostro caso la tragedia fu personale e casuale, non era colpa di nessuno o magari colpa nostra, vai a fidarti, vai a capire. Adesso è generale. Migliaia di famiglie in fila alla Caritas, alla porta di un prete, senza futuro e senza la forza di cercarlo. E questo è il risultato non della pandemia, non dell’emergenza Covid ma, in larga parte, delle sciagurate strategie del governo di prima e di quello di adesso. Centotrentamila morti per lo più evitabili e milioni di scampati al Covid ammalati di promesse, di programmi, di progetti, di lasciapassare, di conti che non tornano, dannazione, non tornano. Aggrappati ai vincoli europei, e va bene, ma i soldi dove stanno? Quando? Il lockdown strisciante in venti mesi s’è mangiato uno dopo l’altro tutti i comparti, il commercio, le imprese, le botteghe. Trecentomila attività saltate nel 2020, tre milioni di partite Iva cancellate: davvero “siamo a un passo dall’esserne fuori”? Un passo da dove, da cosa?
Non è solo questione di vergogna, dietro ogni storia di lavoro perduto c’è una depressione familiare che corrode. Ci sono voglie di suicidio, e a volte prevalgono. C’è la perdita della salute, mentale, fisica. C’è la sconfitta di ogni fede. Ci sono macchine di terza, di quinta mano, assemblate con rottami di altre macchine, come quella che avevamo rimediato noi. Ci sono estati senza vacanze, Natali senza luci, regali strazianti tanto sono miseri, e il mare, lì a due passi, non ti serve perché non ci vai, non ne hai voglia, non hai i soldi e sederti nella merda della spiaggia libera dopo esserti trascinato due seggiole e un ombrellone arrugginito è troppo duro, troppo faticoso, troppo umiliante. Qui si rivendica il tempo libero, ma è il tempo occupato che manca, sempre di più. E senza occupazione, un essere umano non è più un essere umano, è uno scarto, la negazione di sé. Qui si prospettano auto elettriche, che costeranno 40mila euro, che avranno batterie da sostituire ogni 4 anni al costo di novemila euro, ma intanto l’elettricità raddoppia ogni due anni e il pericolo per questo inverno prematuro, visto che Greta ha deciso che c’è il riscaldamento globale, è di non potersi scaldare perché il gas costerà sangue. Però dobbiamo abituarci allo smartk working, che sarebbe lavorare per finta ma per sempre, senza staccare, sempre a disposizione. Lavorare senza mestieri, pagati di meno, a garanzie evaporate: dipendenti nei doveri, autonomi nei diritti che non ci sono. Avremo pronti dispositivi sempre più belli, sempre più potenti per operare a distanza, avremo il 5G, ma con quali soldi per acquistarli, per garantirci la connessione? Sempre più dovremo pagare per lavorare, ammesso che sia lavorare. Pagare, non essere pagati. Che capolavoro, l’ultima frontiera del mondo post, per dire che tutto, dalla società all’economia, dal sistema di valori al lavoro, è alle spalle, è superato. Ci siamo messi in mano alla Cina in anni di scelte sciagurate e presto ne constateremo le conseguenze. Ma il nostro unico problema è trovare sempre modi di incolparci, è l’autorazzismo verso un occidente che per un secolo, e dopo due guerre, ci ha permesso di crescere, di stare sempre meglio. Gli adepti di Greta ne sposano la farneticante religione improntata a fanatismo ambientale, odio al capitalismo, dirigismo, moralismo, censura, ma lo fanno servendosi dei feticci che contestano, non sono disposti a rinunciarci e non gli interessa che gli smartphone sempre più sofisticati utilizzino componenti, sostanze estratte e assemblate da coetanei schiavi il cui ciclo di vita dura dieci, al massimo dodici anni. Ma ci arriveremo anche qui.
“Mi dice come si fa con sedici euro la settimana?” chiede la signora di 55 anni ritrovatasi a spasso e riciclatasi come badante. No, non si fa, eppure bisogna farcela. In dieci milioni non ce la fanno più, uno su sei e la politica non ha soluzione, prende atto di una situazione irreversibile e dice: quello che si deve fare, ebbene che si faccia. E quando anche i preti caritatevoli saranno finiti? I sociologi della salute hanno scoperto l’acqua calda e cioè che questa sarà la prima generazione con una speranza di vita minore negli ultimi cento anni. Per forza, vivere senza certezze, con l’unica garanzia del calvario, un calvario senza redenzione, consuma di per sé; mettici i sacrifici per scaldarsi, i vestiti di scarto, gli alimenti che costano poco e avvelenano invece di nutrire, se una bottiglia di vino la paghi un euro non bevi vino, bevi una pozione chimica. Poi hai voglia a preoccuparti del vaccino, degli effetti a lungo termine. Ma chi ci arriva al lungo termine? Diceva Keynes, l’economista, che “nel lungo periodo saremo tutti morti”. Ma ormai lo siamo anche nel breve, anche nel presente. Morti che respirano, ma respirano lo smog della disperazione. Forse sono troppo cupo, troppo catastrofico nelle mie visioni, ma come essere altrimenti se vedi lo sgomento di chi ha passato quello che tu hai passato, e che in verità non è passato mai?