Non ho il PIN sul cellulare. Lo so, è un rischio, ma non ho voglia di star sempre lì a digitarlo, ogni volta che mi capita di dover fare una telefonata e, soprattutto, è questo che faccio più spesso con il cellulare, dovrei dire con lo smartphone, ogni volta che devo andare su un social o sulla mail. Questo ovviamente fa sì che, mi rubassero il cellulare medesimo, la mia rubrica sarebbe a disposizione di chiunque, con buona pace di una bella fetta dei cantanti e discografici italiani, bye bye pricavy, ma così è. Amici, se un giorno vi chiama dal mio numero una voce sconosciuta, beh, sappiate che è un ladro, o uno che ha trovato il mio cellulare e prima di renderlo voleva fare quattro chiacchiere con voi.
Del resto quando sono in giro, siccome non ho neanche la suoneria nel cellulare, o meglio, ce l’ho ma è sempre azzerata, tengo quasi sempre lo smartphone in mano, difficile me lo possano fottere.
A casa, invece, non avere il PIN potrebbe comportare due tipi di rischi, che i gemelli, Francesco e Chiara, nove anni, provino a prendermelo per giocare con qualche diavoleria di quelle che solitamente si scaricano sul cellulare della nonna, o che qualcuno vada a sfrugugliare nelle mie chat, alla ricerca di qualcosa. Entrambe le questioni sono del tutto irrilevanti. I gemelli sanno che se vogliono continuare a usare le mani, quindi a avere le mani, non devono avvicinarsi al mio smartphone, sanno che lo uso per lavoro e devo dire sono piuttosto radicali nel tenersene a debita distanza, le mie chat, come i miei messaggi e la mia casella di posta mail, è del tutto priva di alcunché che potrebbe incontrare l’interesse di un mio familiare, mia moglie in testa. Sa che ho uno scambio fitto, fittissimo con un numero incredibile di donne, addirittura sa che ho una chat con circa un centinaio di donne, tutte cantautrici, nella quale sono il solo uomo, ma sa anche che di me si può fidare, e dubito abbia mai avuto la tentazione di controllare cosa ci si dica da quelle parti. Io, del resto, non ho neanche mai pensato di andare a controllare il suo, di smartphone, al punto che non saprei neanche dire se lei lo abbia o meno, il PIN.
Vede che ricevo messaggi a qualsiasi ora del giorno e della sera, la notte, in genere, tolgo del tutto la suoneria, per evitare disturbi anche involontari, ma del resto accade anche a lei. È lavoro, quasi sempre, e quando non è lavoro è comunque parte della mia vita, di cui lei è il perno centrale. Cosa mai dovrebbe avere da temere da whatsapp o messenger?
L’altro giorno, però, è arrivato un messaggio che mi ha in qualche modo accelerato i battiti, mi ha fatto sussultare, letteralmente.
È stato per un messaggio arrivato da una donna che ammiro profondamente, da ben prima di conoscerla, come in certe frasi a effetto dei libri di Alessandro Baricco, e che, sussulto nel sussulto, mi scriveva a proposito di lei e di un’altra donna che ha in egual misura la capacità di farmi battere il cuore.
Quando ho aperto il messaggio, a dire il vero, non sapevo cosa ci avrei trovato dentro, seppur nella consapevolezza che mai messaggi da quel numero mi possono arrivare senza lasciare traccia, ma a leggere quel che ho letto, confesso, è stata davvero una gran bella e scombussolante emozione. Qualcosa di fisico, forse, più che emotivo, sanguigno.
E proprio di sangue, umori, muscoli e pieghe della pelle parlava quel messaggio, o meglio, il contenuto di quel messaggio, tirava in ballo il piacere, il desiderio, l’autodeterminazione per raggiungere l’uno passando dal secondo e dando al secondo una forma compiuta. Il tutto con parole alte, poetiche, poco adatte forse a una semplice applicazione atta alla comunicazione spiccia e quotidiana.
Di cosa sto parlando, si chiederà qualcuno a questo punto?
Perché evoco la fisicità, gli umori, il desiderio, il piacere e perché lo faccio alludendo, certo, questo ho fatto, giocando con l’ambiguità, anche, forte della protezione inattaccabile che solo le parole possono darci?
Parlo di sesso, sì, proprio di sesso.
Parlo di sessualità, quindi. E di sensualità, che solo in apparenza sono parole simili, interscambiabili.
Un passo indietro, al solito.
È il 2011, dieci anni fa, sto lavorando strenuamente al progetto Anatomia Femminile.
Ne ho già parlato miliardi di volte, non credo serva tornarci su nel dettaglio. Provo a riassumere, pronto a imboccare una strada che non ho mai calcato.
Mia figlia Lucia stava compiendo dieci anni, passando dall’essere una bambina al diventare ragazza, e poi donna, ponendo quindi me, professione scrittore nell’atavico problema di non avere a disposizione uno straccio di parola buona per spiegarle cosa l’attendeva dietro l’angolo, sia da un punto di vista fisico, che sociale. Così, incapacità riconosciuta e presto ammessa, ho chiesto a uno stuolo di cantautrici, quelle che ritenevo le più valide in circolazione, e in circolazione ce n’era molte, ma molte di più ne avrei conosciuto negli anni a venire, di scrivere canzoni che potessero sopperire a questa mia mancanza, partendo ognuna da una parte del corpo, facendone quindi metafora o meno. Anatomia femminile, appunto. Tra queste cantautrici, ventitré sarebbero poi arrivate nella tracklist del progetto, uscita il 23 settembre 2011, c’era uno strano duo di artiste palermitane, le Iotatola. Già il nome mi aveva attratto, Iotatola stava per “Io da sola” detto con il linguaggio dei bambini, ma era la loro maniera di scrivere e cantare canzoni, pop, certo, ma sofisticato, con venature jazz e rock, alt-rock, che si mescolavano con una naturalezza che raramente avevo trovato. Il loro album, Divento viola mi aveva letteralmente stregato, e le volevo a tutti i costi nel progetto, anche a costo di dover riaprire un progetto che nei fatti era praticamente chiuso. All’epoca ero un ex critico musicale, momentaneamente in stand-by, dedito alla scrittura di libri, ma avevo comunque buone conoscenze nel mondo musicale, così ero riuscito a contattarle, e per qualche volta ci siamo sentiti al telefono. Ricordo che, fatto che indubbiamente ha espanso la mia stima nei loro confronti, Serena e Simona, questi i loro nomi, hanno subito manifestato interesse ma anche diffidenza nei confronti del progetto e di me che il progetto avevo ideato, con la collaborazione in quel primo caso della fotografa Zoe Vincenti, incaricata di fotografare tutte le artiste coinvolte, creando artisticamente e visivamente la parte del corpo cantata.
Per farla breve, ci siamo sentiti un po’ di volte ma non se ne è fatto nulla. Con stima, certo, ma nulla. Anatomia Femminile è uscito, si è a suo modo e suo e mio malgrado, il giorno dopo l’uscita mi sono nati i gemelli, Francesco e Chiara, diciamo che ero un filo distratto durante la promozione, e da quel momento il cantautorato femminile è diventato una parte preponderante del mio lavoro.
Così che quando, nel maggio del 2014, ho dato vita a una seconda edizione dell’antologia Anatomia Femminile, ho ricontattato le Iotatola, Serena e Simona. Nel mentre le avevo anche intervistate, per Popon, e giuro che ho fatto di tutto per cercare quella prima intervista, senza riuscire a trovarla, mi spiace. Chiacchierare con Serena e Simona, le Iotatola, è stata una bella esperienza, artiste decisamente più colte della media nazionale, poco inclini a quella forma di paraculismo che spesso colpisce chi pensa che essere accondiscendente con chi poi dovrà scrivere di te sia cosa giusta da fare, ma dovete credermi sulla fiducia. Quando quindi nel 2014 ho pensato a una nuova antologia di Anatomia Femminile, stavolta cinquanta erano le artiste coinvolte, ho contattato Serena e Simona, non ricordo esattamente quale delle due, salvo scoprire che le Iotatola erano andate per sempre, Iodasola il loro canto del cigno.
Quindi niente, neanche stavolta.
Un vero peccato, ho pensato, anche se a ben vedere un peccato che come certi peccati, torno a giocare con le ambiguità, aveva anche un chiaro risvolto piacevole, avevamo perso un grande duo, forse il migliore in circolazione in Italia, e togliete pure quello stupido forse, ma avevamo guadagnato due artiste decisamente interessanti, Serena Ganci e Simona Norato, questi i nomi all’anagrafe nella loro interezza.
È il 23 luglio del 2015, un annetto dopo i fatti di cui sopra, inizio a collaborare con un nuovo giornale di musica, ho da poco ripreso a fare il mio mestiere di critico musicale, per quella serie di congiunture astrali che faticherei a spiegare con raziocinio decido che in quella sede scriverò esclusivamente di artiste donne, e nel farlo decido da partire dall’album d’esordio di Simona Norato, La fine del mondo, se cercate online ancora lo trovate. L’album è molto bello, anche oggi, a sei anni di distanza, e Simona ha una scrittura matura e decisamente poco convenzionale. Esci e divertiti, lo dico sempre senza paura di smentita, è una delle canzoni d’amore più cristalline che io abbia sentito negli ultimi anni, di un romanticismo doloroso e severo.
Passano altri mesi. Nel mentre sono diventato una firma più pesante di prima, ho iniziato a lavorare per RTL 102.5, ho iniziato a fare televisione, la mia visibilità getta la propria ombra benefica, sempre che esistano ombre benefiche anche fuori dall’estate, sui miei articoli, che fanno numeri pazzeschi.
Mi scrivo con Simona, così, per sapere come vanno le cose. Mi dice che ha inciso un nuovo album, ma non ha una casa discografica, né un promoter che si occupi dei suoi live. La cosa mi spiazza, trovo il suo talento, come quello della sua ex socia Serena, non ho mai avuto il coraggio di chiedere loro cosa sia successo, talmente evidente da essere quasi sfacciato. Scrivo un post su Facebook, nel quale scrivo che trovo il fatto che una come lei sia senza contratto attesti che la discografia italiana tutta non ci ha davvero capito un cazzo. Lo pubblico, così, per dovere civile. Dopo qualche ora, forse il giorno dopo, Simona mi dice che è stata contattata da un promoter, che le ha detto di aver letto il mio post e ne è rimasto colpito. La cosa, confesso, mi lusinga, ma soprattutto mi fa piacere che il post possa, mi auguro, muovere qualcosa. Sono visibile, molto, e la cosa mi crea disagio, ma forse questa visibilità può avere un buon fine, penso.
Simona è al momento in tour con Cesare Basile, come turnista. Si trova dalle mie parti, a suonare sul Monte Conero. Le chiedo di mandarmi un piccolo video di lei che suona qualcosa dal vivo, un video fatto ad hoc per essere pubblicato sui miei social. Lo fa. Lo pubblico. È il cinque luglio 2017.
Mi viene una idea, perché non fare che questa semplice idea, il chiedere a cantautrici di registrare un loro video ad hoc per me nel quale eseguano dal vivo, come, dove e con chi vogliono, anche a casa, un video homemade, anche amatoriale, purché di una loro canzone e dal vivo, perché non fare di questa semplice idea un format, qualcosa che aiuti una parte del sistema musica tenuta colpevolmente in ombra a emergere, a trovare i giusti spazi e la giusta luce?
Nasce il Festivalino di Anatomia Femminile.
C’è una puntata zero, con Victoria Hyde, coi suoi Vittoria & The Hide Park, poi parto con Ilaria Porceddu, che da quel momento sarà una presenza costante nei miei progetti al femminile, non solo i Festivalini, quindi, ma il monologo sul corpo Cantami Godiva, il TedX Venere senza pelliccia, Femminile Plurale seconda edizione. Per tutto il tempo della prima edizione io non posterò nulla, neanche un articolo, scomparirò lasciando che siano questi video a prendersi la scena. La cosa funziona, inizio a ricevere decine di video da artiste che non conosco. Il Festivalino diventa altro da quel che doveva essere. Col tempo diventerà uno degli appuntamenti al femminile più importanti in Italia, seppur così, virtuale. Avrà certo qualche versione fisica, al Mei 2018, A Sanremo 2019 e 2020, ma vederlo citato al TG1 o comunque indicato da realtà ben più grandi e serie come il Premio Bianca D’Aponte come un fratello minore mi emoziona ancora molto.
Nella prima edizione ci saranno centoquarantacinque video, a chiudere, come in apertura, Ilaria. Nell’edizione del 2018 ottantotto video, in quella del 2019 ottantanove, cui seguiranno i ventidue del Festivalino Off, andato in onda durante i mesi di novembre e dicembre, la sola Adel Tirant a animarlo, e la versione Quarantine Edition, con settanta artisti in un’unica successione di live, per arrivare ai sessantacinque dell’edizione 2020, un totale di quattrocentocinquantanove video, trecentocinquanta artiste coinvolte.
Tra queste una grande assente, proprio Simona Norato, nel mentre uscita con un secondo album, Orde di brave figlie, del 2018, e dopo essere stata al fianco di Dimartino ora è al fianco di Iosonouncane, polistrumentista unica nel suo genere. Un suo concerto a Milano, a Campo Teatrale, visto con mia figlia Lucia e con la presenza speciale proprio di Iosonouncane è uno degli spettacoli più belli visti da che vivo a Milano. Serena è invece presente, già dalla prima edizione. Con lei mi lego di più, affinità elettive, credo. Come credo sia preciso dovere di chi fa il mio mestiere le sto dietro, nel senso nobile del termine, la pungolo, la spingo a scrivere, non che questo abbia un peso, intendiamoci, ma penso che sia un dovere provarci, la seguo e per come posso le consiglio di lavorare a nuove canzoni. Lei lavora molto col teatro, col cinema, inizia una collaborazione proficua con la regista Emma Dante, ma arriva a comporre un nuovo album, Non ti amerò per sempre, di cui vi ho parlato qui. Dire che rientra nel novero delle mie artiste preferite in assoluto è dir poco, credo si intuisca leggendo queste mie parole.
Piccola nota a margine, e poi torno ai messaggi, al desiderio, al piacere, Simona Norato non è parte del Festivalino di Anatomia Femminile, nonostante sia stata a pieno titolo colei che me lo ha ispirato perché non è dell’idea che sia sensato parlare di cantautorato femminile. Ritiene che femminile non sia un genere musicale, e ha forse in parte ragione. Io la vedo diversamente, il fatto che non ci sia, ca va sans dire, mi spiazza, certo, ma con estremo rispetto.
Torniamo al messaggio da cui tutto è partito.
È tardi, sono le undici passate, credo. Ricevo un messaggio da Serena Ganci. Ci vogliamo molto bene, seppure non ci siamo mai incontrati, a volte la vita ti lega anche a distanza, sempre che sia distanza il vivere a oltre mille chilometri di distanza.
Mi gira un brano, con poche parole di accompagnamento, “Et voilà. Il brano si intitola Sexophilia”. Non servono spiegazioni, già so. Serena mi ha detto, infatti, di essersi di nuovo incontrata con Simona, dopo anni. Mi ha anche detto di aver fatto una cosa con lei.
Eccola.
Sexophilia.
È una canzone che di colpo mi proietta in quel mondo laterale che era il mondo con il quale le ho conosciute, dieci anni fa, ma in realtà è un altro mondo, le ragazze di trent’anni di allora ora sono donne, più spigolose, dannatamente sensuali, disturbanti e conturbanti come l’arte in certi casi sa e deve fare.
La canzone, muove i passi da un testo di Henry Miller nel quale si parla di fiche meccaniche e di una visione decisamente eversiva della sessualità, stando almeno ai nostri canoni bigotti e ingessati. Il brano, del resto, è stato inciso per una mostra di disegni erotici di Francesco De Grandi e Daniele Franzella, come colonna sonora, e inizialmente vedeva la presenza nel progetto anche di Veronica Lucchesi de La Rappresentante di Lista, altro duo incredibile, e questo mi dà lo spunto per pensare che Palermo, oggi come oggi, sia uno dei posti decisamente più artisticamente potenti di tutta Italia, e forse anche non solo dell’Italia. Anche solo pensare le loro tre voci insieme mi emoziona, magari sarà per un’altra volta.
Nei fatti Sexophilia è una canzone vera e propria, non qualcosa di messo su per una mostra, e una canzone di quelle che non si riesce a smettere di ascoltare, una canzone che ci provoca piacere e che come spesso capita con le cose che ci mettono piacere, ci mette anche un certo disagio addosso, come se il piacere fosse cosa da tenere a bada, una canzone a firma Serena Ganci e Simona Norato, le Iotatole non ci sono più, è bene ribadirlo, sembrano volerci dire, e che anche per questo ci mette addosso tutta una serie di rimpianti per quel che sarebbe potuto essere e non è stato, rimpianti subito confortati da quel che nel mentre è stato e è, già ho detto a riguardo.
Sexophilia, che io, per inciso, avrei chiamato Fica Meccanica, seppur fica con la c non lo direi neanche sotto tortura, questioni campanilistiche e regionali, ma il titolo della canzone è anche il titolo della mostra, è una canzone che ora vive di vita propria, anche fuori da quella mostra, disponibile sotto forma di video e presto anche nelle varie app di streaming.
Ho detto prima, confermo, che il mio cellulare non ha PIN. Non ho nulla da nascondere a nessuno, tanto meno a mia moglie. Può aprirlo quando vuole, dubito lo faccia o lo abbia mai fatto, e farsi un giro, non c’è nulla da tenere nascosto, fossi stato io dentro il film Perfetti sconosciuti avrei mandato a puttane la trama.
Ma confesso che ricevere nottetempo una canzone così bella, così sfacciatamente sessualizzata e sensuale, forse, ipotizzo, eh, è qualcosa da tenere nascosto. Come se avessi ricevuto un messaggio erotico, penso, e Sexophilia, in parte, lo è, solo che non sono io il destinatario, o almeno non solo io. Sono semmai un destinatario privilegiato, che ha avuto il piacere di ascoltare la canzone prima degli altri, le amiche sono lì anche per quello, perché sanno che la musica è sì le rose, quelle cantante da Ken Loach ne Il pane e le rose, ma è anche e soprattutto pane, senza si morirebbe di fame. Sexophilia è rose, è pane, e una fica meccanica che passa dalla voce dolcemente arrochita di Serena, da quella profonda di Simona, dalle immagini bizzarre e sopra le righe del video che accompagna queste note e queste parole, video che mi è ovviamente arrivato su Whatsapp, con un messaggio sempre a tarda notte, poche parole di accompagnamento, una macchina per fottere che va a elettricità che arriva dritta dritta dall’America, una macchina che si può spegnere. Una canzone che è un manifesto, mi troverei a disagio nel dover decidere se definirlo di femminismo o post-femminismo, perché l’idea di sesso che ne esce è sì emancipata, ma dotata di quel tocco di ironia tagliente come certi fogli di carta che ci fanno sanguinare le dita, l’ironia non è esattamente il terreno più frequentato dalle femministe, vien da pensare. Una canzone che ora però ci mette di fronte a una attesa che sappiamo difficilmente verrà esaudita, una aspettativa che nessuna, credo, intende evadere. Nuove canzoni, certo, a doppia firma, a doppia voce, va bene anche se nessuno dovesse più evocare le Iotatola, non è necessario farlo, noi lo sappiamo.
Oggi è San Valentino, festa degli innamorati creata ad hoc da chi aveva fiori, lingerie o cioccolatini da vendere. Fatevi un bel regalo, anche se foste single, andatevi a ascoltare e vedere Sexophilia, di Serena Ganci e Simona Norato, e a seguire tutto quanto hanno fin qui composto e inciso, da sole o con il duo che non sono mai riuscito a infilare dentro una delle antologie intitolate Anatomia Femminile. Fate però attenzione a non ascoltarla in pubblico, potrebbe succedere che vi vedano turbati, questa è musica senza alcun pudore.