Oscar 2020, il bilancio finale, tra sorprese e delusioni, nel segno di Parasite

Tanti delusi, dal grande sconfitto "1917" a Scorsese, Tarantino, anche il Joker, viste le tante nomination a vuoto. Tutti scontenti tranne Parasite, insomma. Che era atteso a un buon risultato, ma non a questo storico trionfo

Oscar 2020

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A questi Oscar 2020, 92esima edizione del più prestigioso premio del cinema, non si può che partire dall’autentico terremoto che è stato Parasite. Quattro riconoscimenti al film sudcoreano di Bong Joon-ho, che segna un primato davvero epocale, dato che si tratta della prima pellicola straniera a vincere la statuetta come miglior film nella storia della manifestazione. Non contento, Bong Joon-ho ha aggiunto, oltre al previsto Oscar per il film internazionale, anche il riconoscimento per la regia – dopo Alfonso Cuarón l’anno scorso è solo la seconda volta che l’autore di un film straniero si aggiudica tale premio – e quello, in condivisione con Jin Won Han, per la sceneggiatura originale.

Bong Joon-ho ha dimostrato anche uno stile impeccabile. Nel discorso di ringraziamento per la regia, infatti, ha citato una frase che gli è molto cara, “più si è personali, più si è creativi“, aggiungendo poi che si tratta di un’affermazione di Martin Scorsese, istigando quindi una standing ovation collettiva al grande maestro italoamericano. Scorsese è certamente uno dei grandi sconfitti degli Oscar 2020. The Irishman aveva ottenuto ben 10 nomination ma, come già accaduto ai Golden Globes, Bafta e Sag Awards, è tornato a casa a mani vuote. Per quanto prevista, la cosa non è meno sorprendente, dato che stiamo parlando di uno dei più grandi autori del cinema mondiale, che in verità non ha mai raccolto moltissimo agli Academy Awards.

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L’altro grande sconfitto degli Oscar 2020 è 1917: il film di Sam Mendes, visti i risultati nei premi precedenti, era atteso alla doppia affermazione per film e regia. Invece si è dovuto accontentare di 3 statuette su 10 candidature: la fotografia a Roger Deakins, che vince meritatamente il suo secondo Oscar per il prodigioso lavoro compiuto, poi sonoro ed effetti speciali.

Al di fuori di questo perimetro le sorprese sono in realtà state pochissime. In fondo anche le 2 sole statuette su 10 nomination a C’Era Una Volta A… Hollywood erano ampiamente previste, cioè il premio come attore non protagonista a Brad Pitt e l’impeccabile lavoro vintage sulla scenografia, categorie nelle quali il film era dato per favorito. E vista la vittoria come regista di Bong Joon-ho si può anche accettare che sia Scorsese che Tarantino non abbiano vinto. Anche se per quest’ultimo bisogna sottolineare che l’Academy continua a snobbarlo, dato che l’ha premiato solo un paio di volte per la sceneggiatura, senza mai concedergli un riconoscimento per film e regia.

Anche Joker, il film con più nomination, ben 11, torna a casa con un magro bottino, seppure prestigioso per qualità, miglior attore a Joaquin Phoenix e colonna sonora a Hildur Guðnadóttir, prima storica affermazione di una donna in questa categoria. A rigor di logica si potrebbe parlare di delusione. Ma la filosofia di questi Oscar 2020 è la suddivisione dei premi. Ed è abbastanza raro, nella storia dell’Academy, trovare un’edizione in cui il film più premiato abbia ottenuto solo 4 statuette. Che si tratti di Parasite, poi, ha davvero del rivoluzionario, per un’istituzione di cui non si fa che sottolineare continuamente il conservatorismo. Mentre stavolta ha saputo dimostrare una straordinaria apertura. Evidentemente, l’enorme iniezione negli ultimi anni di nuovi giurati giovani, spesso donne e provenienti da tutto il mondo, comincia a portare i suoi frutti.

A proposito di donne, qui il discorso degli Oscar 2020 si fa più complicato. Il tema lo ha lanciato subito Janelle Monae, che ha aperto la cerimonia con una esibizione musicale trascinante in cui è partita da un remix del motivo conduttore di Un Amico Straordinario. A un certo punto del suo show, che voleva omaggiare la settima arte, ha aggiunto una nota polemica, rivolgendosi alla prima fila al femminile, celebrando “tutte le donne che hanno diretto film fenomenali”. Ha rincarato la dose Mark Ruffalo, che quando ha presentato il premio per il miglior documentario ha ricordato che in quella categoria – e solo in quella – c’erano ben quattro registe candidate (per la cronaca una di loro ha vinto, Julia Reichert, autrice di American Factory insieme a Steven Bognar, nel film distribuito da Netflix e prodotto dagli Obama).

Quello della sottorappresentazione di genere resta insomma una delle questioni spinose dell’industria hollywoodiana oggi. Non ha aiutato, e questa è un’altra significativa delusione degli Oscar 2020, la sconfitta nella categoria sceneggiatura non originale di Greta Gerwig, battuta da Taika Waititi, autore di uno script, quello di Jojo Rabbit, onestamente meno raffinato della rilettura che di Piccole Donne ha offerto la Gerwig. Che poi in termini assoluti non è corretto dire che gli Oscar 2020 abbiano escluso le donne. Questa è l’edizione degli Academy Award con la più alta percentuale di donne candidate di sempre, il 31%, 65 su 209 nomination totali. Ma se solo 5 donne hanno ottenuto in 92 anni una candidatura per la miglior regia (e una sola vittoria, di Kathryn Bigelow) una ragione ci sarà. C’è ancora tanta strada da compiere sotto questo profilo. Gli Oscar 2020 comunque terminano con, se abbiamo contato bene, 12 donne insignite di una statuetta, comprese naturalmente le due categorie delle attrici, espressamente riservate.

Attori e attrici sono le categorie che non hanno offerto alcuna sorpresa. Il mantra Phoenix e Zellweger, Pitt e Dern è stato religiosamente rispettato. E se si può parlare di delusione per la sottovalutazione di qualche interpretazione particolarmente meritevole, penso a Joe Pesci in The Irishman o Adam Driver in Storia Di Un Matrimonio, in nessun caso si può parlare di risultati inattesi. Il che non toglie che Scarlett Johansson, titolare di una doppia candidatura, sarà stata sinceramente delusa dal nulla di fatto.

In virtù della suddivisione dei premi tra tanti film non si può individuare una casa di produzione che abbia vinto. Netflix ha ottenuto 2 statuette su 24 nomination (Laura Dern e American Factory), Disney 4 su 23 (la sceneggiatura di Jojo Rabbit, Toy Story 4 per l’animazione e due premi tecnici a Le Mans ’66), Sony 4 su 20 (i due Oscar al film di Tarantino, i costumi di Piccole Donne e il cortometraggio animato). Le stesse quattro statuette ottenute dalla Neon, che ha distribuito negli Stati Uniti il film che potete immaginare. La sintesi potrebbe essere allora che, a parte Parasite, tornano tutti a casa delusi.