Coronavirus, il bilancio dopo un anno di “Siamo Vicini”, il servizio di assistenza psicologica sostenuto da Optima

Da oltre dodici mesi l’Isidap ha attivato il numero verde gratuito 800 913880, per i problemi di ansia e panico. Com’è cambiata l’emergenza in tutto questo tempo? Ne parliamo col dottor Massimo Doriani

Siamo Vicini

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È ormai passato più di un anno da quando, nel marzo del 2020, l’Isidap, l’Istituto Specialistico Italiano sui Disturbi da Attacchi di Panico, decise di istituire uno sportello telefonico gratuito, “Siamo Vicini”, per offrire assistenza psicologica a chi, nel frangente del lockdown seguito alla pandemia, stesse vivendo uno stato di difficoltà emotiva legata all’ansia e al panico. Il servizio, realizzato anche grazie all’impegno di Optima Italia che ha reso possibile l’iniziativa occupandosi di tutti gli aspetti tecnici e logistici, si è rivelato uno strumento di aiuto indispensabile, soprattutto a fronte di una “emergenza” dalla durata purtroppo inimmaginabile, che ha messo a dura prova l’equilibrio emotivo degli italiani.

In un anno di “Siamo Vicini”, i circa 40 operatori tra psicoterapeuti, psicologi e operatori sociali, che hanno messo a disposizione in forma totalmente gratuita la loro professionalità, hanno risposto a oltre mille utenti provenienti da ogni parte d’Italia e anche dall’estero, al numero verde 800 913880, aperto dalle 9 alle 20 tutti i giorni, compresi i weekend. E continuano a rispondere ancora oggi, in un momento in cui, nonostante l’inizio della fase di vaccinazione, le sofferenze di un’Italia quasi tutta in zona rossa sono ancora tante.

Certo, dopo un anno è mutato il quadro materiale e anche psicologico del paese. Per questo dopo l’intervista che gli facemmo dodici mesi fa, siamo tornati a parlare con Massimo Doriani, psicoterapeuta e direttore dell’Isidap, che di “Siamo Vicini” è stato e continua a essere l’ispiratore. Una conversazione per capire insieme a lui come sono cambiate le cose e quali prospettive ci attendono.

Dottor Doriani, dopo più di un anno quella pandemica può ancora essere definita un’emergenza?
Il termine emergenza continuerei ad usarlo. È una parola all’interno della quale dobbiamo distinguere due valenze, o meglio due conseguenze differenti: la provvisorietà e la precarietà. La provvisorietà, certo, è scomparsa, la precarietà però no. Continuiamo a essere nel mezzo di una situazione completamente diversa dalla normalità e notevolmente logorante. Direi quindi che siamo in piena emergenza, esattamente come lo eravamo un anno fa e come continueremo a esserlo, mi auguro, per un altro paio di mesi al massimo.

Chi sono adesso le persone che chiedono assistenza a “Siamo Vicini”? È cambiato qualcosa rispetto all’inizio della pandemia?
In primo luogo il numero delle persone che chiamano è sempre stato molto variabile e in sintonia con la percezione della gravità della situazione. Nei primi mesi, tra il marzo e aprile del 2020, fummo letteralmente tempestati di telefonate, il flusso poi si ridusse moltissimo con l’arrivo dell’estate, quando tutti avemmo l’illusione che il peggio fosse alle spalle. Naturalmente da ottobre in poi i numeri sono risaliti, all’interno di un trend che comunque non ha mai conosciuto interruzioni. Soprattutto, è cambiato quasi completamente il tipo di utenza. All’inizio il più giovane aveva quarant’anni. Con la seconda ondata è il contrario, gli over cinquanta sono pochissimi, le telefonate sono quasi esclusivamente di ragazzi, molti al di sotto dei vent’anni, persino sedicenni, e sempre molto turbati.

Qual è la condizione psicologica degli adolescenti dopo un anno di pandemia?
Partiamo da un presupposto. Spesso si dice che l’adolescenza è una via di mezzo tra l’essere adulti e l’essere bambini. Non è così: l’adolescente un giorno è bambino e un altro è adulto. Passa da momenti di autentico terrore in cui cerca smarrito la protezione materna, ad altri in cui è spavaldo e sicuro di sé. Da un lato quindi i ragazzi subiscono ed esternano una forma di paura priva di un oggetto determinato. In quei casi ci telefonano ponendo le domande più strane. Dall’altro giungono le telefonate degli adulti, che sono preoccupati per i propri figli in palese difficoltà.
Ti cito un caso, un mio paziente in terapia di diciannove anni, che da un anno era riuscito a svezzarsi dalla cocaina. Ora non ce la fa più, perché non può vedere la fidanzata, cui la madre, anche giustamente, vieta di uscire, mentre lui continua a muoversi liberamente. Ebbene lui ha ammesso che in questo momento sarebbe pronto a provare l’eroina, perché si sente stremato e se non lo fa è solo perché non se ne trova in giro in questo periodo. Questo certo è un caso limite, ma la condizione dei giovanissimi oggi è questa, in bilico tra la disperazione e la voglia di ribellione.

Cos’è che crea angoscia oggi nelle persone che telefonano a “Siamo Vicini”?
Le mie sono valutazioni fatte sulla base delle conversazioni che ho costantemente con tutti gli operatori, perché le indagini statistiche saranno pronte solo tra qualche giorno. Anche qui, rispetto ai primi tempi il profilo è mutato. Sono diminuite le telefonate legate alle paure economiche, perché temo che quella ormai si sia trasformata da provvisorietà in precarietà. Un dato cioè angosciante, ma acquisito, di cui la gente ha cominciato a farsi una ragione. Tante preoccupazioni sono legate al timore del virus, ma anche questo è normale, perché sono molto più numerose le persone che si sono ammalate di Covid o che hanno visto familiari ammalarsi.  
In generale sono diminuite le situazioni paniche ed aumentate le sindromi depressive, ciò significa che c’è meno disperazione e più logoramento. All’inizio, gettati in un mondo improvvisamente diverso, le persone chiamavano in uno stato emotivo emergenziale. Ora è sopraggiunta la stanchezza, il senso di solitudine. Prima molte telefonate erano disperate, la conversazione serviva per contenere l’angoscia e ciò aveva una funzione liberatoria. Ora molto spesso ha una funzione consolatoria.

Gli operatori di “Siamo Vicini” come stanno gestendo il loro contraccolpo emotivo delle telefonate?
La forte impellenza di condivisione si è attenuata. All’inizio per gli operatori la conversazione con l’utente in difficoltà costituiva anche per loro un momento di grande sollievo, perché consentiva di elaborare molte delle proprie tensioni. Ciò anche grazie alla supervisione con gli psicoterapeuti volontari previsti dal Progetto Siamo Vicini. Tenete presente che in questo frangente, al contrario di tutte le altre situazioni emergenziali, i soccorritori vivono lo stesso trauma delle persone soccorse. L’esperienza di un anno adesso consente agli operatori di gestire meglio le loro angosce. Continuiamo ad avere riunioni periodiche, occasioni di condivisione di gruppo, ma sono caratterizzate da momenti meno forti ed eclatanti.

Tutti ci auguriamo che l’emergenza si concluda il prima possibile. Cosa accadrà, dopo? Con quali macerie emotive dovremo fare i conti?
Posso fare solo delle ipotesi. Macerie ci saranno certamente, perché l’emergenza Covid è stata profonda, e ha slatentizzato tante situazioni critiche. Purtroppo le macerie psicologiche non sono come i giocattoli dei bambini, le costruzioni che una volta crollate puoi rimettere in piedi esattamente com’erano prima. Sono macerie con una loro storia che va analizzata e capita. Un’emergenza prolungata come quella del Covid crea dei problemi non momentanei, bensì strutturali.
Il bambino di 5 anni obbligato a un anno di vita in cui non ha potuto attraversare le fasi tipiche della sua età, quelle esperienze psicologiche essenziali per il suo sviluppo, che fanno sì che a sei anni abbia acquisito delle competenze in sintonia con la sua evoluzione biologica, ebbene quel bambino una volta che tornerà alla vita “normale”, avendo mancato quei passaggi, si troverà a fare i conti con una età biologica diversa da quella psicologica.
Cose che prima potevano essere etichettate come forme di ritardo, adesso diventeranno la norma, una condizione condivisa da quasi tutti i pari età. E questo non vale solo per i bambini, ma anche per l’adulto, che nel suo percorso si è trovato improvvisamente privato di tutti quegli strumenti e istituzioni sociali che gli servono per affrontare la vita di ogni giorno. Dopo tanti mesi nei quali ci siamo abituati ad un nuovo e quasi esclusivo utilizzo delle nostre capacità visive e cognitive, come sarà il ritorno alla dimensione corporea, del contatto, la dimensione del piacere?
Dobbiamo renderci conto che, finita l’emergenza, saremo di fronte a quella condizione che qualcuno ha definito “new normal”. Cioè non il semplice ritorno al passato, ma una nuova normalità tutta da inventare, nuove categorie da costruire su vecchie fondamenta e su una buona parte di macerie. E perché no, anche con qualcosa di nuovo in positivo. È questa la sfida futura.