The Midnight Sky, George Clooney dirige un deludente film di fantascienza distopico

Dal 23 dicembre sbarca su Netflix il film diretto e interpretato dal divo americano. C’è tutto: temi alti, ambizioni d’autore, stile rarefatto. Peccato manchino una vera storia e personaggi credibili.

The Midnight Sky

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The Midnight Sky segna il ritorno al cinema di George Clooney, dove, dopo la parentesi della miniserie televisiva Catch 22, mancava come attore dal 2016 (Money Monster) e come regista dal 2016 (Suburbicon). Il film distribuito direttamente su Netflix dal 23 dicembre è all’insegna di una cupa fantascienza apocalittica, un sigillo di chiusura non proprio rinfrancante a questo faticoso 2020.

Tratto dal romanzo di Lily Brooks-Dalton, La Distanza Tra Le Stelle e ambientato nel 2049, The Midnight Sky è la storia di un malato terminale, l’astronomo Augustine Lofthouse (Clooney, con profetica barba bianca), che decide di restare da solo in una stazione scientifica al Polo Nord mentre gli altri abitanti evacuano la struttura, perché la Terra è divenuta inabitabile e gli esseri umani sono costretti a riparare in rifugi sotterranei.

Il malandato Lofthouse dopo poco si accorge di non essere solo, nella base c’è Iris (Caoilinn Springall), una bambina praticamente muta, che in lui fa scattare memorie di altri momenti della sua esistenza in cui, scienziato dal brillante avvenire, conobbe una donna con cui ebbe una infelice storia d’amore. Nel frattempo la nave spaziale Aether, guidata dal comandante Adewole (David Oyelowo) e dalla sua compagna incinta Sully (Felicity Jones), sta facendo ritorno sulla Terra dopo un lungo viaggio interstellare verso i satelliti di Giove alla ricerca di un pianeta alternativo abitabile. L’equipaggio è ignaro dell’avvenuta apocalisse e l’unica persona con cui riesce a creare un precario contatto via radio è proprio Lofthouse.

The Midnight Sky ha la forma, ma solo quella, del film fantascientifico con ambizioni da pensoso racconto distopico. Il film definisce lo scheletro di una struttura narrativa molto tipizzata cui non aggiunge la carne di una autentica sostanza narrativa. I contorni della tragedia in corso restano vaghissimi – cos’è accaduto: un disastro climatico, una guerra termonucleare? E vaghe sono, al di là della malattia terminale, le motivazioni che hanno reso Lofthouse così spento e disilluso. Improvvisi lampi del suo passato in flashback delineano i contorni di un melodramma di maniera, con il giovane scienziato che coglie i segni del tracollo futuro cercando di porvi rimedio – è lui l’ispiratore del viaggio alla scoperta di altri mondi della nave Aether? –, e accanto a lui una donna innamoratissima che cerca di intaccare la ruvida scorza di un uomo incapace di gestire i propri sentimenti. Il tutto condito da pochi dialoghi scultorei, goffi e didascalici: “Tu vuoi scoprire nuovi mondi, ma mentre fai questo perdi di vista la tua di vita. E questo mi spezza il cuore”, dice lei.

Il rapporto-non rapporto con la taciturna Iris conferma l’impasse di un uomo emotivamente raggelato come gli scenari maestosi delle perenni nevi artiche in cui si è rifugiato nell’attesa della fine. La bambina però, non fosse che per un istintivo senso di protezione, lo obbliga a sottrarsi alla sua sconfortata apatia, sebbene ormai per il genere umano non sembri esserci alcuna speranza. La speranza, forse, è in quel bambino che l’astronauta Sully porta nel suo grembo, in quella nuova famiglia che sta per formarsi insieme al comandante Adewole, se solo la coppia riuscisse a raggiungere un luogo, non più la Terra, in cui insediare una nuova piccola comunità da cui ripartire.

Nonostante il dispiego di mezzi e i temi alti sbandierati in un’impaginazione visiva compassata e rarefatta che fa tanto film d’autore, The Midnight Sky è un’opera interamente derivativa, costruita con materiali di riporto. Le inquadrature della navicella Aether immersa negli sgomenti, pericolosi e insieme bellissimi spazi siderali rimandano pesantemente a Gravity di Alfonso Cuarón, che descriveva molto meglio l’attrazione-repulsione, il senso di minaccia e miracolo, l’interrogazione filosofica ed esistenziale che emergono nel confronto tra uomo e universo.

Come è scontata la cornice apocalittica, cui il racconto allude senza mai prendersi il rischio di dire nulla di preciso. Il cuore del film, alla fine, è nella sua anima melodrammatica: ma anche qui, per lo spettatore è impossibile aderire ai sentimenti di un personaggio principale le cui ragioni ed emozioni, a parte il vago accenno ai soliti traumi incancellabili nascosti nel passato, restano imperscrutabili. Anche la relazione con la piccola Iris – la scoperta della cui identità è legata a un telefonato e risibile colpo di scena finale, appunto melodrammatico – assume cadenze che rimandano alla lontana a un’opera come La Strada di Cormac McCarthy.

The Midnight Sky è dimenticabilissimo e tutto di superficie. Nemmeno la presenza di un ripetitivo Clooney, che mantiene più o meno la stessa espressione dolente, malinconica e languorosa lungo tutto il film, riesce a ravvivare un racconto estenuato senza storia e senza psicologie, in cui oltre alla confezione impeccabilmente professionale c’è davvero poco.