Ginny & Georgia, la caotica dramedy di Netflix cita ma prende le distanze da Gilmore Girls (recensione)

La nostra recensione in anteprima di Ginny & Georgia, accolta come la nuova Gilmore Girls ma diversa per quantità di temi e registri esplorati


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Accolta da tutti come la nuova Gilmore Girls sin dal debutto del trailer, Ginny & Georgia in realtà cita Una Mamma Per Amica e la prende certamente a modello, ma se ne allontana parecchio nel corso della serie.

La nuova dramedy di Netflix è una serie sul rapporto madre figlia ma non solo: Ginny & Georgia ingloba tanti di quegli elementi tematici da far passare il legame principale della trama, talvolta, in secondo piano. Più che una relazione tra una giovane madre e una figlia adolescente è la storia di due donne che cercano di capire come stare al mondo senza snaturare se stesse.

Ginny & Georgia sono madre e figlia in eterno conflitto perché agli antipodi e soprattutto perché le separano appena 15 anni di età ed entrambe, evidentemente, devono ancora crescere. E fin qui nulla di nuovo: l’impianto sembrerebbe lo stesso di Gilmore Girls, anche nel focus sulle diversità caratteriali delle protagoniste. Georgia (Brianne Howey) è disinibita, esasperatamente esuberante, maneggia con la stessa disinvoltura un vibratore e una pistola, l’erba del suo giardino e la marijuana. “Siamo come le Gilmore Girls ma con più tette” è la definizione che da di sé e di sua figlia nei primi dieci minuti della serie. Un personaggio che appare estremamente superficiale ma induce lo spettatore a scoprire la sua storia di vittima di violenza domestica, scappata di casa in autostop, rimasta incinta a 15 anni per la prima volta di Virginia, poi di Austin, infine sposatasi con un ricco uomo più vecchio la cui eredità le serve a rifarsi una vita coi figli. Ginny (Antonia Gentry) è il suo opposto: razionale, sarcastica, apparentemente fredda e saccente, giudiziosa e un po’ criticona, soprattutto verso se stessa, è il grillo parlante di casa, stretta tra lo stile di vita della madre e le sofferenze tipiche dell’adolescenza. Ma è anche una ragazza di colore in una comunità perlopiù bianca, pronta a sottolineare quanto la sua diversità sia un valore da difendere in una città e in una classe che sembrano “la pubblicità di uno sbiancante“.

Ginny e Georgia ha un linguaggio esplicito che si allontana molto da quello edulcorato di Gilmore Girls, qui si parla di sesso davanti a bambini di 9 anni che partecipano alla conversazione, di masturbazione, di pornografia. La prima volta della quindicenne Ginny è rappresentata senza romanticismo né delicatezza, le adolescenti guidano Porsche e BMW decappottabili con la stessa sicurezza degli adulti e l’idea dei rapporti uomo-donna è legata ai concetti di potere e guadagno. Non c’è traccia dell’atmosfera bucolica di Una Mamma per Amica, anche perché non siamo nell’immaginaria e surreale Stars Hollow ma a Wellsbury (altrettanto immaginaria cittadina del Massachussetts, probabilmente un riferimento a West Newbury), leggermente più realistica e al passo coi tempi, in cui ci si interroga sul cibo biologico nelle scuole e sulla liberalizzazione delle droghe leggere. Anche qui però ricorrono stilemi simili a quelli di Gilmore Girls, con strambi personaggi ricorrenti che si muovono tra il municipio e la tavola calda della città in una atmosfera da piccola periferia americana in cui tutti si conoscono e si ritrovano negli stessi luoghi.

C’è in comune tra le due serie il rapporto madre-figlia simbiotico ma a tratti problematico, l’idea che genitori e figli crescano insieme, ognuno nel proprio momento di vita. Ma soprattutto c’è in Ginny e Georgia come in Gilmore Girls una rincorsa alla citazione a tutti i costi, la costruzione di un immaginario della cultura pop pervasivo e al passo coi tempi, che va da Harry Potter a Grease: Live, da Ariana Grande e Billie Eilish a Adele a Lana Del Rey (“una dea della tristezza!“, la definisce Georgia) passando per l’evoluzione di Lady Gaga, da Law & Order a Friends (con la battuta cult “loro non sanno che noi sappiamo che loro sanno!“), ma anche classici della cinematografia come Pretty Woman, A Star Is Born e Via col Vento. E pure l’amore per il junk food unisce le Miller alle Gilmore (anche qui incomprensibilmente, visto il fisico asciutto delle protagoniste).

Il resto di Ginny e Georgia è tutta una trama a metà tra Desperate Housewives, Hart of Dixie (complice la presenza di Scott Porter nel ruolo del sindaco Paul Randolph, un personaggio non troppo dissimile da quello di George Tucker) e un po’ di teen drama vari ed eventuali: una trama la cui voce narrante è un’adolescente di colore con una migliore amica lesbica, alle prese con i primi amori e una madre ingombrante, un fratellino da proteggere e un’inquietudine interiore che si manifesta anche in modi pericolosi. Una giovane donna che deve districarsi tra la ricerca di se stessa e la voglia di affrancarsi da chi l’ha messa al mondo, possibilmente non facendo i suoi stessi errori ma compiendone per conto proprio. A farle da contraltare c’è una madre atipica che somiglia un po’ alla Pretty Woman e un po’ alla Erin Brockovich di Julia Roberts (forse anche per la vaga somiglianza estetica col premio Oscar di Brianne Howey), che si è fatta strada da sola con ingegno, creatività, mentalità da pokerista, forse anche mettendo da parte ogni scrupolo.

Il finale del primo episodio di Ginny e Georgia smorza l’atmosfera da dramedy e introduce un elemento che dipinge la protagonista Georgia come una potenziale criminale, salvo poi lasciarlo in disparte quasi fino alla fine della stagione: chi sia davvero questa madre coraggiosa e brillante diventa quasi l’unico elemento di interesse per lo spettatore, che solo alla fine troverà alcune risposte alle domande che vengono seminate nel corso degli episodi. Se in Gilmore Girls non c’era alcun dubbio sulla natura bonaria delle protagoniste, qui il ritratto di una ragazza madre è un chiaroscuro ed inserisce un elemento blando di mistero nella serie.

Nel complesso Ginny & Georgia è una serie caotica per la quantità di temi trattati – dal razzismo al maschilismo, dai disturbi alimentari all’autolesionismo (con tanto di avviso a chiedere aiuto alle istituzioni preposte) – e che a volte si rilassa troppo su se stessa, spendendo troppo del suo tempo in inutili rappresentazioni del mondo adolescenziale che nulla aggiungono alla trama. Il potenziale per più stagioni però c’è, perché proprio il suo abbracciare una moltitudine di registri ed argomenti la rende, pur nella mancanza di grosse pretese, aperta ad una prosecuzione.