Mentre ascoltiamo e spacchettiamo Murder Most Foul di Bob Dylan ci piace immaginare il cantautore di All Along The Watchtower sotto l’occhio di bue di un palcoscenico che dà su una platea vuota.
Questo, in sostanza, è ciò che ha fatto Dylan dopo 8 anni di silenzio. 17 minuti di musica e parole che si insinuano nelle nostre case.
Mentre attendiamo, questa volta, abbiamo l’occasione di ripassare un po’ di storia. Murder Most Foul di Bob Dylan è un documentario in musica, una prosa piena di figure, luoghi e personaggi che il poeta riassume per riportarci indietro con prepotenza. John Fitzgerald Kennedy moriva a Dallas il 22 novembre 1963 e i momenti dell’attentato rimasero immortalati in tantissimi filmati e scatti d’epoca.
“Dov’eri tu quando uccisero Kennedy?” fu la domanda che tutti rivolsero a chiunque per diversi anni, e in Simpathy For The Devil dei Rolling Stones Mick Jagger esorcizzò la paura con la frase: “Ho urlato: ‘Chi ha ucciso i Kennedy?‘ quando in realtà siamo stati voi ed io“.
Il titolo amletico
Dalla pubblicazione a sorpresa di Murder Most Foul di Bob Dylan tutte le testate nazionali si sono precipitate a trovare una spiegazione, e se vogliamo questa spiegazione è semplice: Dylan contestualizza quel 22 novembre 1963 in tutto il territorio politico e storico, e ovviamente nell’impatto sulla cultura mondiale.
Lo fa, Bob, scegliendo un titolo che attinge dalla letteratura britannica più classica, quella di William Shakespeare che nel suo Amleto, più precisamente nella scena 5 dell’Atto Primo, quando lo Spettro pronuncia queste parole: “Murder most foul, as in the best it is. But this most foul, strange and unnatural”.
Nella scena un gruppo di attori mette in scena la rappresentazione Trappola Per Topi per il re di Danimarca. Il murder most foul, tradotto letteralmente, è l’omicidio più atroce e la stessa espressione fu usata nel titolo di un thriller del 1964 di George Pollock che in italia venne tradotto come Omicidio Sul Palcoscenico.
Perché ci ritroviamo con una canzone sull’assassinio di Dallas oggi, nel 2020 e in un periodo storico in cui il mondo intero è chiuso in casa per la quarantena imposta dai governi per combattere il Coronavirus? Oppure, per dirla come Lettera43: “Caro Dylan, cosa vuoi dirci con Murder Most Foul?”. Probabilmente non lo sapremo mai, ma va bene così.
Bob Dylan e l’attentato di Dallas
“It was a dark day in Dallas, November ’63
A day that will live on in infamy
President Kennedy was a-ridin’ high
Good day to be livin’ and a good day to die
Being led to the slaughter like a sacrificial lamb
He said, ‘Wait a minute, boys, you know who I am?’
‘Of course we do, we know who you are!’
Then they blew off his head while he was still in the car”
Non si perde in chiacchiere, Bob Dylan, e parte con la collocazione spazio-temporale del suo racconto: novembre ’63, buio, Dallas. Dal primo versetto Kennedy muore come un agnello sacrificale e per raccontare il fatto il cantautore si serve del registro cinematografico: “Gli hanno fatto saltare il cervello mentre si trovava ancora in macchina”.
Nello stesso versetto Dylan dà voce a chiunque avesse pianificato l’omicidio: “Siamo venuti a riscuotere; ti uccideremo con odio, non avremo alcun rispetto”, parole simili a colui che il 24 novembre si sentì in diritto di vendicare il Presidente, quel Jack Ruby che sparò a Lee Harvey Oswald nel seminterrato della stazione di Polizia.
“The day they blew out the brains of the king
Thousands were watching, no one saw a thing”
JFK diventa “king”, un “re” al quale fecero saltare il cervello in un giorno in cui “tutti guardavano e nessuno vide”, e qui il colpo di pistola viene esploso da Bob Dylan come per sottolineare l’omertà e la vigliaccheria che ancora oggi aleggiano intorno alla vicenda.
“Wolfman, oh wolfman, oh wolfman howl
Rub-a-dub-dub, it’s a murder most foul”
Si suppone che in questo versetto Bob Dylan faccia riferimento a Wolfman Jack, un disc jockey dell’epoca dalla voce roca, quasi una figura che rappresenta il rumore mediatico della vicenda.
La collocazione temporale e il finale
Poco dopo l’attentato Bob Dylan aveva ancora 21 anni e decise di visitare quei luoghi a bordo della sua auto, come per condurre un’inchiesta personale. Ce la ripropone oggi e lo fa attraverso istantanee sonore: cita i Beatles e passa ad Another One Bites The Dust dei Queen, cita Woodstock e passa a Nightmare On Elm Street, portandoci a bordo del suo vascello con gli occhi di “bragia” come Caron Dimonio per farci esplorare il tempo.
Alla fine del suo recitativo Bob Dylan sceglie per noi la colonna sonora di questo viaggio e arriva anche ad invocare la Moonlight Sonata per poi concludere, ovviamente, con la sua Murder Most Foul.
Murder Most Foul di Bob Dylan è quella narrazione gentile di un mondo che gentile non è, e lo capiamo con quel registro schietto e cinematografico, quella personalità verace che ci ha fatto amare il poeta dai primi schianti della sua carriera.