Lockdown All’Italiana, il cinepanettone lascia il posto a una commedia sentimentale e malinconica

Dopo tante polemiche esce l’instant movie sulla pandemia firmato da Enrico Vanzina, alla sua prima regia in assoluto. Nel bene e nel male, non è esattamente il film che ci si attendeva

Lockdown All’Italiana

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Nonostante il titolo, le pretestuose polemiche sul cinico sfruttamento della tragedia collettiva, la presenza canonica del comico e delle bellone di turno, Lockdown All’Italiana non è un cinepanettone – gli mancano il tono sopra le righe, la volgarità, l’esuberanza – ma una commedia sentimentale che vira pesantemente sul malinconico e il nostalgico.

La malinconia è scritta sul volto di un Ezio Greggio che recita sì l’eterna parte dell’italiano benestante mandrillo e cornificatore seriale, ma quasi per abitudine, perché sembra tutt’altro che felice e soddisfatto, consapevole dell’incipiente senilità che combatte con pilloline magiche senza le quali la sua virilità sarebbe paurosamente compromessa. E la nostalgia, palese, è quella dello stesso Enrico Vanzina, che esordisce alla regia alla boa dei settant’anni, in un film segnato dall’assenza del fratello Carlo cui ha dedicato recentemente un libro sentito e affettuoso.

Vanzina in Lockdown All’Italiana riprende il format inventato dalla premiata ditta negli anni Ottanta. Ci sono le precise connotazioni sociali e geografiche ovviamente capitoline dei protagonisti, da un lato la Roma bene dell’avvocato principe del foro Greggio e della moglie affetta da shopping compulsivo Paola Minaccioni (anche collaboratrice alla sceneggiatura con Vanzina), dall’altro la coppia popolana della periferia di Roma Est, il tassista pacioso e ammalato di calcetto Ricky Memphis e la compagna toscana Martina Stella (l’accentuazione delle appartenenze regionali, e dialettali, è un must di questo genere di film), cassiera al supermercato con velleità. Le velleità si materializzano nell’incontro allo stadio – dove altro? – con l’avvocato Greggio che perde la testa. Ma quando la Minaccioni e Memphis scoprono la tresca tramite i cellulari cosa succede? Che per i protagonisti scatta il lockdown, e le due coppie scoppiate sono costrette alla convivenza forzata nei rispettivi appartamenti, come altri sessanta milioni di italiani.

Così, giocoforza, nella compressione coatta dello spazio casalingo – certo assai più confortevole per la coppia bene, con 350 metri di casa con terrazzo e, per Greggio, pure vicina prorompente (l’inadeguata Maria Luisa Jacobelli) – le occasioni per la commedia caciarona e scoppiettante quasi non esistono. E tutto vira sul sentimentale, con un via vai di ripicche, tentativi di riavvicinamento, recriminazioni, persino momenti quasi mélo, come quando Greggio suona sognante il pianoforte oppure quando, in una bizzarra sequenza con camera a mano che si muove intorno a Stella e Memphis, il tono ha un’intimità da cinema in presa diretta.

Insomma, la mancanza della città – che si vede ogni tanto in scontati siparietti ripresi col drone – e della regia esperta del Vanzina che non c’è più, premono pesantemente sulla cornice di questo Lockdown All’Italiana, in cui lo spunto da instant movie serve solo a rendere più manifesto come tutto il film poggi su una duplice assenza. Così il racconto ansima, annaspa, con una scrittura incerta che trova pochi spunti comici e che cerca a tratti di farsi carico della disavventura attraversata dall’intero paese. Di qui la tirata, piuttosto fuori registro, di Greggio che ricorda la tragedia collettiva, la “guerra civile” che abbiamo attraversato. O Riccardo Rossi in un piccolo cameo che, dopo le solite piccole gag gentili, all’improvviso, in primo piano, chiede serissimo a Memphis: “Signor Walter, ma lei ha paura?”.

Enrico Vanzina, Greggio e la Minaccioni sul set

È il contesto stesso a costringere la commedia fuori dai binari collaudati. Perciò, al film e ai suoi protagonisti, non resta che farsi cullare dai sogni vicari rilanciati dallo schermo televisivo, sul quale passano l’Alberto Sordi de I Nuovi Mostri, il Gassman de La Terrazza e l’autocitazione di Sapore Di Mare, mostrato come a rivendicare una ideale e orgogliosa continuità tra la commedia all’italiana dei padri e quella dei Vanzina, ormai sdoganata e quindi sostanzialmente annessa al canone.

Nel richiamo ai classici propri e altrui la nostalgia di Lockdown All’Italiana diviene ancora più manifesta, dentro un film ondivago che fatica a trovare un ritmo e un tono certi. E che infatti termina con un finale che, curiosamente e sinistramente, pare ribaltare tutto, trasformando la commedia sentimentale in una commedia sulfurea che parla di lotta di classe e cinismo irrimediabili. Un finale con un doppio sguardo serissimo in camera che tradisce ambizioni esageratamente al di sopra del racconto come s’è sviluppato fino a quel momento. E che pure regala un’emozione straniante, per un film che, forse lui stesso sorpreso dalla confusione che ci ha attanagliati tutti, scarta dal noto e dai generi consolidati, e prende una direzione, forse senza nemmeno sapere bene perché, completamente diversa.