Che Fine Ha Fatto Sara?, il creatore della serie racconta com’è nato quel mix di azione e melodramma

Il successo di Che Fine Ha Fatto Sara? di Netflix spiegato dal suo creatore, José Ignacio Valenzuela, che rivendica il ricorso al genere telenovela

che fine ha fatto sara?

INTERAZIONI: 5

Il successo imprevedibile (e immeritato, a dirla tutta) di Che Fine Ha Fatto Sara? ha sorpreso anche il suo creatore, sebbene il suo scopo fosse proprio creare una serie basata su un mix di generi capace di attirare pubblici di Paesi diversi nel mondo.

Con la prima stagione Che Fine Ha Fatto Sara? questa soap opera thriller messicana ha raggiunto il primo posto in decine di nazioni su Netflix e la seconda arrivata sulla piattaforma il 19 maggio si prepara a fare altrettanto. Il creatore José Ignacio Valenzuela aveva in mente di creare una serie destinata al mercato ispanico, con lo scopo di ottenere un buon piazzamento nella classifica Netflix del Messico, ovviamente, e di molti Stati del Sud America come Colombia, Cile o Brasile, ma non avrebbe immaginato il successo globale che l’ha resa la serie in lingua non inglese più vista al mondo, con un debutto superiore a quello del fenomeno La Casa di Carta in termini di flussi streaming.

L’intenzione di attirare un pubblico molto ampio, però, c’era eccome: Valenzuela ha cercato di sfruttare gli stilemi della telenovela latinoamericana applicandoli al thriller in stile Revenge e l’esito è stato un polpettone melodrammatico in cui l’unico scopo sembra essere la rincorsa al colpo di scena più assurdo possibile, per tenere incollato lo spettatore allo schermo in modalità binge-watch.

Come spiega lo showrunner a sensacine.mx, il format di Che Fine Ha Fatto Sara? è nato con lo scopo di sfruttare i punti di forza sia della narrativa anglosassone sia di quella latinoamericana, in un’operazione di fusione sicuramente riuscita dal punto di vista del riscontro di pubblico.

Sara ha un mix molto interessante e molto insolito; una struttura molto anglosassone, classica, nordamericana come una serie classica degli anni ’50, ’60, ’70, ’80 e 2000. D’altra parte, ha una componente melodrammatica molto simile a una soap opera, una telenovela tipica della nostra narrativa in America Latina. Semplicemente è una combinazione molto esplosiva. Conosciamo il potere che la telenovela latinoamericana e il melodramma in particolare hanno avuto in diversi paesi del mondo, in Medio Oriente, Russia, Turchia, insomma sono paesi che hanno sempre consumato molte soap opera, anche se sono dall’altra parte del mondo e quindi se creiamo una serie che ha una struttura molto classica, riconoscibile da tutti i paesi del mondo e la ‘rivediamo’ con questo potentissimo melodramma latinoamericano, penso che sia una combinazione potente e allo stesso tempo molto esplosiva.

Per il creatore di Che Fine Ha Fatto Sara? il paragone con le soap non è per niente svilente, anzi: per Valenzuela non c’è “niente di più trasversale di una buona telenovela“. Inoltre è un vanto per i latinoamericani aver letteralmente “inventato il genere del melodramma, componente principale con cui sono scritte le soap opera“. Un genere che ha spopolato per decenni, ha “venduto speranza” al pubblico e molto spesso è stata specchio delle diverse società che ha raccontato, in particolare l’America Latina negli ultimi 50 anni.

Lo scopo per Che Fine Ha Fatto Sara? era dunque creare un format moderno in termini di struttura narrativa ma al tempo stesso rivestito da quella patina di melodramma che lo rende simile ad una telenovela classica del Sud America, genere che vanta una lunga tradizione da cui trarre ispirazione. Il tema del riscatto da un abuso di potere, inoltre, ha permesso alla trama di cavalcare fino all’inverosimile uno archetipo classico come quello della vendetta dell’innocente incastrato da potenti senza scrupoli. Anche questo, secondo Valenzuela, è stato un punto di forza della serie perché ha suscitato identificazione e comprensione nel pubblico ad ogni latitudine.

La struttura di Sara è molto classica, ma l’ho trattata con questioni che ritengo siano globali in questo momento, come il caso dell’abuso di cittadinanza, il caso del potere, che molte persone potenti mostrano e che si sentono impunite per avere molto di denaro o appartenenza a una famiglia potente. Penso che quel sentimento di ingiustizia che molti cittadini provano in tutto il mondo e che si riflette in Álex, nel caso degli oppressi da un lato, e in César dall’altro, nel caso del potente che usa il suo potere per ferire gli altri. Penso sia qualcosa di globale e che abbia creato empatia con le persone, in paesi anche molto diversi come l’Australia, la Bolivia, la Germania o la Spagna.

Valenzuela si è difeso anche dalle critiche di aver messo in scena in Che Fine Ha Fatto Sara? una trama caotica, disordinata, che – come direbbe Annalise Keating ne Le Regole del Delitto Perfetto – non deve avere senso ma solo sembrare un casino. Lo showrunner ha rivendicato di aver stabilito sin dall’inizio l’intreccio che avrebbe drammatizzato nelle prime due stagioni, di aver composto e scomposto mille volte la successione degli eventi per creare una narrazione avvincente, anche se l’effetto può sembrare dettato dalla sola ricerca dell’effetto sorpresa a tutti i costi.

Ho messo insieme un intero puzzle prima di sedermi a scrivere, per poi smontarlo e iniziare con i pezzi, tutti disordinati, a strutturare i capitoli. Non importa quanto la storia possa sembrare improvvisamente disordinata in onda, è stata pensata mille volte, interrogata, lavorata, ripensata, riscritta, ecc. Queste svolte inaspettate, bisogna averle molto chiare, da prima di iniziare a scrivere, conoscerle esattamente, come un artigiano, per riuscire a seminare quei colpi di scena nei momenti giusti e in modo che sembrino sorprendenti, inaspettati, sbucati all’improvviso dal nulla, ma che sono ultra-pianificati da prima che iniziassi a scrivere.

Non è chiaro se Che Fine Ha Fatto Sara? avrà una terza stagione, auspicata dal protagonista Manolo Cadorna ma per ora non confermata da Netflix.