Mi capita abbastanza spesso di sentirmi rimproverare un atteggiamento, o meglio, un approccio troppo intellettualistico alla musica. Scrivo un pezzo, in genere sempre piuttosto articolato e complesso, e arrivano i soliti commenti che vertono suppergiù su due principi base “se una musica non ti piace non ne scrivere” e “la musica deve emozionare, sei un radical chic che vuole ostentare i proprio gusti sofisticati”. Chiaramente il secondo virgolettato è tradotto in italiano corrente da me, perché nessuno di quelli che ti accusa di tenere un comportamento figlio di intellettualismi più o meno ostentati e più o meno sinceri è in grado di concepire una frase che implichi l’utilizzo di più di quattro parole.
Ora, a prescindere dal fatto che sono cresciuto nella quarta porzione del Novecento, per cui essere intellettuali era una ambizione, non certo qualcosa di cui vergognarsi, trovo davvero singolare che per attaccare chi la pensa in maniera diametralmente opposta alla propria si debba accusarlo di voler essere sofisticato (o di esserlo), usando quella orribile definizione di Radical Chic, orribile perché, direbbe René di Boris, usata a cazzo di cane (cioè senza che a usarla sia uno scrittore completamente vestito di bianco con una certa tendenza al dandysmo e a raccontare le cose dal suo punto di vista spacciandole per oggettive). A dirla tutta trovo già sufficientemente agghiacciante che si debba attaccare qualcuno che esprime il proprio parere professionale, lo troverei agghiacciante se a farlo fosse l’artista interessato, figuriamoci se a farlo è un fan, ma credo che il punto del mio discorso sia un altro, e cioè che sia ormai definitivamente venuta meno la capacità di accettare un parere che ci attesti che abbiamo a tratti, o magari sempre, dei gusti discutibili, come se avere gusti discutibili sia una colpa poi da punire con la pena capitale e che quindi richieda una nostra difesa accesa, urlata.
Io non ho nulla contro chi ascolta musica discutibile, e non ho nulla con chi lo fa ostentatamente, ti piace coprirti di ridicolo, chi sono io per impedirtelo?, esibisci la tua licenza da clown e via, anche per questo ricorro spesso nelle mie critiche a un linguaggio poco tecnico, gioco sull’ironia, parlo d’altro per dire cose piuttosto precise, ma se poi il risultato è che passo per uno che vuole ostentare sapere come fosse un vessillo o una bandiera, beh, mi immalinconisco. Certo, sempre meglio di chi dice che critico perché rosico, e lo dico perché ritengo il concetto di rosicamento, il verbo stesso rosicare, qualcosa da cui chiunque dovrebbe prendere decise distanze, e non certo soltanto per quello che quel termine esprime, l’idea che ci debba essere invidia e frustrazione sempre e comunque mi appare abbacinante, ma già per l’estrema bruttezza del termine in sé, resta che pensare che chi scrive di musica lo faccia per dimostrare un proprio sapere, atto a distinguerlo dalla massa è qualcosa di avvilente, perché fare critica musicale è compiere un servizio, agli artisti come alla comunità, non certo una dimostrazione di forza.
Ora, a riprova che non sono un intellettualone, Dio mio, parlo come Salvini, arroccato sulle proprie conoscenze, uno che ascolta musica di nicchia, inascoltabile, e che non perde occasione per farlo sapere urbi et orbi, dovrei mettermi qui a sciorinare una dietro l’altra le canzoni discutibili che in effetti ascolto, un “ho anche amici gay”, in sostanza, traslato nel mio settore di competenze e di lavoro. Volendo, o potendo, temo, dovrei allargare il discorso anche a altri campi dell’arte, a riprova che no, non sono quello che dite voi. Romanzi di grande successo ma di riconosciuto scarso valore letterario, film di cassetta che farebbero inorridire chiunque apprezzi andando al cinema non solo la trama, ma anche il modo di metterla in scena, il linguaggio, la fotografia, programmi tv, sì, a volte anche la tv sa essere arte, che giocano su aspetti primitivi del nostro essere umani. Sarebbe un modo facile facile per scardinare certe convinzioni, probabilmente anche liberatorio, come il confessare in pubblico un proprio peccato, laddove tutti quelli che ci stanno intorno hanno già declamato la loro parte, o un alzarsi in piedi e dire il proprio nome seguito dal canonico “e sono un alcolista”, un chiedere aiuto, certo, ma anche un dimostrare che le proprie debolezze, se condivise, possono essere depotenziate, se non addirittura disinnescate.
Solo che io non ascolto musica demmerda.
Non per spocchia, non per intellettualismo, non per ostentare il mio sapere, quel che faccio in casa mia potrebbe serenamente rimanere segreto, come quei tizi che si vestono da Biancaneve e si fanno camminare sopra da dominatrici vestite da uno dei sette nani e poi si fanno deflorare da uno strap-on al canto di “Andiam andiam andiamo a lavorar”, è proprio che la dozzinalità mi infastidisce, e viva Dio posso ancora scegliere se farmene ricoprire sin sopra i capelli o tenermene a debita distanza.
Certo, vedo serie tv di cui, a bocce ferme, dovrei vergognarmi, non tanto perché giocate tutte su trame talmente banali da essere chiare sin dai primi frame, ma per i concetti che quelle trame esprimono, quel rivendicare uno spirito di giustizia che sfocia spesso in un patriottismo un tot al chilo, quel guardare al mondo come a una tavolozza dove sono presenti solo i due colori/non colori, bianco e nero, senza alcuno spiraglio all’idea che possano esistere anche i grigi, anche per quella rassicurante certezza che alla fine il bene vince sempre, rassicurante giusto dentro la trama di una serie, ma lontana anni luce dalla vita reale, quella con la quale facciamo i conti ogni giorno, di serie così ne vedo a bizzeffe, e a volte mi sparo, letteralmente, anche film che corrono sugli stessi binari, ma è una specie di stordimento che utilizzo per riuscire a estraniarmi da quel che mi accade intorno in casa, al punto che se mi chiedeste di cosa abbia parlato l’ultimo episodio visto non ve lo saprei dire, mi capita a volte di rivedere più e più volte gli stessi film d’azione senza saperlo, è come il paesaggio che corre veloce fuori dal finestrino mentre il treno vi porta altrove, ma con la musica non ci riesco, lì scattano dei meccanismi diversi, mi irrigidisco, divento radicale.
Questo non fa di me un intellettualone, intellettuale sì, credo, e credo anche che i due concetti siano limitrofi ma non coincidenti. Sono uno che ha visto almeno tre volte tutti gli episodi di S.W.A.T., per intendersi, o che ogni tanto va sulle piattaforme di film on demand a cercare se sia uscito un nuovo film come Jason Statham, io che da giovane non mi perdevo un film di Kieslowski e che consideravo James Ivory troppo commerciale, che diamine di intellettualone potrei mai essere?
Ma la musica demmerda anche no, grazie, e spero che sempre più persone sposino questa neanche troppo suggestiva teoria: già la vita è sufficientemente difficile di suo, mica pretenderete che si debba muovere il culo su un banalissimo ritmo reggaeton?