Un Mondo Perfetto, Eastwood e Costner in un’America senza padri

Il film di Eastwood stasera alle 21 su Iris sembra una storia criminale. Invece è un’opera intimista su di un uomo che scava nel suo passato e nelle sue illusioni, confrontandosi col bambino preso in ostaggio. Bellissimo e dolente, con un Costner toccante

Un Mondo Perfetto

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Un Mondo Perfetto (1993) è ambientato nell’ottobre del 1963: nella notte di Halloween Butch Haynes (Kevin Costner) evade da un carcere del Texas insieme a un altro prigioniero, Terry (Keith Szarabajka). I due prendono in ostaggio il piccolo Phillip (T.J. Lowther) per favorire la fuga, ma dopo poco Butch uccide il compagno perché costituisce una minaccia per il bambino. Nel frattempo scatta la caccia all’uomo, condotta dal ranger Red Garnett (Clint Eastwood), aiutato da un giovane criminologa (Laura Dern) messagli alle calcagna dal governatore dello Stato, che ovviamente è sotto elezioni e teme per la sua immagine, e un laido agente federale provetto cecchino.

Un Mondo Perfetto è la prova immediatamente successiva al western Gli Spietati (1992), con cui Clint Eastwood vinse l’Oscar per miglior film e regia, venendo finalmente riconosciuto anche come autore. Ed è un’opera che, oltre a confermare in pieno le sue doti di regista, scandisce con ancora maggiore cura quel discorso demistificante sul suo paese che Eastwood ha precisato attraverso una filmografia che da allora in poi si è arricchita di titoli memorabili come Mystic River, Million Dollar Baby, Gran Torino.

Un Mondo Perfetto
  • Attributi: DVD, Thriller
  • Costner/Eastwood (Actor)

La struttura da storia criminale di Un Mondo Perfetto è, se non proprio una falsa pista, solo una traccia di un lavoro denso e stratificato. Questo è in primo luogo un road movie, che rinnova l’interesse di Eastwood per la provincia americana, quella che lui ha continuato a raccontare sino a oggi, basti pensare a al recentissimo Il Corriere, altro film che nella confezione da storia criminale custodisce invece una fotografia della parte interna del paese, tra tavole calde e locali per veterani dove si balla la polka.

Non è solo lo spazio però, lo spazio interminabile della frontiera americana attraversato invece che a cavallo a bordo di un’automobile – per Butch deve essere necessariamente una Ford – la dimensione in cui si muove Un Mondo Perfetto. L’altro è il tempo: scandito in primo luogo dal momento volutamente allegorico in cui si svolge la vicenda, Texas ottobre 1963, pochi giorni prima dell’assassinio del presidente Kennedy a Dallas, vale a dire il momento in cui gli Stati Uniti sono usciti dall’età dell’innocenza, riconoscendosi improvvisamente tanto feriti quanto colpevoli.

Il tempo è anche metaforicamente segnato dalle età dei tre protagonisti: un bambino cresciuto senza padre nell’educazione rigida d’una madre testimone di Geova; un criminale con alle spalle una storia sbandata, nessuna figura paterna e una madre prostituta; il terzo, maturo e apparentemente inappuntabile tutore dell’ordine, roso invece dal senso di colpa per non avere saputo scegliere il meglio per il Butch ragazzino, spingendo il tribunale a decidere di indirizzarlo al riformatorio dopo il furto d’un auto. È un paese senza padri quello descritto da Un Mondo Perfetto, che attraversa le generazioni ripetendo sempre lo stesso peccato originale: l’incapacità di accudire amorevolmente i propri figli e crescerli per il meglio. Anche Garnett, seppur con le migliori intenzioni, ha commesso lo stesso errore.

Il piccolo Lowther, Costner ed Eastwood sul set

Ed ecco quindi, qui il film mostra la sua vera anima, che la fuga di Butch non è verso la libertà o, come dice lui velleitariamente, verso l’Alaska – ha con sé una cartolina di quei luoghi mandatagli, sostiene, dal padre con cui vorrebbe ricongiungersi. Il viaggio di Un Mondo Perfetto è tutto interiore: è una corsa a due condotta da un uomo che cerca in qualche modo di rendersi padre agli occhi di un bimbo, cui insegna a dar voce ai suoi desideri e a non vergognarsi di quello che è. Ma i suoi sono gli strumenti pedagogici d’un individuo imperfettissimo che sa di essere tale: “Non sono né un brav’uomo né il peggiore degli uomini, sono solo una razza a parte”, dice. Allora, pur cercando sempre di difendere Phillip, i suoi insegnamenti comprendono anche il mettere nelle mani del bimbo una pistola o lasciare che rubi una maschera in un negozio.

Butch non sa essere un modello per il bimbo, semplicemente perché nessuno lo è mai stato per lui. E il piccolo, che indossa per tutto il film la maschera del fantasmino Casper, finisce perciò per essere anche il fantasma del bambino che Butch è stato, sul quale proiettare le sue aspirazioni frustrate. Come ha scritto Luca Venzi in un bel saggio sul film, questa è “la storia di un uomo che viaggia incontro alla morte accanto al fantasma della sua infanzia perduta”.

Un Mondo Perfetto è un viaggio nello spazio e nel tempo – infatti Butch dice che la Ford su cui viaggiano è una macchina del tempo –, ma entrambe le dimensioni sono frustranti. Perché nei decenni continua a perpetrarsi, una generazione dopo l’altra, la stessa storia di maltrattamenti verso i bambini. E perché, viaggiando attraverso il paese, le persone che i due fuggitivi incontrano sono demoralizzanti: dalle cassiere del supermercato, che ridono a comando affinché il padrone riconosca loro un bonus premio, all’inappuntabile padre di famiglia che quando Phillip, rimasto solo in macchina, rischia di andare a schiantarsi, invece di pensare all’incolumità del bimbo si preoccupa di salvare dall’incidente la sua automobile nuova fiammante.

Un Mondo Perfetto è un film senza prospettive e senza eroi: non lo è Garnett, il quale dopo che è accaduto l’inevitabile scolpisce nel finale una frase disillusa, “io non so niente”, che non ammette repliche. Non lo è Butch (interpretato da un toccante Costner all’apice della sua carriera), al quale, sebbene possegga l’alone molto americano del loser romantico, la sceneggiatura riserva tratti obiettivamente sgradevoli, come nell’episodio in cui spaventa e quasi tortura una famiglia di colore che gli aveva pure offerto ospitalità. Ed è in chiusura di questa sequenza che il piccolo Phillip sarà costretto, suo malgrado e al di là della sua stessa capacità di comprendere cosa sta facendo, a reagire.

Nessuno in Un Mondo Perfetto riesce a essere padre di qualcun altro, non Butch, non Garnett, non il paese, metaforicamente. Resta solo la nostalgia per quel che si sarebbe potuti diventare, e il sogno di un futuro più mitico che verosimile, l’Alaska, al quale anche Butch, nel suo girare a vuoto in una fuga senza meta, mostra di non credere. Ci si può solo augurare che la terribile lezione di vita in cui è incappato Phillip, che ha posto ineluttabilmente fine alla sua infanzia, stavolta serva a qualcosa. Anche se Garnett sa bene, per esperienza, che la violenza produce solo altra violenza. È la ragione, molti anni dopo, della scelta dell’ex operaio Kowalski, in Gran Torino – altro modello di auto della Ford –, personaggio in cui si ricapitola tutto il cinema di Eastwood, il quale sceglie la via del sacrificio e s’immola, disarmato, ai suoi carnefici. L’unico modo per interrompere la spirale della violenza.