Manchester By The Sea, o dell’impossibile elaborazione del lutto, il film da Oscar con Casey Affleck

Alle 21 su Iris il film di Kenneth Lonergan, sei nomination e due statuette nel 2017. Un dramma intenso e rarefatto, una storia di dolori e sensi di colpa che non possono avere un lieto fine

Manchester By The Sea

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Manchester By The Sea è stato nel 2017 il primo film prodotto da Amazon Studios a ottenere una nomination per il miglior film agli Oscar. Di candidature ne giunsero in totale 6, con due statuette vinte di peso, quella per il protagonista maschile a Casey Affleck e un’altra per la sceneggiatura originale a Kenneth Lonergan, anche regista del film.

Lonergan, proveniente dalla scrittura teatrale, ha un carriera cinematografica fatta di pochi titoli, ma rilevanti: come sceneggiatore ha cofirmato film come Terapia E Pallottole di Harold Ramis e, soprattutto, Gangs Of New York di Martin Scorsese. Quello stesso Scorsese responsabile insieme a Thelma Schoonmaker del montaggio finale della tribolatissima opera seconda da regista di Lonergan, Margaret, girata nel 2005 e uscita, dopo infinite divergenze produttive legate alla lunghezza del film, soltanto nel 2011, con una distribuzione minimale e molte recensioni negative – a mio avviso, eccessivamente ingenerose.

Manchester By The Sea, terzo e per ora suo ultimo film, ha avuto un destino ben diverso, quasi 80 milioni di dollari al botteghino e un ampio successo di critica. È un racconto severo, di inusitata cupezza, quasi sempre immerso in colori spenti e mortali, fatto salvo il bianco di una neve che non ha però nulla di smagliante, e che si fa allegoria di cuori che vivono in un inverno destinato a durare. Come nelle due precedenti regie di Lonergan (oltre a Margaret, Conta Su Di Me), anche Manchester By The Sea, che ricava il titolo dall’omonima cittadina del Massachusetts in cui si svolge la vicenda, è un’opera che ruota intorno a storie familiari e sensi di colpa.

Il protagonista è Lee Chandler (Affleck, magistrale), idraulico e tuttofare dal carattere taciturno e irascibile che vive a Boston in un appartamentino al di sotto del livello della strada, per entrare nel quale è obbligato a liberare il passaggio a ogni nevicata. La notizia della morte del fratello Joe (Kyle Chandler), affetto da una grave malattia cardiaca congenita, lo costringe a tornare a Manchester By The Sea, il paese natale da cui, per ragioni non immediatamente note allo spettatore, si è tenuto lontano per anni.

Manchester By The Sea
  • Casey Affleck, Michelle Williams, Kyle Chandler (Actors)
  • Audience Rating: G (audience generale)

Inaspettatamente Joe ha nominato Lee tutore del figlio sedicenne Patrick (Lucas Hedges, nel suo primo ruolo importante, che gli è valso la nomination), cosa per la quale si sente completamente inadatto, e non solo perché, per poter occuparsi del ragazzo, dovrebbe ritrasferirsi a Manchester By The Sea. Il problema è di tutt’altra natura, legato a un terribile trauma personale che ha spezzato in due la sua vita. E non solo la sua.

Prima di mostrare l’evento che gli ha stravolto l’esistenza, il film procede in una continua mescolanza di passato e presente, con flashback che sono come lampi che riaffiorano alla mente del protagonista, richiamati da situazioni consimili, intermittenze che però sono quasi sempre, invariabilmente, nel segno del lutto. Quello appena vissuto per il fratello Joe; e altri, appartenenti a un passato recente, di fronte ai quali Lee non ha da opporre alcuna elaborazione decente, immerso in un perenne senso di colpa per qualcosa che è al di là delle sue capacità di reazione.

Manchester By The Sea non vuole essere la storia di una rinascita. Sì, pur tra tortuosi alti e bassi, quello tra “zio” Lee e Patrick, anche grazie al carattere forte e positivo del ragazzo, è un rapporto che finisce con l’aprire qualche spiraglio nella melanconia irredimibile del protagonista, che si pone il problema del futuro del nipote. Nipote che non ha neanche una madre che possa accudirlo, perché la sua, alcolista e con problemi psicologici, è svanita nel nulla da tempo. L’avvicinamento progressivo, l’istintivo senso di cura per il ragazzo però non riescono comunque a rompere il muro di diffidenza di Lee, che non ha più alcuna forza di volontà da opporre alla piega che ha preso la sua esistenza. Semplicemente, e a suo modo responsabilmente, cerca di fare ciò che è meglio per il nipote, senza però nutrire, per quanto riguarda sé stesso, alcuna aspettativa o interesse per il futuro.

In Manchester By The Sea, come i flashback che riappaiono improvvisi annodati al presente, è impossibile pensare di superare il peso del passato. E anche il corpo del fratello Joe, che non può essere seppellito perché in inverno la terra è troppo dura e deve perciò stazionare per tre mesi in una cella frigorifera, diventa una chiara metafora dell’insormontabilità dello stato di cose, e dei sentimenti rappresi, congelati in cui si dibatte Lee.

In questa sorta di tempo sospeso – tra un passato che ritorna e un presente gravato da una sofferenza inaggirabile – Manchester by the Sea incastra la sua drammaturgia minuziosa ed elusiva, disposta sul fondale imbiancato dalla neve d’una cittadina operaria grigia e seria. Il film, come i suoi personaggi, non si scopre mai troppo, centellina fatti ed emozioni. Da cui ricostruiamo la storia di Lee e l’infausto evento che l’ha reso l’uomo che è. Fino a quando la vicenda deflagra in due sequenze in cui sono raggrumati tutti i sentimenti e il dolore del film.

La prima è la scena della tragedia, che non raccontiamo, che ha spezzato la vita di Lee e di quella che una volta era la sua famiglia. L’altra è quella dell’incontro casuale con la ex moglie (Michelle Williams). L’inquadratura è come spaccata in due metà, a riprendere quello che è solo l’abbozzo di un dialogo: non perché i due si odino, al contrario, ma perché ciò che è accaduto non può essere restituito che con parole smozzicate, frasi incompiute come i loro sentimenti ormai sbriciolati; e perché dopo un evento di tale portata è impossibile rimettere in un modo qualsivoglia insieme i pezzi della loro storia.

In un cinema americano che molto spesso rilancia il mantra motivazionale dell’“andrà tutto bene”, Manchester By The Sea dichiara con sommessa franchezza che no, non è vero. Non perché, all’opposto, andrà tutto male, ma solo perché esistono cose che incidono troppo a fondo per poter essere modificate. C’è qualche sfumatura nel film di Lonergan che lascia perplessi: il dramma vissuto da Lee e da sua moglie è troppo esemplare, didascalico nella sua implacabile enormità; e l’impiego un po’ facile del bellissimo ma abusato Adagio di Albinoni, in una sequenza che è già di suo emotivamente sovraccarica, suona stonata. Il film però resta un racconto misurato e senza fronzoli, adulto e sincero, con anche il pregio, nella sua impassibile progressione da fermo, di aprire uno squarcio attento e rispettoso sulla vita della provincia americana.