Il monologo di Elodie a Sanremo tra le lacrime, dalla povertà del Quartaccio agli studi mancati fino al successo (video)

Il video del monologo di Elodie a Sanremo, che ricorda l'infanzia di privazioni al Quartaccio di Roma: "Essere all'altezza è un punto di vista"

monologo di Elodie a Sanremo

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Il monologo di Elodie a Sanremo, arrivato a seconda serata inoltrata, è stato uno dei momenti con cui la cantante ha deciso di raccontarsi al pubblico. Nell’edizione in cui tutti sostengono di portare loro stessi sul palco – come se questo bastasse a fare uno show – il monologo di Elodie ha quantomeno il pregio di essere una storia autentica e non una banale invenzione autoriale.

La sua storia è nota, era già stata raccontata più volte dalla cantante in diverse interviste, ma il monologo di Elodie a Sanremo ha dato una forma e una dimensione più emotiva al ricordo delle sue origini, non fosse altro per il prestigioso palcoscenico da cui può evocarlo adesso con un grande senso di riscatto. Dal Quartaccio all’Ariston, dalla periferia Nord di Roma dimenticata e dilaniata dalle povertà, allo scintillio degli abiti sanremesi: la favola di Elodie passa attraverso un’infanzia di privazioni sia materiali che morali, in un ambiente che le ha messo sotto gli occhi sin da bambina la violenza, la povertà, le droghe, le gravidanze precoci delle sue amiche, la mancanza di opportunità, ma anche l’umanità, l’empatia, la solidarietà tra chi ha poco o niente e si aiuta a vicenda per sbarcare il lunario.

Tutto questo è confluito nel monologo di Elodie a Sanremo, che tra le lacrime ha ricordato di aver vissuto più vite in una nei suoi soli 30 anni: oggi è l’artista femminile italiana più ascoltata in streaming, nonostante non abbia una solida carriera alle spalle ma solo molti singoli di successo e collaborazioni che l’hanno proiettata ai vertici dell’airplay italiano. A Sanremo lo scorso anno era in gara con Andromeda, stavolta ha condotto, cantato e ballato un mash-up di brani più svariati e infine raccontato la sua storia di opportunità mancate in un discorso diventato anche un appello motivazionale a non arrendersi al destino che sembra tracciato per ciascuno dalle condizioni in cui si nasce. Chiaramente la sua storia è quella dell’uno su mille che ce la fa e lei ha deciso di raccontarla così, prima di esibirsi insieme insieme a Mauro Tre, il pianista jazz che l’ha scoperta e l’ha convinta a credere in se stessa, in un pezzo di Mina, Mai Così.

Tutte le volte che sono riuscita ad abbattere un muro sono successe delle cose molto belle nella mia vita e allora ho deciso di raccontarvi qualcosa di me. Vengo da un quartiere popolare di Roma. Una realtà crudele, onesta e straordinaria. Ci vivono persone arrabbiate e io ero una di quelle. Il mio quartiere mi ha dato tanto e mi ha tolto tanto e non parlo solo delle privazioni materiali, come non avere l’acqua calda o non riuscire ad arrivare a fine mese, ma parlo anche della voglia di sognare. Ho sempre voluto fare questo mestiere ma mi sembrava troppo grande rispetto a una bambina così piccola. Non mi sentivo all’altezza, non mi piaceva la mia voce e soprattutto non avevo gli strumenti. Tante volte non mi sono data una possibilità. Non ho finito il liceo, non ho preso la patente, non ho studiato canto. Ho sbagliato, lo so. A vent’anni avevo deciso che la musica era finita, avevo deciso di non fare più niente. Però sono stata molto fortunata. Ho conosciuto un pianista jazz, il suo nome è Mauro Tre e questa sera è con me sul palco. Grazie perché mi hai dato una possibilità dove non me la sono data io. Tutti meritiamo una possibilità e tu mi hai fatto amare il jazz. Io sono stata la prima ad avere un pregiudizio su me stessa. Quello che mi ha insegnato Mauro è che non bisogna sempre sentirsi all’altezza delle cose, l’importante è avere il coraggio di farle e poi si aggiusta in corsa. Probabilmente io non sono all’altezza di questo palco, ma essere all’altezza non è più un mio problema, perché essere all’altezza è un punto di vista.

Leggi lo speciale di OM sul Festival di Sanremo.