La scena allo stesso tempo più entusiasmante e più discutibile de L’Attimo Fuggente (Dead Poets Society, 1989) è quella in cui il professore di letteratura inglese John Keating (Robin Williams) ordina ai suoi studenti di strappare le pagine dell’introduzione del libro di testo, intitolata Understanding Poetry in cui il prefatore, col nome ovviamente inventato di J. Evans Pritchard, espone un ragionieristico metodo di valutazione che calcola forma e contenuto delle poesie come fossero quantità matematiche. I ragazzi, spiazzati e affascinati, eseguono.
Bisogna capirli quei ragazzi. Il film diretto da Peter Weir e sceneggiato da Tom Schulman, (che vinse l’Oscar ispirandosi a un professore dei suoi quindici anni), è ambientato nel 1959 all’immaginario Welton College (in realtà è la stupenda St. Andrew’s School a Middletown, Delaware), che il suo rettore definisce la migliore scuola preparatoria del paese. Il Welton è un concentrato di autoritarismo vecchio stampo, i cui pilastri immodificabili sono Tradizione, Onore, Disciplina, Eccellenza. Insomma un ambiente rigoroso, esclusivo e vagamente funebre. Proprio come quelle fotografie di studenti di un tempo che Keating invita i suoi alunni a osservare attentamente, riflettendo sul fatto che quei ragazzi in quelle immagini stinte sono ormai tutti morti. L’unica risposta allo sfiorire ineluttabile della vita è: “Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai vola e lo stesso fiore che sboccia oggi domani appassirà”, dice il professore, con le parole di una poesia di Robert Herrick, ribadite poi dal Carpe Diem di Orazio.
- Nell'autunno 1959 all'Accademia Welton, una scuola elitaria e...
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Questo è lo stile Keating, appassionato e appassionante, che prende le parole delle poesie di petto, privandole di orpelli e fardelli – la spenta contabilità di Evans Pritchard –, e le fa risuonare direttamente davanti ai ragazzi, affinché, in un esercizio antiautoritario, le facciano proprie, trovando in esse un riflesso della loro vita, angosce, domande esistenziali. E scovando in esse anche le risposte che l’arte, attraverso bellezza e creatività offre, spingendoli a trovare le loro autentiche vocazioni e un proprio posto nel mondo.
Questo accade ne L’Attimo Fuggente a un piccolo gruppo dei suoi studenti, che decidono di riportare in vita la “Setta dei poeti estinti” che proprio Keating, anche lui ex allievo della Welton, aveva creato molti anni prima. Un piccolo cenacolo in una caverna nei boschi, in cui i ragazzi leggono poesie, ne recitano di proprie, e anche suonano, fumano, sperimentano – lontano dal controllo degli adulti – il tipo di persone che vorrebbero essere.
Un esaltante apprendistato all’indipendenza: Neil (Robert Sean Leonard) riscopre la sua passione per il teatro – reciterà Puck nel Sogno Di Una Notte Di Mezza Estate –, sempre osteggiata dal padre che lo vuole medico e a cui non trova mai la forza di dire cosa vuole davvero; Todd (il primo ruolo importante di Ethan Hawke), timidissimo, esce dal guscio della sua introversione e comincia a esprimere le proprie idee; Knox (Josh Charles) trova la forza per dichiararsi alla ragazza che ama; Charlie (Gale Hansen) invece sonda i confini di quel modello che invita al libero pensiero, manifestando i comportamenti più apertamente ribellistici. Non è però tutto oro quello che luccica, l’improvvisa emancipazione avrà un prezzo che qualcuno, tragicamente, pagherà.
L’Attimo Fuggente resta un dramma coinvolgente e commovente, per il modo in cui delinea un mondo di netti contrasti, la scuola rigida e soffocante da un lato e un professore mentore dall’altro, che non sta mai dietro la cattedra e coinvolge costantemente i ragazzi in esperimenti didattici non convenzionali, facendoli camminare per mostrare loro i rischi del conformismo o mescolando calcio musica e poesia in un frastornante, tonificante esercizio motivazionale alla creatività individuale. È efficace Robin Williams, comico che sonda le sue corde drammatiche e offre la prova più iconica della carriera, in equilibrio tra il patetismo e la naturale propensione istrionica (l’imitazione di Marlon Brando e John Wayne che recitano Shakespeare). E, a conferma del talento come direttore di attori di Peter Weir, sono molto affiatati i ragazzi, che restituiscono febbrilmente la sensazione di adolescenti chiusi in una gabbia educativa e familiare che, improvvisamente, vivono l’esaltazione per un mondo che si apre a dimensioni mai immaginate.
Certo, poi si apre tutta un’altra riflessione, e così si torna all’esemplare sequenza delle pagine strappate, circa il modello pedagogico propugnato da L’Attimo Fuggente, con Keating a scavare nelle parole dei grandi poeti romantici inglesi, e gli americani Robert Frost, Walt Whitman, Thoreau, per trovare in esse il riflesso di ansie, paure, aspirazioni dell’adolescenza.
Quel modello ancora oggi fa breccia: in qualunque classifica dei migliori film che raccontano il mondo della scuola, il professor Keating di Robin Williams campeggia come un esempio insuperato di docente capace di far battere il cuore degli alunni e far amare loro l’arte, la poesia, la bellezza. “Noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana e la razza umana è piena di passione” dice Keating. E pero, come è stato rilevato, si tratta anche di uno stile didattico enfatico e seduttivo, che tratta i versi dei poeti come una materia incendiaria, capace di innescare un esaltante meccanismo liberatorio che spinge i ragazzi a trovare dentro di sé la creatività e la loro autentica voce.
“Non considerate solo quello che pensa l’autore, ma quello che voi pensate”, aggiunge Keating, il cui obiettivo è far sì che i ragazzi non cedano all’omologazione e diventino persone che ragionano con la propria testa. Per raggiungere lo scopo, però, Keating libera i poeti dalla biografia, dal contesto storico, colloca i versi in una sorta di spazio sospeso e atemporale dell’arte in cui, privati di qualunque strumento interpretativi analitico, vengono offerti in un rapporto diretto di rispecchiamento esistenziale tra parola poetica e un lettore in cerca di ispirazione. Accade pure che singoli versi vengano estrapolati dalle liriche cui appartengono, manipolandone il senso e rischiando di trasformarle in equivoci slogan motivazioni buoni per qualunque occasione.
“Dire ai ragazzi di strappare le pagine di testo suona eccessivo e forse anche un po’ dittatoriale – è scritto in un articolo intitolato Goodbye Mr. Keating – oggi l’insegnante è un liberale dal cuore grande, domani sarà un demagogo”. E Kevin Dettmar, docente di materie umanistiche, ha scritto che quello de L’Attimo Fuggente è “un ritratto della mia professione insieme fuorviante e potentemente seduttivo”, con la sua idea dell’immersione tutta passione e niente razionalità nei testi, perché, continua, “la passione da sola, separata dall’emozionante lavoro intellettuale di un’autentica analisi, è vuota, persino pericolosa”. Il film proporrebbe “un anti-intellettualismo sia piuttosto viscerale che piuttosto violento”, il quale “più che adottare i testi li adatta, li fa propri, facendo dire loro quello che lui vuole che dicano”.
Il che conduce direttamente a ciò che scrisse Roger Ebert in una feroce recensione de L’Attimo Fuggente: “Alla fine di un corso di poesia di un grande insegnante, gli studenti dovrebbero adorare la poesia; alla fine del semestre di questo insegnante, tutto ciò che amano veramente è l’insegnante”. Ebert critica il vago anticonvenzionalismo d’uno stile pedagogico effettistico, in cui è più importante far salire i ragazzi sulla scrivania per offrire loro un altro punto di vista sul mondo che fare davvero didattica con i suoi strumenti consolidati. È la ragione per cui, a proposito del celebre finale che ha commosso generazioni di spettatori, scrive di averlo trovato letteralmente rivoltante.
La diatriba su Keating cattivo maestro è interminabile. Io stesso rivedendo il film dopo molti anni, e non avendo più l’età dei protagonisti adolescenti della storia, non posso negare una reazione molto più distaccata, perplessa dal notevole tasso di retorica, dalla visione semplicistica e romantica dell’arte come farmaco corroborante, dalla meccanicità di certi passaggi narrativi (si capisce subito quale, tra i ragazzi della setta, tradirà), dall’impennata melodrammatica del finale. Invito solo, nel giudicare L’Attimo Fuggente, a non compiere con il film lo stesso errore decontestualizzante che opera Keating con le poesie.
Perché la pellicola, in un esercizio forse di ambiguità ma pure dialettico, dà voce anche all’altra campana. Un docente mette in guardia Keating: “Corri un grosso rischio incoraggiando i tuoi studenti a diventare artisti, John. Quando si renderanno conto di non essere tutti Rembrandt, Shakespeare o Mozart, ti odieranno per questo“. È lo stesso Keating poi, che istiga i suoi studenti con le parole di Thoreau a “succhiare il midollo della vita”, ad ammonirli a non strozzarsi con l’osso. Ed è sempre lui a dire a Neil, che vorrebbe recitare nascondendolo al padre, che questo non si può fare. In certi casi non è possibile prendere scorciatoie, il dolore della vita va responsabilmente assunto per quello che è.