La Grande Scommessa, la crisi finanziaria diventa una scatenata tragicommedia

Alle 21.15 su La7 Adam McKay trasforma il crollo globale della finanza del 2007 in un racconto che mescola stili e generi. Bellissimo. Stellare il cast: Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling, Brad Pitt

La Grande Scommessa

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Nel cinema americano i film che vogliono raccontare lo stato delle cose – soprattutto il cattivo stato delle cose –, quelli che mirano al ritratto graffiante e impegnato, spesso assumono la forma dell’opera corale. Il che non comporta solo la presenza di numerosi attori, ma soprattutto la scomposizione della Grande Storia in un caleidoscopio di storie più piccole, che la riflettono e mostrano ognuna da una diversa prospettiva. Il punto di riferimento è Robert Altman del capolavoro Nashville e del successivo America Oggi, cui negli anni si sono rifatti tutti gli autori che puntano al racconto paradigmatico, dal Paul Thomas Anderson di Magnolia a, su presupposti molti diversi, il Tarantino di Pulp Fiction.

Non è strano quindi che, per raccontare un evento storico dalle conseguenze globali come il crack finanziario esploso nel 2007, legato alla crisi dei mutui subprime, il regista Adam McKay abbia optato per il prestigioso formato d’autore del film corale. Anche perché, venendo lui dal cinema demenziale degli Anchorman, aveva forse bisogno di affidarsi a qualcosa che gli desse credibilità e autorevolezza agli occhi della critica e del pubblico.

Nasce così La Grande Scommessa (2015), tratto dal bestseller omonimo di Michael Lewis, impreziosito da una folta schiera di attori di talento, Ryan Gosling, Christian Bale, Brad Pitt (anche produttore) Steve Carell in un inatteso ruolo drammatico. Interpretano tutti la parte di investitori: anzi, sono gli unici visionari che hanno previsto il collasso prossimo venturo di un sistema di cui hanno scoperto le falle, decidendo lucidamente di scommettere sul crollo per fare un mucchio di soldi.

Non sono eroi senza macchia i protagonisti de La Grande Scommessa: Michael Burry (Bale), geniale analista che s’è spulciato i singoli mutui che compongono le obbligazioni, è un sociopatico che confonde il giorno con la notte e si concentra ascoltando musica heavy metal; Ben Rickert (Pritt) è un ex banchiere ambientalista che odia il sistema di cui predice l’apocalisse, mangia solo biologico e va sempre in giro indossando una mascherina (anche qui un antesignano, non c’è che dire); Mark Baum (Steve), gestore d’un fondo speculativo, al sistema ci crede ancora e vorrebbe raddrizzarlo, ma fatica a gestire le sue emozioni e ha un enorme senso di colpa per il suicidio del fratello.

Non sono i migliori, dunque. Eppure sono gli unici sani in una realtà malata e inconsapevole in cui, manco fossimo piombati nella parodia di un film sugli yuppie anni Ottanta, tutti i broker vanno avanti a botte di testosterone e soldi facili, in un gioco al rialzo senza fine. Come se la fine, o il crollo, non potessero mai avere luogo.

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Ci aveva già pensato un paio d’anni prima Martin Scorsese, nel bellissimo The Wolf Of Wall Street, a raccontare veridicamente l’alta finanza, come un universo ad alta concentrazione tossica di adrenalina – ricordate Leonardo DiCaprio che ci guarda dritto in macchina spiegandoci che la vera droga ha il colore verde dei dollari? Però DiCaprio, mentre spiegava con dovizia di dettagli la psicologia patologica del broker, rinunciava subito a cercare di far capire come funzionassero i complicatissimi meccanismi dell’economia. Ne La Grande Scommessa Adam McKay fa ostinatamente questo: dà un senso comprensibile alla terminologia volutamente astrusa della finanza. E lo fa inventandosi stranianti siparietti comici in cui, quasi fossero testimonial, Margot Robbie, lo chef Anthony Bourdain, Selena Gomez traducono in termini passabilmente comprensibili l’ostico gergo economico.

Non c’è solo questo: la grande scommessa del film è nell’affastellamento di materiali eterogenei di ogni tipo, che accumulano storie, stili e generi diversi, con tracce di documentario satirico alla Michael Moore, commedia nera e film drammatico. La crisi dei mutui subprime è stata un evento inaudito. Allora l’unica forma cinematografica capace di restituirne l’essenza deve essere ugualmente mai vista prima. Non solo adrenalinica come fa Scorsese: una sorta di supergenere che li accumula e mescola tutti.

Il quartetto di protagonisti de La Grande Scommessa

Tutto ciò però non si traduce in un film farsesco e deragliante, McKay mantiene sempre la lucidità. Inanella una serie di taglienti allegorie: i migliori investitori nelle obbligazioni immobiliari sono le spogliarelliste (la “seduzione” del mercato); la convention nazionale sui temi della sicurezza finanziaria si svolge a Las Vegas (altro che sicurezza); l’esperto dell’agenzia di rating che deve valutare la solidità dei titoli è praticamente cieco. E poi assegna al personaggio di Steve Carell il ruolo di controcanto morale del racconto, riservandogli un dolente monologo che ribalta volutamente il panegirico dell’avidità di Gordon Gekko in Wall Street e condanna un mercato incardinato su “frode e stupidità”. La Grande Scommessa è un capolavoro.