Non sono andato agli ascolti dei brani in gara al prossimo Festival di Sanremo. Sticazzi, dirà qualcuno. Sticazzi, in effetti. Non è una grande notizia, anche se immagino qualcuno sarà curioso di sapere cosa penso dei brani, visto che in tanti me ne hanno chiesto. Non ci sono andato per almeno un paio di buoni motivi, e il modo in cui ve li presenterò, questi motivi, lo so, mi farà arrivare ai vostri occhi in una luce diversa.
Parto, quindi, per quella forma di onestà intellettuale che mi contraddistingue, dal motivo che mi farà uscire nel modo peggiore. Non ci sono andato perché nessuno mi ha invitato a andarci, quindi a dirla tutta neanche lo sapevo che c’erano gli ascolti. Non è vero. Non del tutto. Ma mi andava di far passare l’idea che io sia marginale. Anche a beneficio di chi marginale lo è davvero, pur essendoci andato. È vero che non sapevo che il giorno degli ascolti era arrivato, ma non è vero che per accedervi si debba essere invitati, è chi vuole accedere che deve fare formale richiesta, si parla della RAI, così come per le conferenze stampa di Amadeus e tutto il resto.
Mettiamola così, nessuno ti corre dietro.
Per essere inclusi alla lista di chi può andare in RAI, nella sede di Corso Sempione di Milano, a ascoltare in anteprima i brani in gara al Festival bisogna fare precisa domanda, compilando apposito coupon. È così da anni. Non compilare quel coupon corrisponde automaticamente a non poter andare agli ascolti, seppur noi si sia in Italia, e si sa che in Italia tutto è possibile, facendo le telefonate giuste. Anche per avere gli ambiti accrediti per poter andare in Sala Stampa, a Sanremo, tocca fare domanda compilando apposito coupon, questo almeno negli anni passati, quando la Sala Stampa era un luogo cui accedevano centinaia di persone. Avere anche un posto a sedere era un passo successivo, e lì aveva un suo peso anche il nome del giornale per il quale si andava. Andare coincideva col poter votare, nelle sere in cui è previsto che la Sala Stampa voti, e dare la propria preferenza per il Premio della Critica intitolato a Mia Martini. Negli ultimi anni, da che ho ripreso a scrivere di musica non solo nei libri, sono andato a Sanremo con continuità, incluso nella lista di chi può ascoltare i brani in anticipo, a Milano, e con regolare accredito per la Sala Stampa, un posto a sedere. L’accredito, lo confesso, l’ho sempre chiesto per un unico motivo, andare a ascoltare le prove aperte ai giornalisti, il lunedì pomeriggio, unica occasione nella quale l’Ariston è aperto a chi di musica deve scrivere, per il resto, a parte il primo anno, il 2015, non ho mai frequentato la Sala Stampa, organizzandomi in location mie e mie soltanto, gli ultimi due anni in quell’Attico Monina che avete avuto modo di seguire proprio qui. Certo, aver attaccato duramente la RAI con la faccenda del conflitto di interessi di Salzano e Baglioni, prima, Pinuccio di Striscia la Notizia al mio fianco, e di Salini e MN, poi, ha reso la mia figura non graditissima all’azienda della nostra televisione di stato, ma figuriamoci se avessero mai pensato di tagliare fuori proprio quello che li stava bastonando, neanche un folle lo farebbe, mi avrebbero dato occasione di denunciare la cosa, rafforzandomi, e non avere il pass, ripeto, mi avrebbe negato solo il piacere delle prove aperte, poca cosa. Quest’anno, quindi, avrei potuto serenamente accedere agli ascolti in RAI, a Milano, e forse anche chiedere il pass per Sanremo, non ho ben capito come funziona, ma non ho nessuna intenzione di andare a Sanremo, a fare lavoro da remoto che posso serenamente fare da casa, mai si potranno incontrare gli artisti di persona, dice il protocollo RAI e men che meno creare occasioni collaterali di incontro.
Però, e questo è il secondo motivo, quello che mi farà sicuramente apparire come un arrogante, ma che, a vederla sotto una prospettiva meno ostile, farà di me il solito outsider che se ne sta per i fatti suoi, forte della propria visibilità ma soprattutto della propria credibilità, ho deciso che se Sanremo da casa deve essere Sanremo da casa sarà, quindi non mi sono affatto interessato a come accedere ai preascolti, finendo per scoprire che erano avvenuti nel momento in cui, appunto, erano già avvenuti, l’altro giorno. Con questo ci ho rimesso, si fa per dire, il poter ascoltare prima le canzoni che poi dovrò giudicare con i miei scritti durante il Festival, ma ci ho decisamente guadagnato la sorpresa sempre negata da che scrivo di musica di scoprire le canzoni quando vengono presentate all’Ariston, in diretta TV, e ancor più il non aver dovuto passare una intera giornata, mascherine e distanziamento sociale, in compagnia di tutti coloro che a ben vedere potrei definire i miei colleghi, fatto questo che suppongo abbia fatto assai piacere anche a loro.
Tutti felici e contenti, quindi.
Quando però ho detto che sarà il primo anno in cui scoprirò le canzoni direttamente con tutti gli spettatori, durante la trasmissione tv che porta il nome di Festival di Sanremo, ho detto, in maniera sottintesa, anche altro.
Questo è pure il primo anno da almeno una ventina e passa a questa parte, che arrivo al Festival senza aver ascoltato quasi nessuna delle canzoni in gara, mentre in genere accedevo agli ascolti in Corso Sempione conoscendone già una buona porzione.
A farmeli ascoltare in vero anticipo erano (sono) in genere gli artisti stessi, alcuni buoni amici, altri conoscenti, sempre e comunque parte del medesimo ambiente nel quale operiamo tutti. Ci sono stati anni in cui sono arrivato ai preascolti che ne conoscevo quasi la totalità, complici in alcuni casi anche i discografici e gli uffici stampa, anche se col tempo quelli sono rapporti che sono andati logorandosi.
Quest’anno poche, quelle che in effetti mi interessavano, perché ho deciso di non volermi rovinare la sorpresa, certo, ma anche perché il distanziamento, l’isolamento, dovrei dire, nel quale abbiamo vissuto, mi ha tenuto fisicamente lontano da tutti, amici artisti compresi. Amen, ce ne faremo tutti una ragione.
Confesso che ci sono alcune canzoni che mi incuriosiscono molto, e sto tenendo gli affetti fuori dalla porta, quindi non pensiate che il discorso appena fatto io lo affronti così, come niente fosse, ma credo che una scelta sia tale se uno la porta fino in fondo, e così è stato e sarà quest’anno.
Ho però letto le pagelle di buona parte di quelli che sono andati a ascoltare le canzoni in RAI, quasi tutti a fare post o tweet con il il plico dei testi con su stampato il proprio nome, per intendersi, così uno si fa un’idea precisa del livello. Le ho lette non perché io abbia stima di chi le scrive, diciamo più per una forma di interesse antropologico, notare parola dietro parola l’atteggiamento che chi scrive di musica ha nei confronti non tanto delle canzoni, quelle non le ho sentite, quanto piuttosto degli artisti, in alcuni casi pesando non poco l’influenza di chi con quegli artisti lavora, è sempre un grande esercizio di approfondimento della natura umana, oltre che confermarmi quanto davvero il giornalismo musicale in Italia sia frequentato da gente che di musica non capisce letteralmente un cazzo.
Cosa ho quindi letto sfogliando le pagelle online dei preascolti di Sanremo.
Innanzitutto che, di fronte a nomi che chi scrive evidentemente poco conosce, o non conosce per nulla, ma che sa appartenere a un ambito musicale osannato da chi di musica invece ne capisce, cioè di chi scrive per le riviste o i siti di settore, è sempre bene tenere un atteggiamento prono, come di chi ha una sorta di sudditanza psicologica intellettuale. Così i voti più alti se li sono presi tutti Colapesce e Dimartino, La Rappresentante di Lista, i Coma_Cose, con Fulminacci ballerino, forse troppo giovane per aver quel tipo di allure. Non escludo affatto, conoscendo quei nomi, che le loro siano in effetti gran belle canzoni, ma siccome non ho mai letto i firmatari delle pagelle elogiarli in loro articoli e approfondimenti, credo che la mia lettura dei fatti sia quantomeno verosimile, anche se io tenderei a darla per certa. Anche Madame, ovviamente, ha fatto una bella incetta di voti alti. Lei è oggettivamente molto brava, parlare male di lei risulta davvero impresa difficile. Ho visto che molti non hanno dato voti a Orietta Berti, e immagino sia una scelta facile facile, lei è una sorta di superospite però in gara, e ho notato che ormai i ragazzi de Lo Stato Sociale sono entrati nel megagruppo dei mainstream, trattati come veterani nonostante abbiano un solo Festival alle spalle e nulla nel mezzo.
Non intendo certo star qui a fare l’elenco di tutti i cantanti, se no sarei andato a fare gli ascolti, vorrei invece concentrarmi su due altri aspetti curiosi.
Primo, Gigi D’Alessio, spesso se non sempre osteggiato dalla critica, la nostra amicizia è nata proprio da un mea culpa fatto alla sua partecipazione di qualche anno fa, quando ho ammesso di aver avuto nei suoi confronti dei grandi pregiudizi, malriposti, e dall’aver fatto notare come proprio ai preascolti in Rai lo avessero sfottuto, salvo poi fare i carini, perché Gigi è comunque uno che vende, che fa programmi tv, insomma, uno che ha un suo peso, ecco, Gigi D’Alessio, spesso se non sempre osteggiato dalla critica è di colpo diventato un artista riconosciuto per il suo talento, senza se e senza ma. Quest’anno è in gara come autore del brano di Arisa, e tutti hanno sottolineato come sia una gran canzone, scritta da un grande autore. Non ho sentito il brano, ripeto quanto su detto, ma non ne dubito, registro solo un cambio di rotta dei miei sedicenti colleghi, e ne sono felice.
Altro aspetto che però salta agli occhi, constatando voti in media decisamente molto ma molto alti, diciamo che i miei sedicenti colleghi non hanno mai brillato per prendere posizioni nette e a rischio di perdere la benevolenza di discografici e uffici stampa, è come quest’anno si siano accaniti tutti, ma proprio tutti tutti, su Francesco Renga. Una unanimità di insufficienze come neanche Random, che non so chi sia, va detto, ma che a occhio non mi sembra sia uno destinato a riscrivere la storia della musica leggera italiana. La cosa che tutti, più o meno, hanno sottolineato è come Renga, col brano che porta a Sanremo, fa Renga. Cioè canta una canzone che ne mette in risalto la voce, con cambi di tonalità e passaggi evidentemente composti ad hoc, e il tutto, cioè che uno dei cantanti più talentuosi dal punto di vista tecnico della nostra musica leggera faccia se stesso, evidentemente, è stata imputata come colpa degna di una condanna a morte. Poco conta che ci sia un giusto mix di classico e contemporaneo, confrontate bridge e ritornello, please, poco conta che ci sia una costante presenza della voce, le strofe molto cantate sono una caratteristica delle canzoni indie, magari qualcuno se ne sarebbe dovuto accorgere, anche se qui, grazie a Dio, della sciatteria indie non vi è presenza, poco conta che questa sia una canzone nella quale la presenza degli archi ha un peso, andare a Sanremo e non tenerne conto non fa di te uno figo, solo uno che non sa sfruttare ottime occasioni. Conta tutto poco, dare insufficiente a Renga è stato per tutti facile, ma forse dovrei dire comodo.
Ovviamente non è stato detto solo questo, ci mancherebbe, si è anche sottolineato come Renga, il Renga di quest’anno, non sia del tutto in linea con una Madame o uno dei tanti altri concorrenti giovani in gara quest’anno. In effetti, perché dovrebbe, a cinquantadue anni?
Uniche eccezioni, a occhi, Tortarolo e Mangiarotti, due che in effetti di musica ne capiscono, non a caso.
Allora. Provo a fare un ragionamento a voce alta. Teorico, non ho ascoltato la canzone.
Francesco Renga è un cantante pop, pur arrivando da una avventura come quella dei Timoria. Ha cinquantadue anni, quasi cinquantré, so che ribadire la cosa lo farà incazzare, ma tant’è. Ha una voce molto bella, particolarmente educata, è uno che ha sempre studiato e continua a farlo, pensa te che roba biffa, una delle più belle in giro in Italia. In passato ha fatto alcune canzoni che hanno messo in risalto quella voce, se penso a Sanremo non posso non citare Angelo, vincitrice nel 2005, o La tua bellezza, scritta per lui da Diego Mancino, canzoni classiche, per certi versi, che andavano a toccare note difficili da prendere e tenere per un uomo. Ha poi avuto dei momenti meno felici, quando cioè ha fatto l’occhiolino a certo giovanilismo, finendo per farsi scrivere canzoni da autori che con lui nulla avevano a che fare.
Io sono un suo amico da una vita. Gli voglio bene. Non ho mai nascosto la cosa, a partire dal mio comparire proprio nel video di Angelo. Quando c’è stato da attaccarlo, perché ha cantato canzoni che ritenevo poco adatte a lui, alla sua storia, alla sua voce, l’ho scritto. La citavo giorni fa, anche quando c’è stato da dirgli pubblicamente che forse era il caso di cantare canzoni con testi che raccontassero più il suo essere un uomo di mezza età l’ho fatto, scrivendogli una lettera aperta, lettera aperta che non ha sortito sul momento effetti, ha pubblicato subito dopo Nuova Luce, credo la sua canzone più brutta, ma che forse qualcosa ha lasciato in lui, come suggestione. O magari no, semplicemente a un certo punto, dopo anche aver sperimentato linguaggi e suoni più vicini a quelli dei nostri figli che a noi, io e Francesco abbiamo un anno di differenza, ha capito che la sua strada è quella di una canzone classica, che metta la sua voce in condizione di farsi sentire al meglio. Perché la canzone che presenta in gara quest’anno, Quando Trovo Te, è un brano perfettamente in linea con l’idea di sofisticata canzone pop del più classico Francesco Renga, con quei cambi di tonalità, la voce che si arrampica in alto nel ritornello, le tracce che si raddoppiano, una orecchiabilità che non insegue la via della semplicità, tenendo però l’ostilità di ciò che si pone come difficile a debita distanza. Una gran bella canzone pop, una delle sue migliori, che però forse non è quello che il Festival dei Fulminacci e dei Gio Evan può metabolizzare, vallo a far digerire a chi non ha mai mangiato altro che Big Mac.
Attaccare lui, oggi, è l’esercizio più semplice del mondo, non a caso con lui quelli che hanno pagato il conto peggiore da queste pagelle dei preascolti sono Annalisa e Noemi, ripeto, non ho sentito le loro canzoni, tutti artisti e artiste che comunque hanno dalla loro una vocalità importante, fatto che oggi sembra quasi un difetto, e che comunque hanno con Sanremo una consuetudine che quest’anno è quasi un problema, tanti e tali sono gli esordienti.
Francesco non è uno di quelli che tendono a rompere troppo le palle, fare pressioni, ritorsioni o altro, so che detto così suona strano, ma il mondo del critico musicale è un continuo doversi scontrare con atteggiamenti bizzosi e avvicinabili ai capricci dei bambini piccoli, non ha neanche un tale peso nella filiera da far correre rischi a chi si mettesse contro di lui, per essere chiari.
Di più. È uno che, nel corso degli anni, ha infilato una dietro l’altra gaffe, proprio a Sanremo, che sicuramente non hanno fatto di lui uno inattaccabile, penso solo all’anno in cui ha detto che il lunghissimo e acclamatissimo monologo di Celentano aveva rotto le palle e che al centro del Festival ci sarebbe dovuta stare la musica, era il 2012, anno di La Tua Bellezza, e dopo quelle parole i suoi passaggi in gara sono sempre avvenuti casualmente dopo mezzanotte, o quando al DopoFestival si è incaponito a spiegare che le donne erano assenti dal cast del Festival perché hanno una voce che, per questioni di frequenze, non è gradevole all’udito.
Metteteci anche un aspetto piacione, torso nudo, mani piene di anelli, testosterone a palle, ecco, diciamo che in epoca gender fluid, arcobaleni e trasversalità dei linguaggi lui rappresenta quanto di più antitetico a tutto questo possa venire in mente, una sorta di incarnazione di machismo gentile che non avrebbe sicuramente trovato spazio, faccio un esempio direi abbastanza definitivo, all’insediamento di Biden.
A me, questa cosa, il fatto che non potendo dire esplicitamente che la canzone di Fedez e la Michielin è una cagata pazzesca, perché loro invece sono sì inattaccabili per questioni altre dalla musica, per dire, fa un pochino rabbrividire.
Scegliere un capro espiatorio che, in quanto capro espiatorio, non implichi strascichi, e colpire duro lì, lasciando tutto il resto a godersi applausi a scena aperta, mi sembra davvero esplicativo di un atteggiamento di asservimento che la categoria dei giornalisti musicali ha ormai eletto a emblema.
Peccato che in teoria la categoria in questione, più che lasciarsi andare a piaggerie e complimenti a chi al momento ha un peso specifico, dovrebbe occuparsi di musica, analizzando le canzoni per quel che sono, e pensare che un cantante cinquantaduenne alla nona partecipazione al Festival avrebbe nei fatti dovuto essere altro da sé, detto in parole povere, non mi sembra grande esercizio di critica.
Uno a questo punto potrebbe dire, va beh, ma che ti frega di cosa pensano quei colleghi dai quali ostenti una così grande lontananza?
Che ti importa il parere di gente che evidentemente non stimi, al punto dal preferire stare a casa in ciabatte piuttosto che infilarti da qualche parte a sentire con loro le canzoni del prossimo Festival?
Tutto vero, e sacrosanto. Non fosse che c’è questo piccolissimo dettaglio che, proprio prima che il Festival inizi, mi sento di sottoporre alla vostra attenzione. La categoria dei giornalisti musicali al Festival di Sanremo vota. Contribuisce, in sostanza, a stabilire chi vincerà, certo, ma anche chi perderà, complice il pubblico da casa e l’orchestra. Quindi se la categoria in questione è mossa da pregiudizi, fossero anche pregiudizi dettati da una loro scarsa conoscenza della materia, o più da una malafede che li spinge a avere almeno qualcuno da trattare male così da non passare per gente di bocca troppo buona, la cosa diventa un problema, almeno da un punto di vista etico. C’è poi la faccenda della Sala stampa ristretta, perché almeno su un campione più ampio il voto sarebbe potuto essere più variegato, e meno dettato da strategie come quella appena descritta, ma quest’anno c’è il Covid, a chi vuoi che interesserà se a stabilire chi vince o meno Sanremo saranno anche i quattro gatti che staranno in Sala Stampa, i soliti quattro gatti, ovviamente, gente che faticherebbe a distinguere una settima diminuita, ma che sa perfettamente su quale tartina gettarsi al buffet dopo una conferenza, e soprattutto quali sono i culi da umettare e quelli che si possono anche lasciare asciutti.
Ovvio che qualcuno penserà che sto difendendo, difendere da che e da chi, poi, boh, un amico.
Vero, e quindi?
A prescindere dal fatto che di amici in gara, quest’anno, ne ho diversi, resta l’ineluttabilità del fatto che di quel che pensano gli altri, onestamente, poco mi interessa. Detto questo, non ho fatto segreto del mio tifare per La rappresentante di lista, quest’anno, lo ribadisco ora, a fronte di ipotetici equivoci, poi le canzoni faranno il loro lavoro, ma il tifo nulla ha a che fare con l’obiettività della critica, quella è altra cosa.
Se i motivi che hanno spinto i miei sedicenti colleghi a attaccare Francesco Renga, sbertucciandolo nelle pagelle, è di aver portato una canzone perfetta per la sua voce e la sua poetica, quel trucco del doppio ritornello, perché a questo funge in effetti il bridge, aperto e arioso, a suo modo classico, prima del ritornello vero e proprio, ritmato e ossessivo, decisamente contemporaneo, beh, speriamo che da ora in poi faccia sempre di questi errori, che diamine.
Io continuo a pensare che certi comportamenti siano davvero miserevoli, ben più che dire che Celentano ha rotto il cazzo, che le donne hanno frequenze sgradevoli all’udito o ostentare mascolinità, il giorno i cui la Sala Stampa non avrà più modo di fare danni, i danni relativi al Festival, sia chiaro, sarà sempre troppo tardi.