Non c’è che dire: per uno spettatore è beneaugurante ricominciare la stagione cinematografica in sala con un film targato Disney-Pixar. L’ultima creatura di famiglia, Onward – Oltre La Magia aveva fatto appena in tempo ad anticipare di qualche giorno il lockdown, racimolando a inizio marzo una cifra di poco superiore ai cento milioni di dollari negli Stati Uniti e altri paesi. Tra i quali non c’era l’Italia, visto il precoce confinamento che aveva fatto slittare l’uscita da noi al 16 aprile e al 22 luglio, fino all’effettivo esordio del 19 agosto.
I protagonisti di Onward, diretto sul filo di suggestioni autobiografiche da Dan Scanlon, sono due adolescenti, i fratelli elfi Barley (voce di Chris Pratt in originale, Andrea Mete in italiano), estroverso e fanatico di giochi di ruolo, e il più piccolo Ian (Tom Holland/Alex Polidori), che ha appena compiuto sedici anni nella città in cui vivono, New Mushroomton, ex regno della magia e della fantasia che s’è adattato alle comodità della tecnologia.
Il compleanno è un momento triste per Ian. Un po’ per il fratellone esuberante che lo mette sempre in imbarazzo e per l’introversione che non lo rende esattamente il ragazzo più popolare della scuola. Molto perché la ricorrenza gli fa ripensare all’infanzia da orfano, cresciuto dalla sola madre Laurel (Julia Louis-Dreyfus/Sabrina Ferilli) dopo la morte precoce del padre Wilden (Kyle Bornheimer/Fabio Volo), che manca terribilmente a tutta la famiglia. Proprio per i suoi sedici anni però il padre aveva pensato a un regalo magico da far consegnare da Laurel ai ragazzi: un bastone col potere miracoloso di riportarlo in vita per un solo giorno, da spendere insieme ai figli.
Ian, senza saper nemmeno come, riesce a eseguire l’incantesimo. Ma l’apparizione del padre si arresta a metà per la rottura della pietra preziosa che innesca il prodigio. A quel punto, con solo la parte inferiore del genitore materializzatasi, per Ian e Barley l’unica soluzione sta nel trovare un’altra pietra che consenta di ultimare l’evocazione, intraprendendo una pericolosa avventura tra boschi, strapiombi e fiumi sotterranei, col conto alla rovescia delle 24 ore entro le quali è concessa loro quest’unica occasione per rivedere Wilden.
In Onward ci sono le funzioni e i ruoli tipici del fiabesco: l’eroe, gli antagonisti, gli aiutanti, i mezzi magici, il viaggio periglioso e le prove da superare, pratiche e metaforiche, con una struttura che strizza l’occhio anche ai giochi di ruolo di cui Barley è maestro. L’espediente più bizzarro del racconto è il “mezzo padre”, affettuoso ma muto come un convitato di pietra, che i due ragazzi si portano appresso lungo tutta l’epopea. Il fattore potenzialmente inquietante di questa presenza viene però stemperato dalle continue gag focalizzate sulla sbadataggine di quelle gambe senza busto e sui travestimenti inventati per mimetizzarlo, secondo un meccanismo comico riesumato dal vecchio Weekend Con Il Morto, in cui il divertimento deriva dagli stratagemmi che i protagonisti escogitano per non far capire che il tizio che scarrozzano per la città è bello che defunto.
Onward ha un’ispirazione dolceamara e toccante, in cui chiunque abbia vissuto il dolore della perdita d’un proprio caro potrà immedesimarsi. Il dispositivo giocato sul meraviglioso fantasy, il coming-of-age con le tappe che scandiscono la maturazione dell’impacciato Ian, le schermaglie tra fratelli che credono di detestarsi fino a quando non capiscono quanto contino l’uno per l’altro puntano a un target soprattutto giovane. Manca il sigillo dei grandi classici della casa, come WALL•E, Up o Inside Out, con le loro sceneggiature sofisticate capaci di parlare in modo diverso in rapporto all’età di chi guarda. Visivamente all’altezza degli standard di eccellenza Pixar, Onward punta su una narrazione lineare e semplificata, in cui c’è il piacere di un’avventura trascinante, senza però la stratificazione di senso e la complessità narrativa che costituiscono la matrice degli autentici capolavori dello studio che ha rivoluzionato l’animazione del ventunesimo secolo.