Beppe Fiorello ha ragione su Doc, ma i “modelli narrativi rassicuranti” non sono anche i suoi?

Beppe Fiorello, la polemica su Doc e quei "modelli narrativi rassicuranti" della tv che sono un po' anche i suoi


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Ha fatto giustamente discutere il maldestro e inelegante tweet con cui Beppe Fiorello, nel commentare gli ottimi ascolti della sua serie Gli Orologi del Diavolo, sottolineava quanto la fiction meritasse questo successo perché diversa da certi altri titoli campioni di share, con un chiaro seppur smentito riferimento al medical drama Doc – Nelle Tue Mani.

Riportando un commento di Balassone su Repubblica sulla sua serie che si conclude martedì 17 novembre su Rai 1, Beppe Fiorello ha voluto marcare la distanza dalle fiction cariche di buoni sentimenti perché ambientate tra le corsie di un ospedale, definendo quelle storie basate su “modelli narrativi rassicuranti“. Il tweet, commentato con rammarico dal protagonista di Doc Luca Argentero, è stato poi cancellato.

Eppure, per quanto scortese nei confronti dei colleghi un commento di quel tono, Beppe Fiorello ha certamente ragione nel definire Doc – Nelle Tue Mani (diamo per scontato che il riferimento sia quello) una serie che ha poco coraggio e si basa su una serie di topos confortanti.

Nonostante sia stata la grande sorpresa televisiva della scorsa stagione e dell’inizio di quella attuale con i suoi 7 milioni di telespettatori a puntata, Doc è certamente una serie che mostra la corda sotto tanti punti di vista, come abbiamo già sottolineato nella nostra recensione. In primis lo fa con una scrittura debole che attinge molto, troppo, ai classici di questo genere – da Dr. House a Grey’s Anatomy passando per titoli più recenti come The Resident e si alimenta di quegli stereotipi visti e rivisti in tv nelle serie medical, ma non rivela grandi intuizioni creative nonostante si ispiri ad una storia vera molto forte, quella del medico di Lodi Pierdante Piccioni che ha perso 12 anni di memoria in un incidente d’auto.

Il materiale originale di partenza, un dramma dalle implicazioni personali, professionali e sanitarie enormi, è stato trasformato in un romanzo da corsia troppo patinato per risultare credibile. E troppo retorico per conservare un briciolo di verosimiglianza, basti pensare all’osannato monologo sulla morte che nessuno (o almeno nessuno che abbia frequentato per sua sfortuna un ospedale) penserebbe mai di attribuire a un medico a colloquio coi suoi colleghi. I modelli rassicuranti di cui diceva Beppe Fiorello, ad esempio, sono questi.

C’è però da chiedersi se gli stessi modelli narrativi rassicuranti che Beppe Fiorello sembrava condannare nel suo tweet non siano presenti anche nei suoi lavori. Non tanto nella storia raccontata da Gli Orologi del Diavolo, ispirata alla vera storia di un civile infiltrato tra i narcos ma poi dimenticato dallo Stato e ancora oggi costretto a vivere sotto protezione, quanto nella scelta dello stesso Fiorello di aderire quasi sempre allo stesso tipo di racconto, che coniughi l’impegno civile della trama (spesso encomiabile, ci mancherebbe) e la rappresentazione di personaggi eroici o dalla vocazione al martirio. Nel caso di Gianfranco Franciosi, poi, la realtà sembra molto più sfaccettata e complessa di quella romanzata nell’adattamento televisivo e messa in scena con ritmo, suspence, azione e attraverso l’interpretazione drammatica e molto emotiva di Beppe Fiorello.

Ma dicevamo, più che la storia alla base del romanzo omonimo e della serie tv, la domanda riguarda proprio l’attore, che negli ultimi anni ha abituato il pubblico di Rai1 ad un certo tipo di interpretazioni di martiri, eroi o presunti tali che ormai lo rendono quasi sempre uguale a se stesso, nonostante la diversità delle storie raccontate. E allora, i modelli narrativi rassicuranti di cui giustamente lamentava Fiorello nel tweet poi cancellato, non saranno anche gli stessi su cui ha fatto affidamento per quasi tutta la sua carriera? E a voler fare un ragionamento più ampio, non sarebbe ora per la Rai – oggi che ha la maturità, i mezzi e la credibilità internazionale per produrre format davvero originali – di fare un passo in più per abbandonare questi modelli e tracciare schemi narrativi davvero coraggiosi e innovativi?