The Handmaid’s Tale 4 ha debuttato il 29 aprile su TIMVision – e il giorno prima su Hulu – con tre episodi che sono stati tra i più cupi e dolorosi dell’intera serie. E dire che non sono mancati capitoli violenti e disturbanti prima d’ora, ma la fuga delle Ancelle da Gilead e la loro cattura, con June torturata all’inverosimile fisicamente e psicologicamente, è stata una vera afflizione anche per lo spettatore,
Come abbiamo sottolineato dopo i primi episodi di The Handmaid’s Tale 4 (qui la nostra recensione), la serie rischia di sfociare nella pornografia del dolore e della tortura. E siccome il confine tra il distopico e il sadico in questa serie è molto labile – e si staglia su un crinale che ognuno stabilisce in modo molto personale – per qualcuno potrebbe essere stato già ampiamente superato.
Le accuse a The Handmaid’s Tale 4 di aver ormai perso il senso originario della serie, avvitandosi sul gusto della violenza fine a se stessa, si sono moltiplicate anche tra i fedelissimi dell’adattamento del romanzo della Atwood, da cui la serie ormai si è resa autonoma già alla seconda stagione. E nemmeno il cast può far finta di nulla.
L’attrice che interpreta Janine, grande protagonista in The Handmaid’s Tale 4 soprattutto con l’episodio dedicato al diritto all’aborto negato, ha risposto a queste critiche senza sottrarsi. Parlando a Digitalspy della nuova stagione, Madeline Brewer ha detto di capire le riserve di molti telespettarori nei confronti di un racconto che contiene scene orrorifiche, ma ha anche ricordato che esiste una sorta di patto col pubblico.
Chi guarda The Handmaid’s Tale 4 e ha seguito l’intera serie, sa benissimo che siamo in un universo distopico in cui non c’è spazio per la leggerezza e in cui la tortura è una forma di oppressione che purtroppo può essere rintracciata anche nel mondo reale, al di là di quanto sia enfatizzata per ragioni narrative nello show. La Brewer cita ad esempio le separazioni forzate delle famiglie di immigrati al confine tra USA e Messico, le cui immagini negli ultimi anni hanno fatto il giro del mondo, facendo un parallelo con la straziante scena del terzo episodio di The Handmaid’s Tale 4 in cui June vede Hannah attraverso un vetro ed è minacciata di ritorsioni contro la figlia.
Lo capisco. È uno spettacolo difficile da guardare, soprattutto nell’ultimo anno. Sono sicura che è stato molto difficile per le persone affrontare molteplici traumi mentre sperimentiamo un trauma collettivo. È una domanda importante, onestamente. Penso che sin dalla prima stagione sia stato un grande problema per la serie. Chiediamo a molti spettatori di entrare in questo – e non è una cosa divertente. Non stai guardando Mamma Mia. Adoro Mamma Mia, ma non è solo quello il mondo in cui viviamo, specialmente quando in qualche modo le nostre sceneggiature sono diventate profetiche, o in qualche modo ciò che sta accadendo nello spettacolo sta accadendo anche negli Stati Uniti allo stesso tempo. Non so come sia possibile. Ed è difficile da guardare, sai? È difficile guardare June mentre Hannah viene strappata dalle braccia perché, nella vita reale, ci sono state famiglie separate al confine con il Messico.
Madeline Brewer coglie il punto della questione ma fino ad un certo punto: la serie sembra ormai chiedere uno sforzo sovrumano al suo pubblico, quello di immaginarsi eroine capaci di subire qualsiasi violenza e riuscire a sopravvivere. Ma quanto è giusto rappresentare delle vittime come invincibili? E perchè indugiare sull’aspetto della tortura in modo così esplicito e vouyeristico quando la cifra stilistica della serie è sempre stata l’intelligenza e l’eleganza, anche nella rappresentazione della violenza? La Brewer sembra consapevole del sacrificio richiesto a chi guarda, ma altrettanto convinta del valore dell’opera: “Chiedo solo che le persone stiano con noi perché ne vale la pena. Ne vale la pena, credo“.