Il Ladro Di Cardellini di Carlo Luglio esordisce stasera, in anteprima assoluta, all’interno del programma di “Estate A Corte”, la rassegna diretta da Giuseppe Colella, Fabio Gargano e Pietro Pizzimento che si svolgerà dal 7 luglio al 24 agosto nella cornice della Fondazione Foqus ai Quartieri Spagnoli di Napoli. Una di quelle arene estive che, in un’estate che non assomiglia a nessun’altra, acquistano un significato diverso. Non solo occasione per recuperare i film dell’annata, ma anche per lanciarne alcuni che, per l’emergenza Coronavirus, attendono ancora una programmazione. E, più in generale, per dare slancio a una stagione cinematografica in faticosa ripartenza. E perciò il programma è ricco di incontri con attori e registi, tra cui Mario Martone, Elio Germano col suo Ligabue, Marco D’Amore col suo esordio dietro la macchina da presa L’Immortale.
Il Ladro Di Cardellini è il primo appuntamento della rassegna, che da qui partirà per una distribuzione mista attraverso le arene e i drive in che stanno spuntando lungo lo stivale e, dal 14 luglio, sulle principali piattaforme streaming (The Film Club, Chili, Infinity, Sky Primafila, Rakuten TV, Apple TV, Tim Vision e, a seguire, Amazon Prime Video).
È un racconto che cerca un tocco gentile, stralunato, provando a mescolare commedia e dramma per offrire un altro sguardo su Napoli, colorato e fiabesco, lontano dall’imperante romanzo criminale in cui la narrazione della città sembra essere perennemente immersa. In realtà Carlo Luglio non racconta esattamente Napoli, ma un’area limitrofa, connotata da un dialetto inequivocabilmente partenopeo, ma territorialmente indefinita, tra periferia, hinterland, campagna.
Il regista, coadiuvato in sceneggiatura da Diego Olivares, è partito dalla suggestione di un suo documentario del 2003, Cardilli Addolorati, realizzato a quattro mani con Romano Montesarchio, in cui descrive lo sconosciuto mondo dei bracconieri, che sbarcano il lunario catturando uccellini per uso domestico dal valore, talvolta, di migliaia di euro. Per questa ragione ha perduto il lavoro il protagonista del film, il maresciallo della guardia forestale Pasquale Cardinale (Nando Paone). Un uomo mite, vedovo, però affetto dal vizio del gioco, licenziato perché s’era messo a vendere uccellini di frodo perché a corto di soldi.
Ormai disoccupato, continua a frequentare l’ambiente dei bracconieri, che sono sì dei criminali, ma inoffensivi. Sono quasi tutte persone intorno ai settant’anni – tra cui bravi attori napoletani come Ernesto Mahieux e Tonino Taiuti, e anche un protagonista della canzone napoletana, padre putativo dei neomelodici, come Pino Mauro. O, quando più giovani, sono individui apertamente bizzarri, come un tale (Giovanni Ludeno), che dice di aver ideato una app con un algoritmo che gli consente di tradurre in italiano i versi degli animali. È un mondo di individui affetti da manie innocue, sognatori che s’illudono di poter dare una svolta alla propria esistenza slabbrata attraverso la passione ornitologica.
Il Ladro Di Cardellini punta insistentemente, in chiave leggera e divertita, sulla marginalità di ambienti indefiniti e uomini singolari, che come da tradizione della più classica commedia all’italiana si alleano per realizzare il colpo grosso, legato a una partita di rari cardellini bianchi da trafugare. Nel frattempo scorre la vita con le sue ambasce di ogni giorno, con l’ingenuo Cardinale sballottato tra una figlia cantante da sagra che sogna un intervento di chirurgia estetica (Viviana Cangiano) e l’offerta che gli viene fatta di sposare una ragazza rumena dato che, sebbene abbia perso il lavoro, è alle soglie di una pensioncina che in una realtà simile fa gola.
La superficie del racconto quindi è ilare, mentre il sottofondo è malinconico se non tragico, con queste vite povere e senza prospettive, dove quasi tutti soffrono di depressioni che curano con gli intrugli d’un ciarlatano, come se quella descritta fosse una periferia premoderna.
C’è quindi la materia per un racconto autentico ne Il Ladro Di Cardellini. Ma Carlo Luglio non riesce a gestirlo adeguatamente. Invece di cogliere la disperazione sottesa a quelle vite paradossali, il regista punta su una galleria di figure e figurine, annacquando il dramma nella macchietta. E nel malinteso senso di poesia – palese nel finale sospeso, banalmente simbolico – perde l’occasione per un ritratto incisivo d’un sud periferico e marginale.