Scoprendo Forrester, salvarsi la vita con la letteratura (e con Sean Connery)

Lo scrittore di un unico capolavoro che vive recluso da decenni diventa il mentore d’un ragazzo nero di enorme talento e dalla vita complicata. Tra Will Hunting e L’Attimo Fuggente, con la regia di Gus Van Sant. Su La7 alle 21.30

Scopredo Forrester

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La cosa più divertente di Scoprendo Forrester (Finding Forrester, 2000) la notò il critico Roger Ebert, in un’inquadratura d’una pila di volumi, quelli del protagonista Jamal Wallace (l’esordiente Rob Brown), sedicenne nero del Bronx con una grande passione per la lettura. Si va da Kierkegaard a Sade, da Cechov a Mishima. I libri, spiegazzati e consumati, hanno l’aria di essere stati letti e riletti: tutti tranne Finnegans Wake di James Joyce, arcigno romanzo modernista che campeggia con la sua mole minacciosa, malinconicamente intonso. Chissà se è solo un dettaglio sfuggito allo scenografo e regista, oppure un malizioso suggerimento al lettore (lasciate perdere!), o magari la dimostrazione che nemmeno la finzione cinematografica riesce a rendere plausibile l’idea che qualcuno, spontaneamente, si sottoponga alla prova estrema dell’estremo capolavoro del grande irlandese.

L’altro dettaglio fondamentale di Scoprendo Forrester è nell’insegnamento che il protagonista William Forrester (Sean Connery), scrittore ritiratosi giovanissimo dopo aver scritto Avalon Landing, capolavoro della letteratura americana ovviamente premio Pulitzer (che in quanto a diritti d’autore deve fruttargli piuttosto bene, consentendogli di vivere senza far praticamente nulla), impartisce al giovane Jamal. Che consiste in una regoletta apparentemente semplice e nei fatti complicatissima: se vuoi scrivere devi scrivere, non pensare di scrivere. Infatti William batte a macchina con una rapidità invidiabile, non guarda nemmeno i tasti, come un pianista che segua uno spartito immaginario che è solo nella sua testa, sfornando in pochissimi minuti una cartella che, non c’è dubbio, sarà un capolavoro.

Peccato però che, con una regola che sembra un po’ quella del Fight Club, Forrester (che, a scanso di equivoci, cui non solo lui, ma pure Connery tiene tantissimo, non è irlandese come Joyce, bensì scozzese) dice a Jamal che “tutto quello che scriviamo in questo appartamento resta in questo appartamento”. Il che impedisce al ragazzo di rendere pubblici i risultati che ottiene grazie alla pedagogia rude e sbrigativa del suo mentore. E gli toglie anche la possibilità di conquistare le ragazze pavoneggiandosi col fatto di essere uno scrittore – è un’altra lezione fondamentale di Forrester, che sembra saperla lunga, quella secondo cui alle donne piaci pure se hai scritto un brutto libro, figurati uno buono.

Il tono un po’ faceto di questa recensione non vuole sottintendere che Scoprendo Forrester sia un brutto film. È però un film prevedibile, costruito sulla misura recitativa di un magnetico Sean Connery alla sua penultima prova – cosa che rende in ogni caso il film prezioso –, un lavoro di cui fu produttore, suggerendo anche come regista Gus van Sant, probabilmente per le evidenti somiglianze della sceneggiatura di Mike Rich con quella di Will Hunting – Genio Ribelle.

Scoprendo Forrester
  • Attori: Sean Connery, Rob Brown, F. Murray Abraham, Anna Paquin, Busta...
  • Regista: Gus Van Sant

La storia infatti è molto simile: lì il protagonista era Matt Damon, giovane di modestissima estrazione sociale dotato però di un talento incomparabile per la matematica, tenuto ben nascosto, qui Jamal è un ragazzo cresciuto in una famiglia senza padre che, sapendo quant’è duro il mondo, agli amici del playground mostra solo la sua bravura nel basket, conservando per sé la sua passione letteraria. Infatti a scuola va così così: purtroppo per lui lo tradiscono dei test attitudinali in cui ottiene un punteggio sbalorditivo. Questo gli apre le porte della più esclusiva e ovviamente bianchissima scuola privata di New York, la Mailor-Callow (la location è la prestigiosa Regis High School di Manhattan).

Qui sorgono quindi sia le difficolta nel rapportarsi con una realtà molto diversa dalla sua, sia la sensazione di star tradendo l’ambiente da cui proviene. A questo si somma un ulteriore ostacolo: il docente di letteratura della scuola, Robert Crawford, il quale in maniera pregiudiziale non crede che un ragazzo con quella estrazione, nero e pure ottimo sportivo, possa essere l’autore di quelle pagine magnifiche – nella parte del professore c’è F. Murray Abraham, il quale evidentemente è destinato, dopo il Salieri di Amadeus, alla parte dell’erudito pedante, che adora il vero talento ma non è in grado di riconoscerlo quando gli capita sotto il naso.

E allora ci vuole l’intervento di William Forrester, sorta di Salinger a misura di film, burbero e misterioso abitante di un condominio del Bronx da cui non esce letteralmente mai. Jamal per una scommessa con gli amici entra di soppiatto nella sua abitazione, dalla quale scappa dimenticando però lo zaino con i suoi preziosi taccuini pieni di racconti. Quando gli ritornano indietro, senza che però il ragazzo abbia visto in faccia il padrone di casa, si ritrova i quadernetti annotati dal miglior editor che sia mai esistito. A quel punto scatta, superate le resistenze dello scrittore, l’amicizia. In cui naturalmente Forrester non insegnerà a Jamal solo l’arte della scrittura, ma anche quella di vivere e di essere uomini (un grande scrittore è automaticamente anche un grand’uomo o le due cose sono indipendenti?). E poiché il mondo è più complicato e sfumato di come ce lo immaginiamo, anche Jamal ha qualcosa da insegnare al mentore. Ed entrambi sono destinati a prendersi la rivincita con Crawford, la cui colpa non è nemmeno la pedanteria, ma l’incapacità di farsi sorprendere dalla vita.

Scoprendo Forrester non è esattamente un capolavoro, ha il torto di assomigliare un po’ troppo ad altri film – tutta la parte maestro-allievo fa molto L’Attimo Fuggente – e lascia perplesso su questioni non di poco conto. Per dire, possibile che a Jamal piacciano solo scrittori occidentali bianchi? L’avessero girato oggi – ci stanno pensando, pare stiano sviluppando una serie tv ispirata al film – il suo idolo di sicuro sarebbe stato James Baldwin. E anche quell’idea muscolare e ipercompetitiva della letteratura come gara a chi scrive più veloce o a chi riconosce all’impronta quanti più scrittori possibili tradisce una visione piuttosto angusta della cultura umanistica.

Però, come si dice, il film “prende” e scorre via gradevole, grazie alla capacità di Connery di indossare sornione il suo personaggio, aiutato dalle piccole notazioni di un regista talentuoso come Gus van Sant, che qui si pone al servizio della fluidità del racconto, aggiungendo ove può la sua mano. Che è riconoscibile in quei titoli di testa dal sapore così quotidiano, che montano al ritmo del rap di un giovane poeta freestyle immagini di strada e di gente comune in quel grande caleidoscopioche è New York. E sono bellissimi i dettagli dei diari scritti con grafia fittissima di Jamal, o i vecchi libri della biblioteca d’epoca di Forrester, di cui sembra di poter sfiorare anche la polvere che gli si è depositata sopra. Ed è da questi particolari che si giudica un regista.