AMADEUS 3
Dietro quello sguardo non proprio sveglissimo, si è sempre pensato, c’è in realtà una sorta di fine stratega che è in grado di programmare ogni singolo istante della propria carriera, finendo a presentare Sanremo dopo essere partito, è storia, come quello che ha detto a Cecchetto di avere casa a Milano, quando nei fatti faceva avanti e dietro tutti i giorni da Verona pur di trasmettere a Radio Deejay. Nei fatti sembra che la nostra lettura della realtà fosse alquanto fantasiosa, e che quella che avevamo confuso per strategia fosse mera ostinazione, anche vagamente ottusa. Il programma continua a girare a vuoto, tra mille problemi tecnici, quelli sanitari e l’evidente mancanza di stimoli dovuta all’assenza di pubblico (a questo punto anche a casa). A pagare lo scotto di tutto questo noi davanti alla tv, costretti a fare le ore piccole quando il programma sarebbe potuto durare almeno un paio d’ore di meno, ostaggi del nostro carnefice.
FIORELLO 4
Immagino che se dicessi che a me, in fondo, Fiorello non ha fatto mai ridere, passerei per snob. Uno di quelli che ostenta il suo essere nannimorettianamente sempre da un’altra parte rispetto al comune sentire, quello delle masse. Però la faccenda è proprio questa, lo trovavo vecchio, come modo di intrattenere, già ai suoi esordi, figuriamoci oggi, dopo decenni. Questo in tempo di pace. Dopo un anno come questo, dentro un Festival che dura un tempo che appare infinito, invece, Fiorello non solo non mi fa ridere, ma mi innervosisce, perché ridere da solo alle proprie battute, seppur in assenza di pubblico, non è mai giustificato, specie se sono vecchie di anni.
ACHILLE LAURO 2
Spero tanto che Gucci abbia pagato un obolo molto alto per aver piazzato il product placement più invadente di sempre sul programma di punta della prima rete della Rai. Perché altrimenti non si spiega davvero perché Amadeus abbia deciso di dar spazio a questo scappato di casa manco fosse davvero un artista o un performer. Intendiamoci, dai tempi della Corrida si da sempre spazio a chi si crede chissà chi e ci vuole convincere di esserlo, ma questo è uno spettacolo di altro tipo. A vederlo lì quasi viene da rimpiangere non sia in gara, almeno faceva ridere per motivi inerenti alla musica.
ELODIE 4
Ho sempre faticato a capire Elodie. Non l’ho mai capita come cantante, inizialmente sembrava destinata a diventare una soul lady, magari anche vagamente jazzy, sorta di Malika un filo meno impolverata, poi ha avuto la svolta urban, l’essere compagna di Marracash magari ha influito, sempre e comunque l’ho vista troppo volubile, una pelle nuova a ogni canzone. Non l’ho mai capita anche come personaggio, in apparenza affettata e anche un po’ snob, salvo poi diventare una sorta di Jenny from the Block in un documentario che forse ce l’ha fatta vedere davvero per quel che è. Fa la valletta, nello stesso palco che ha calcato solo un anno fa. Lei evidentemente lì per la sua bellezza, dopo la pantomima sulla magrezza che solo un anno fa la vedeva blastare in ogni luogo Masini. Bella è bella, e saprebbe pure cantare. Forse quel che le serve è qualcuno vicino che le spieghi che a confondere troppo il pubblico si finisce per perderlo, magari è un eccesso di precauzione, eh, ma quantomeno poi si potrebbe dire “Donna avvisata”. Poi, già che si trova, le dovrebbe dire che no, quel medley nel quale mischia le sue canzoncine inutili a dei classici pop non se li deve permettere, aggiungere che queste scenette vanno bene se sei una velina a Striscia, non se ambisci al ruolo di artista, dirle che tanto bene aveva fatto in quel documentario quanto male nel monologo retorico fino alla nausea, fortunatamente fatto a notte fonda, perché del riscatto della piccola fiammieraia, dai, anche no, e chiudere suggerendole un corso di dizione per non farla sembrare una che ambisce a duettare con Carl Brave o Achille Lauro. Per il resto tutto bene. Ah, no, scusate, non c’è un resto.
LAURA PAUSINI 4
Il vantaggio di invitare una fresca vincitrice ai Golden Globe è che non puoi pretendere che, come magari ha fatto magistralmente Loredana Bertè, oltre a fare la canzone nuova si impegni a fare un medley del suo meglio. Tutto organizzato all’ultimo momento, la vittoria è di pochi giorni fa, grazie Dio che ha fatto quel brano. Il che si può tradurre in noi, lì a casa, che atterriti dal suo arrivare all’Ariston, neanche il tempo di guardarci intorno con lo sguardo di chi crede che la fine sia imminente, e zac, di colpo arriva la salvezza. Pericolo scampato, a parte il siparietto dance, momento che mi ha messo non poco a disagio. Resta giusto il retrogusto amaro di aver sentito una canzone prescindibile, presentata come fosse il Requiem di Mozart, e la certezza che come tutti gli anni anche l’anno prossimo la troveremo lì, se non è un anniversario è un progetto o un singolo o un premio. A ogni giorno basta la sua pena, del diman non c’è certezza.
IL VOLO 9
Ora, non credo che sia esattamente io la persona più adatta a sottolineare come nel mondo la musica italiana che viene riconosciuta come tale non è quella della Pausini, ma quella che affonda le radici nel nostro passato remoto, che flirta con le arie, che sposa melodie importanti, il Bel Canto, per dirla con un paio di parole che riassumono quel che c’è da riassumere. Ma tant’è, e è piuttosto chiaro a molti che nel mondo questi tre ragazzi si sono fatti strada proprio in virtù di quel loro essere solidamente bravi e altrettanto solidamente portatori sani di quelle istanze che ci vedono come i figli di Verdi, Puccini ma anche di Caruso e via a seguire. Non sono la persona più adatta, perché è di altro che in genere mi occupo, ma credo che questa verità vada riconosciuta una volta per tutte, e oggi più che mai. Bravi a rendere omaggio al maestro Morricone, ma più che altro bravi e basta.
GIGLIOLA CINQUETTI/ FAUSTO LEALI/ MARCELLA BELLA N.C.
Un mio amico, mentre guardavo la puntata, mi scriveva commenti su Whatsapp. Così, per provare a tirare avanti in una serata non semplicissima, dal punto di vista del ritmo della puntata. Si parlava di quale animale avrei potuto usare per provare a metaforizzare il medley di Elodie, qualcosa che, onestamente, non credo abbia un qualche eguale in natura, non almeno in quella decodificata dagli zoologi. Poi Amadeus annuncia l’arrivo sul palco di Gigliola Cinquetti, Fausto Leali e Marcella Bella, e il mio amico mi ha scritto: “Basta, a questo punto vado a vedermi una puntata di Black Mirror”. Ignorava, il mio amico, che Sanremo è la più bella puntata di Black Mirror.
GIGI D’ALESSIO 8
Un uomo dalle mille sfaccettature, Gigi D’Alessio. Cantatuore melodico in grado di comporre brani di grande successo popolare, creatore di hit spagnoleggianti, di quelle che io, personalmente, ascolto assai di rado, ultimamente anche riconosciuto King della scena rap napoletana, scena che col suo lavoro Buongiorno si è raccolta intorno a lui per dar vita a una serie di riletture urban e contemporanee delle sue vecchie canzoni. Oggi quell’essere King lo vede fare un ulteriore passo avanti, perché sempre in compagnia dei rapper partenopei arriva sul palco dell’Ariston, ma per presentare Guagliune, nuova hit che mescola rap e melodia. Un modo tutto suo di mettere il cappello su una scena che a lui evidentemente molto deve. Io personalmente lo preferisco quando scrive brani intrisi di melodia e giocati su armonie complesse, come quello regalato a Arisa in questo Festival, ma santo Dio, che sia un talento unico prima o poi lo dovrebbero davvero riconoscere tutti.
ORIETTA BERTI – Quando ti sei innamorato 7
Sono infinitamente grato a Orietta Berti. Lo sono perché, non ci fosse stata lei in gara, mi sarei ritrovato a vivere la condizione di coetaneo di coloro che sarebbero stati indicati come i “vecchi” del Festival, penso a Max Gazzè e Francesco Renga, anagraficamente in effetti i più anziani tra i presenti, a cinquantadue anni. Ne ammiro anche il coraggio di presentarsi in gara, perché una come lei, la presenza di Leali, Marcella Bella e Gigliola Cinquetti tra gli ospiti sta lì a dimostrarlo, poteva serenamente ambire al ruolo di superospite. Nei fatti è ancora oggi una vera lama, intonata come pochi, empatica come pochi. La prova provata che saper cantare non è un optional irrilevante, e che con la canzone giusta si può ancora oggi dire qualcosa pur non facendo musichette insignificanti.
BUGO – E invece sì 7-
Fossi stato in Bugo mi sarei tenuto a debita distanza dall’Ariston. Non perché io pensi che non si debba ritornare nei luoghi delle disgrazie, ma per paura, una paura credo legittima, di passare per quello cui viene concessa la famosa seconda chance, quello cui si concede un diritto di replica, insomma, quello che si invita perché ha subito un qualche torto. Probabilmente però ha fatto bene Bugo, che presenta una bella canzone, e che ha occasione di dire a chi non lo sapesse già, la sua è una carriera partita parecchi anni fa, che lui è un artista anche in assenza di chi lo ha portato “su quel palco”.
GAIA – Cuore amaro 6-
Premesso che dubito riuscirei a fischiettare la canzone di Gaia sotto la doccia, non fosse altro perché sotto la doccia, in genere, tendo a stare con la bocca chiusa al fine di non bere acqua, credo che la ragazza abbia una gran bella voce e prima o poi avrà anche qualcosa di interessante da dire. Non credo sia questo che lei ha esattamente da dire, canzone poco interessante, occasione persa, magari si rifarà alla prossima occasione che non dubito arriverà.
LO STATO SOCIALE – Combat pop 5
Concettualmente Lo Stato Sociale spacca. Sono una grande realtà indie. Vanno a Sanremo con una canzone scanzonata ma non così leggera come sembra, spaccano, anche grazie alla vecchia che balla, Lodo va a X Factor ma ora viene fuori che ha diviso la paghetta coi suoi soci, soci che, come lui, hanno tirato fuori un EP a testa, in occasione di questo passaggio sanremese, fatto mai accaduto a nessuna band al mondo. Lodo, poi, manco canta, manco si vede, a dimostrazione che sono una band band. Tutto perfetto. Anche la canzone, leggera, rock’n’roll anche stavolta, ironica, anche stavolta, ma con un sottotesto, credo, perché è sotto sotto. Devo dire che di tutta questa leggerezza mi sono rotto il cazzo.
LA RAPPRESENTANTE DI LISTA – Amare 9,5
La critica musicale è una scienza, so che leggendo quello che genericamente scrivo si potrebbe avere altra impressione. Ma la critica musicale è analisi, e analisi che si basa su dati oggettivi, che si mescolano col campo delle emozioni, andando quindi a dare una lettura delle opere degli artisti che, anche questo immagino possa apparire strano, è quanto di più oggettivo si possa pensare pensando di musica. Ecco, messo da parte il fatto che io tifo per La Rappresentante di Lista, che quindi la mia parte emotiva è assolutamente tutto dalla loro parte, va detto che Veronica, Dario e soci hanno portato sul palco dell’Ariston la canzone più bella tra quelle sentite quest’anno, e lo hanno fatto mangiandosi letteralmente il palco, con la messa in scena migliore vista fin qui. Il loro costante studio di questioni legate al gender, all’inclusività, trova spazio nel loro presentarsi di fucsia vestiti, ma la voce di Veronica è letteralmente stata in grado di sovrastare orchestra e band, tagliando in due anche il cuore più arido all’ascolto. Avendo poi sentito My Mamma, il loro nuovo album, mi sento di dire che a partire da Amare sentiremo a lungo parlare di loro, anche coloro che magari solo grazie a questo passaggio li hanno conosciuti. Giganteschi, perfetti, empatici, unici.
MALIKA AYANE – Ti piaci così 7
Considero Malika Ayane potenzialmente una grande artista. Lo penso sin dal suo esordio, che ho seguito molto da vicino. Considero anche Malika Ayane una artista che ha preso quella potenzialità e fin qui ne ha fatto palline arrotolate da sparare infilandole dentro una penna bic cui è stata sfilata la punta, come una piccola cerbottana con cui colpire i compagni di classe durante la lezione di storia dell’arte. Come prendere un talento e buttarlo nel cesso. Non credo sia necessario tornare su quel “non mi dire niente che non sia Wow”, solo a scriverlo mi sanguinano le orecchie. Però, togliendo le tante, troppe scelte sbagliate, togliendo anche le antipatie umane, va detto che stavolta ha portato a Sanremo la canzone giusta, tutta giocata sul ritmo laddove in genere si gioca su armonia e melodia, una scelta coraggiosa, probabilmente fatta per sbaglio. Spero non sia una parentesi rosa tra le parole Ecche Cazzo.
ERMAL META – Un milione di cose da dirti 7,5
In genere non si torna sulla scena del crimine, a meno che non si decida di costruire una carriera che poi lo preveda con costanza e cadenza organizzata. Ma dopo aver sempre presentato canzoni per certi versi importanti, ma tutte fuori dalla tipica caratteristica sanremese della “ballata che parla d’amore”, Ermal decide di tornarci con la sua canzone “più normale”, quella lenta, quella romantica, quella da accendere le luci degli smartphone durante i concerti. Magari non la sua canzone migliore, ma sicuramente una delle migliori sentite da queste parti quest’anno, o quantomeno una delle più coerenti a quel palco.
EXTRALISCIO E DAVIDE TOFFOLO – Bianca luce nera 7
In genere, da che ho memoria, c’è sempre stato un posto nel cast di Sanremo riservato agli outsider. Un tempo c’erano gli artisti extramusicali, i comici, i personaggi televisivi, gli attori. Gente che magari portava anche canzoni molto belle, penso a Francesco Nuti e alla sua Sarà per te, o a Finalmente tu di Fiorello, ma che comunque rimanevano fuori dal novero delle canzoni sanremesi tout-court. Poi sono arrivati quelli che venivano dall’underground, per primi i Subsonica, a seguire tanti altri. Negli ultimi anni la faccenda si è allargata, e quest’anno è quasi più raro trovare nomi tipicamente sanremesi che nomi che troverebbero spazio serenamente nel cast del Mi Ami. In questo contesto credo che gli outsider potrebbero essere loro, il combo più anomalo presente in gara, col loro essere celebratissimi nel mondo delle balere, col loro saper suonare e cantare, miliardi di serate alle spalle, col loro ospitare un outsider doc come Davide Toffolo. La loro è una bella canzone, che però rischia di scomparire nel frastuono delle ventisei canzoni. E sarebbe un peccato.
RANDOM – Torno a te 2
Mio figlio piccolo, il più piccolo dei miei quattro figli, è un grande appassionato di calcio. Passa tutto il suo tempo libero, che grazie alle maestre non è poi così tanto, a leggere giornali di calcio, spesso regalatigli da mio padre, a sua volta grande appassionato di calcio, o a vedere video e documentari. Sa tutto sul calcio contemporaneo, e molto del calcio passato. A volte viene da me e mi dice frasi come “Certo che Pruzzo era proprio forte,” non mancando di sorprendermi, perché Pruzzo era già vecchio quando io ho cominciato a seguire il calcio, una vita fa. Ogni tanto, però, viene da me e mi fa un nome che non conosco, usando termini enfatici che forse quel nome non meriterebbe. Lo stesso tono che usa se poi mi parla di Del Piero, lui tifa Juve, o Roby Baggio. Quando chiedo lumi, in genere, mi dice che è uno che gioca nel Benevento, o nel Sassuolo, ma lui è un entusiasta, si esalta con poco. Ecco, Random è per me uno che gioca nel Benevento e di cui io nulla so. O meglio. Nulla sapevo. Poi l’ho sentito cantare. Cantare… insomma, l’ho sentito. E ho rimpianto Pruzzo.
FULMINACCI – Santa Marinella 7
Fulminacci è molto giovane, ma già si è fatto notare più di quanto in genere non sia concesso ai suoi coetanei. Arriva al Festival forte di una Targa Tenco come Miglior album d’esordio, e dimostra di avere più che qualcosa da dire, rimanendo in quella che tecnicamente si chiama la sua “comfort zone”, un cantautorato non banale, affatto banale, chitarristico e intriso di parole ricercate. Forse fuori contesto in un Festival che presenta così tanti artisti in gara, e sicuramente scelta opinabile quella di inserirlo direttamente tra i BIG, ma il talento c’è, e si sente.
WILLIE PEYOTE – Mai dire mai (la locura) 8-
Quando, letto il cast, ho detto a mia figlia Lucia che a rappresentare la fascia “rap” era stato chiamato Willie Peyote, lei mi ha guardato sgranando i suoi grandissimi occhi verdi neanche fosse Oriella Dorella, dicendomi: “Ma lui non è un rapper”. Ne è nata, tra padre e figlia, specie tra padre e figlia con caratteri simili succede così, una accesa discussione, nella quale era evidente che lei sapesse di Willie Peyote molto più di me, ma che io sapessi di rap molto più di lei. Nei fatti, quella discussione, attesta che sì, Willie Peyote è un rapper che sa decisamente come infilare le parole una dietro l’altra, fatto che di per sé non dovrebbe portare a meraviglia, ma che visti i suoi giovani colleghi è da plaudire come una epifania, ma è anche un cantautore, nel senso stretto del termine, perché ha un modo di concepire le canzoni che non si basa solo sul flow e le trovate linguistiche, ma prova a andare oltre dando tridimensionalità a quel che canta, raccontando storie e evocando scenari e visioni. Questa credo sia la canzone che più esplicitamente parla dell’oggi su questo palco, non la sola, ma la più chiara. E è proprio una bella canzone, quasi la migliore.
GIO EVAN – Arnica 4
Uno che a ogni intervista deve star lì a spiegare perché e percome una sua, Dio mi perdoni, poesia è stata citata dalla Isoardi nel momento in cui ha fatto sapere al paese reale che si era mollato con Salvini non può che avere tutta la mia solidarietà umana. Stai lì, ci provi, fatichi, ti ostini, pensi, ti ribalti sul letto fissando il soffitto, sali su palchi improbabili, scrivi libri, scrivi canzoni, fai performance, e rimani quello della poesia della Isoardi, dai, è davvero una brutta cosa. Mai abbastanza brutta, però, come la canzone presentata a Sanremo, esile come le sue poesie, quella citata dalla Isoardi compresa, roba che giusto chi con la canzone e la poesia nulla ha mai avuto a che fare può prendere in considerazione seriamente, come la Isoardi, appunto, e Amadeus. I pantaloni corti, poi, solo se hai cinque anni e sei negli anni Quaranta.
IRAMA – La genesi del tuo colore 3
Amadeus ha detto che il Festival a maggio o giugno non lo si poteva rinviare perché se no sarebbe stato Festivalbar. Magari ha ragione lui, che Festivalbar lo ha presentato e che per chi si occupa di musica è decisamente più in stile Festivalbar che Festival di Sanremo. Comunque sia il Festival va di scena nonostante tutto a marzo, coi rischi del caso. Il primo a farne le spese è Irama, che incappa nel rischio squalifica perché uno del suo staff risulta positivo. Viene squalificato, come da regolamento, e poi riammesso, come chiesto a gran voce da Amadeus, il video delle prove in gara al posto suo. Risultato, torniamo al discorso dell’estate, di Festivalbar e di Sanremo. Siamo a marzo, infatti, ma qualcuno si deve essere dimenticato di avvertire Irama, che si presenta con una canzoncina estiva, esattamente come fosse in procinto di cantarla all’Arena di Verona, sotto l’egida di Vittorio Salvetti. Non che l’estate sia qualcosa cui guardare con ostilità, intendiamoci, ma già i tormentoni rompono il cazzo in agosto, almeno a marzo avremmo voluto evitarli. Tanto valeva squalificarlo, ci avremmo guadagnato cinque minuti in meno di supplizio.
WRONGONYOU 6-
A me tendenzialmente Wrongonyou piace, lo trovavo un voce interessante già quando cantava in inglese. Anzi, lo trovavo una voce interessante quando cantava in inglese. E basta. In italiano, per dire, mi sembra funzioni molto meno. Ma continuo a stimarlo, da lontano.
GRETA ZUCCOLI 6,5
La Zuccoli brilla. Brilla perché è una delle sole due donne in gara a Sanremo Giovani, certo, ma soprattutto perché, donna o non donna, è dotata di una sua personalità abbastanza definita, una poetica riconoscibile, uno stile suo. Come spesso capita non è questa la canzone che ce lo dice in maniera così chiara. Ma resta brava, e ha pure cantato bene.
SHORTY 7,5
Shorty è una delle voci suol più belle che il nostro panorama italiano possa vantare. Sa anche rappare, perché questo prevede l’essere artista urban. Per capirsi, fosse inglese o americano starebbe tra i BIG, al pari di Ghemon, per altro. Invece è lì a provare a farsi valere. Ma ingiustizie sanremesi a parte, resta un grande artista, con una canzone perfettamente al servizio, proprio bella.
DELLAI 2
Anni fa, nel 2005, i Negramaro arrivarono a Sanremo da perfetti sconosciuti. Presentarono una strana canzone che parlava di un coniglio verde, piuttosto oscura, come testo, ma dirompente come mood. Un capolavoro, quello dei Negramaro, che da lì sono partiti per una delle carriere più sfolgoranti e durature che una band italiana abbia mai visto. Ora, i Dallai, a parte la faccenda dei conigli, nel loro caso rossi, nulla hanno a che spartire coi Negramaro. Sono due gemelli, e fanno una musica che aiutami a dire che roba immonda è. Peccato. Io ho una certa simpatia per i gemelli, ma in confronto a loro i Bros erano due geni della musica.
Leggi lo speciale di OM sul Festival di Sanremo, con news ed aggiornamenti in tempo reale!
Come fai a dare 9 (nove!) a Il Volo perché, secondo te che giustamente scrivi che non ne capisci, rappresenta il bel canto italiano (flirta con le arie!)?
Se valgono i luoghi comuni (di solito si dice -nel suo genere- per i film di merda) perché non dare un voto positivo anche ai mediocri presentatori che rappresentano bene l’italiano medio caciarone e innocuo?
Perché non apprezzare l’enfisema di Gigliola Cinquetti?
Perché non dare un voto positivo ai mafiosi, che assieme al fascismo, pizza e mandolino tanto ci ha caratterizzato nel mondo?
Ci vorrebbe il mare per portarli a fondo
Prima che mi lanci un Sanremo per il mondo
Ci vorrebbe il mare con le sue tempeste
Che battesse ancora e forte sulle finte orchestre
Ci vorrebbe il mare dove non c’è amore
Il mare in questo mondo da rifare
Ci vorrebbe il mare
Invece c’è Amadeus
Gianna Albini / Giancarlo Bigazzi / Marco Masini/ Pasquale
Grazie!