La programmazione di Rete 4 stasera prevede, uno dopo l’altro, I mostri oggi (2009) di Enrico Oldoini, e I mostri (1963) di Dino Risi, un classico della commedia all’italiana con Gassman e Tognazzi, che ebbe anche un seguito, I nuovi mostri (1977).
Sono film che costruiscono una nutrita galleria delle diverse forme di cinismo nazionale: uno specchio del malcostume in cui gli italiani si sono riconosciuti al punto che questa definizione, “mostri”, è diventata proverbiale, sintesi dell’antropologia di un intero popolo e del particolarissimo genere cinematografico, la “commedia all’italiana”, che si è preso la briga, dagli anni Cinquanta in poi, di mettere alla berlina il carattere dei nostri connazionali.
Era impossibile resistere alla tentazione di mettere in dialogo i due film, per capire se il modo in cui il cinema ha rappresentato il paese sia mutato o meno attraverso i decenni. I mostri oggi, non solo nel titolo, si richiama esplicitamente al capostipite. Nella struttura a episodi ovviamente, con tanti protagonisti – Abatantuono, Bisio, Ferilli, Panariello, Buccirosso, Finocchiaro – che incarnano i vizi dell’Italia contemporanea: il tifoso che ruba la sedia a rotelle a una disabile per entrare gratis allo stadio, la famiglia sul lastrico che convince la figlia a tornare a prostituirsi, l’analista che spinge il paziente al suicidio d’accordo con la moglie di questi, la madre che sfrutta la scomparsa della figlia per apparire in televisione. Il film esibisce anche dei vezzosi titoli di testa che citano il cinema degli anni Sessanta, per rendere ancora più manifesta la parentela col prototipo.
Risultato? Modesto sotto il profilo qualitativo, perché la collezione di barzellette è esile e mostra rapidamente la corda. Da che cosa dipende la vistosa differenza rispetto all’illustre progenitore? I mostri oggi è brutto semplicemente per difetto d’ispirazione o perché ormai mancano i presupposti, storici, sociali, culturali che permettano di costruire un ritratto efficace del paese usando gli stessi modelli narrativi del vecchio film di Risi? In sintesi: è ancora possibile fare una commedia all’italiana?
È una questione che gli storici del cinema negli ultimi anni hanno affrontato giungendo – diversamente dalla vulgata giornalistica che considera qualunque film brillante una “commedia all’italiana” –, a un’accezione molto più restrittiva. Secondo la quale sono davvero commedie all’italiana solo i film a cavallo tra anni Cinquanta e Settanta, l’era del boom economico (e della sua crisi), in cui s’incrociano tre cifre autoriali, quelle di regista, sceneggiatori e attori, i temi riflettono la storia e i dilemmi sociali del tempo e il racconto, seppur vivace, tende a un tono agrodolce, che non esclude finali tragici o amari.
A rivedere I mostri emerge con una certa evidenza lo sguardo degli autori – non solo il regista Risi quindi, ma anche gli sceneggiatori Age, Scarpelli, Scola e Maccari e il duo di protagonisti Gassman e Tognazzi –, che non si limitano a mettere in scena un compiaciuto catalogo del cinismo italico ma manifestano quasi sempre una presa di distanza dal mondo rappresentato. Basterebbe l’episodio finale, La nobile arte, in cui un manager fallito convince un ex pugile a tornare sul ring, per cogliere la malinconia con cui viene raccontata la realtà del belpaese, sottoposta anche al graffio politico (l’episodio dell’onorevole democristiano ipocrita) e in generale satirico sull’inciviltà diffusa e la sessuomania dell’italiano medio (l’episodio Vernissage, in cui il bravo padre di famiglia inaugura l’acquisto dell’agognata utilitaria caricando una prostituta).
Pur raccontando le vite di personaggi degradanti, le commedie migliori di quel periodo mantengono visibile il discrimine tra il personaggio narrato e il giudizio che, attraverso il tono satirico, gli autori esprimono su di lui. Da un lato c’è l’immedesimazione degli interpreti nel ruolo (ai limiti del fiancheggiamento) – valgano per tutti gli sgradevoli ritratti intagliati da Alberto Sordi il quale, come disse genialmente Giuseppe Marotta, si dimenticava di volersi bene come attore e così si calava in caratterizzazioni precise e disturbanti. Dall’altro c’è un passo indietro critico, espresso tramite notazioni a livello di sceneggiatura che certificano una distanza non indulgente: si pensi all’esemplarità delle scelte attraverso cui i protagonisti riscattano la propria meschinità nei finali di La grande guerra di Monicelli, Tutti a casa di Comencini, Una vita difficile di Risi; o alla presenza di personaggi, come il timido Trintignant de Il sorpasso accostato al fatuo Gassman, che erodono dall’interno la morale delle storie e ne riequilibrano il tono apparentemente accondiscendente.
Nulla del genere accade ne I mostri oggi: non c’è satira ma solo una caricatura inoffensiva, denunciata dall’uso posticcio e fastidioso di onnipresenti parrucchini che danno all’insieme un che di fasullo e inverosimile, altro che specchio della realtà. Tutti i temi più scottanti, la degenerazione della politica, il cinismo dei media, sono accuratamente evitati, e dilaga il compiacimento per un modello sociale mai messo veramente in discussione. Le musiche di moda in sottofondo, il taglio delle inquadrature delle auto di lusso guidate dai protagonisti sono le stesse di pellicole tipo Yuppies (non per niente il regista è Oldoini), rivelando l’appartenenza di questo film a un’estetica anni Ottanta, di cui riprende l’enfatica ossessione per il successo, senza analizzarla ma fotografandola con aderenza e superficiale ironia.
Ed è a quel decennio che bisogna tornare per capire perché a un certo punto non fosse più possibile fare una “commedia all’italiana”– secondo diversi studiosi proprio un film del 1980, La terrazza di Ettore Scola, è il de profundis del genere –, sopravanzata da una società che si andava ridisegnando a grande velocità. L’affermarsi delle tv private, la disinvoltura dei partiti politici, la fine dell’egemonia culturale della sinistra e la sua pretesa superiorità, l’affievolirsi dell’afflato ideologico: fenomeni, combinati a molti altri, che fecero emergere ambizioni, aspettative e desideri inediti, espressi da classi in profonda ridefinizione, per le quali lo sguardo sistematicamente critico dei vecchi cineasti risultava angusto e poco sintonizzato sulla seducente euforia del periodo. Nuovi italiani sostituivano i precedenti, e anche gli immaginari cambiavano. La commedia all’italiana veniva spedita in soffitta. Altri mostri stavano arrivando.