Rocketman, la vita al massimo di Elton John nel biopic con Taron Egerton

Appuntamento alle 21.20 col musical sulla vita dell'icona pop, tra luci (moltissime) e ombre (moltissime). Una classica struttura “ascesa, caduta, rinascita” per un film luccicante, ma prevedibile. Egerton, ottimo, canta con la sua voce

Rocketman

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Rocketman, il biopic sulla vita di Elton John, forse anche per non esser tacciato d’essere agiografico, visto che il cantante il film lo produce pure, comincia dal punto più basso della sua vita. Vediamo Elton (Taron Egerton) ripreso a ralenti in un corridoio, vestito con una delle sue sgargianti mise, circonfuso da un leggendario alone di luce. Ma non sta per salire sul palcoscenico a raccogliere la gloria, come ci aspetteremmo, sta raggiungendo il suo gruppo di terapia. Una volta tra loro, ripreso in primo piano e guardando negli occhi lo spettatore, ammette, senza mezzi termini: “Io sono un alcolizzato e un cocainomane”, aggiungendo una lunga lista di altre dipendenze.

Da lì comincia un lungo racconto in flashback, che parte da Reginald Dwight, questo il vero nome dell’artista, un bambino (Matthew Illesley) cresciuto nel sobborgo londinese di Pinner da una famiglia non proprio ideale, con un padre assente e anaffettivo e una madre solo anaffettiva (Bryce Dallas Howard; fortunatamente c’è la nonna che crede in lui). Reggie manifesta un’eccezionale predisposizione per la musica, che gli apre, una volta divenuto adolescente (Kit Connor), le prestigiose porte della Royal Academy of Music.

Rocketman
  • The disk has Italian audio and subtitles.
  • Taron Egerton, Jamie Bell, Richard Madden (Actors)

Lui però preferisce il rock’n’roll. L’incontro con il giovane paroliere Bernie Taupin (Jamie Bell) darà vita a una delle più fortunate (e longeve) coppie della musica pop. Quello invece con l’avido e manipolatorio produttore John Reid (Richard Madden), di cui Elton ahilui s’innamora, sarà la sua rovina, conducendolo in una spirale autodistruttiva di dipendenze in cui dolori antichi e nuovi si mescolano. Fino all’ultima parte, in cui trovando un equilibrio tra le due sue anime, quella introversa di Reginald e quella istrionica di Elton, recupererà il rispetto per sé stesso.

Inevitabile, guardando Rocketman, pensare a Bohemian Rhapsody, dedicato alla vita di un’altra leggenda della musica come Freddie Mercury, anche perché i due film condividono pure il regista, Dexter Fletcher. Che stavolta è responsabile dell’intero progetto, mentre nell’altro caso subentrò alla fine per salvare capra e cavoli dopo l’improvviso licenziamento di Bryan Singer. Il biopic di Elton John però non è riuscito a ripetere l’incredibile exploit del predecessore, che raggranellò oltre 900 milioni di dollari (Rocketman s’è fermato a 195) e collezionò anche innumerevoli premi tra cui quattro oscar, compreso quello per il protagonista Rami Malek nella parte di Mercury.

Qui invece l’unico Oscar è andato a sir Elton John e Bernie Taupin, per la canzone originale scritta per il film, (I’m Gonna) Love Me Again, seconda statuetta per l’artista che ne aveva già vinta una per Can You Feel The Love Tonight, dal cartoon Il Re Leone nel 1995. Solo un Golden Globe, invece, per il protagonista Taron Egerton, bravissimo, non solo per il mimetismo interpretativo, ma perché diversamente da Malek s’assume il rischio di cantare in prima persona (e piuttosto bene) i classici di Elton John, numerosissimi, presenti nel film.

È questo, in effetti, il pezzo forte di Rocketman, costruito come un autentico musical, in cui le persone all’improvviso in situazioni quotidiane si mettono a cantare, come se tra mondo reale e musicale non esistessero separazioni. E le parole sono quelle dei brani più celebri di Elton John, attraverso cui non solo il protagonista ma pure gli altri personaggi esprimono le loro emozioni e vengono descritti i passaggi essenziali della vicenda dell’artista. Per cui I Want Love dà voce al gelo emotivo d’una famiglia sul punto di spezzarsi, Your Song è il momento magico della creatività (Elton s’inventa il motivo all’istante, come succedeva nei vecchi musical hollywoodiani dove comporre canzoni era un gioco da ragazzi), l’eponima Rocketman sottolinea l’apice tragico della fase di dissipazione e I’M Still Standing, energetica e ottimista, segna didascalicamente la rinascita.

Elton John e Taron Egerton all’anteprima del film al Festival di Cannes nel 2019

La cornice musical consente anche accensioni completamente irrealistiche: Elton eseguendo Crocodile Rock davanti al pubblico osannante comincia a levitare, mentre cerca di suicidarsi in piscina incontra sott’acqua il sé bambino, e quando canta Rocketman, letteralmente, decolla come fosse un razzo. Espedienti che, sommati alla scintillante collezione di abiti, costumi di scena e occhiali – che ripetono filologicamente il proverbiale guardaroba di Elton John – dànno al film un tono in bilico tra kitsch e camp.

Nonostante tutto però Rocketman non convince. La struttura segue programmaticamente il modello ascesa, caduta e rinascita, con il prevedibile conflitto interiore del protagonista tra l’uomo che era (Reginald) e l’uomo che voleva essere (Elton), segnato dal trauma incancellabile di non essere mai stato amato. Speculare a questa doppiezza sono le due voci di Bernie, l’amico sincero di una vita, e di Reid, mefistofelico colpevole d’ogni nefandezza.

Figure poste schematicamente a sorreggere un impianto narrativamente schematico, che per questo non riesce a sondare davvero le contraddizioni e le sofferenze di una figura autenticamente fuori dalle regole (“Non sei mai stato un tipo ordinario”, gli ricorda saggiamente la nonna), né il lato oscuro della fama che esalta e corrompe. Per cui quando poi il film si chiude sul ritrovato apice di una parabola all’insegna della redenzione, più l’inevitabile coda con immagini e didascalie che descrivono tutto il bene che ne è venuto dopo, si resta con la sensazione che Rocketman, nonostante le premesse dure, volesse essere esattamente un’agiografia.