Cosa resta di Watchmen dopo il finale, prime riflessioni fra identità, rischi e discriminazioni

Nell'universo alternativo di Watchmen si è creato lo spazio per riflettere su alcune delle più palesi storture della società americana, così come su questioni di più ampio respiro

Regina King nei panni di Sorella Notte

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Si è creduto per così tanto tempo che i fumetti di Watchmen fossero inadattabili al cinema e alla tv – complice anche l’opaca resa cinematografica del 1999 – che aver potuto godere del sequel/revival/remix HBO pare ancor più straordinario. Perché non c’è dubbio che sia stata la serie tv firmata da Damon Lindelof – e non l’ultima stagione de Il Trono di Spade – la grande scommessa vinta dal network nel 2019.

Fra palesi omaggi alle graphic novel e complete rivisitazioni, la Watchmen di Lindelof ha offerto agli spettatori qualcosa di ben più significativo di poche ore di intrattenimento. Episodio dopo episodio si sono accumulate
riflessioni sui temi più disparati, dall’umanità alla sete di potere ai diritti umani, al punto che la serie è riuscita a smascherare alcuni limiti della società meglio di molti drammi iper realistici.

Ripercorriamo dunque le nove settimane che hanno tracciato il percorso della prima – e unica? – stagione di Watchmen e proviamo a riflettere su alcune delle questioni più interessanti sollevate dalla serie.

L’arte di correre rischi

Che l’adattamento televisivo di Watchmen fosse nato per correre dei rischi è parso evidente fin dalla presentazione del pilot in anteprima al New York Comic-Con. Damon Lindelof ha ammesso più volte di esser stato alquanto nervoso all’idea che i fan più accaniti del fumetto e di Alan Moore in genere potessero stroncare il suo lavoro, ma i suoi funesti presagi non sono diventati realtà.

Il rischio è dunque nel DNA della serie, e per il suo showrunner nessun rischio è stato più grande del portare sullo schermo una Hooded Justice – Giustizia Mascherata – afroamericana. Se nei fumetti la portata del personaggio è limitata, nella serie le cose cambiano. È stato lo stesso Lindelof a svelare di non essersene mai dimenticato. Penso a quel personaggio tutto il tempo, non c’è niente di più coinvolgene di un mistero irrisolto. E così ne ha fatto un punto fermo della sua produzione.

Quale sarebbe la cosa più offensiva da fare, mi sono chiesto, quale sarebbe il più grande atto d’orgolio?, ha spiegato. Darò risposta al mistero rimasto irrisolto, ossia chi sia Hooded Justice. Perché non mostra mai il suo volto? Cosa nasconde? E da qui, racconta, non è più riuscito a scrollarsi di dosso l’idea che nascondesse il colore della sua pelle.

La sua idea è in effetti così naturale da poter sembrare un’ovvia conclusione per lo stesso Alan Moore. L’identità di Hooded Justice viene così svelata nel sesto, spettacolare episodio, grazie all’overdose di Nostalgia che rievoca nella mente di Angela la tormentata gioventù del nonno Will Reeves.

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La presenza ricorrente della maschera

La maschera in Watchmen è tanto uno strumento fisico di cui i personaggi si servono quanto l’ideale avviamento di un meccanismo di riflessione su ciò che il suo uso simboleggia. Già nel quinto episodio si è avuta una chiara percezione del suo valore oltre la semplice copertura del viso.

Wade, ad esempio, ne ha fatto un elemento inscindibile della propria identità, indossandola sia per lavorare che per mangiare, dormire, guardare la tv, stare in casa… insomma, vivere. Ed è questo a lasciar intendere come per lui la maschera non sia soltanto una difesa dalla paura, ma anche un legame perverso con un passato dal quale sa di non potersi discostare.

Ancora più evocativa la riflessione di Louis Gussett Jr. in una recente intervista a Collider. Ho una fondazione, ha raccontato, si chiama Eracism Foundation, puoi trovarla su www.eracismfoundation.org. Si occupa della stessa cosa, del nostro indossare maschere. Tutti dobbiamo indossare delle maschere per assicurare la reciproca sopravvivenza e mantenere la pace. Ma prego ogni giorno per il momento in cui riusciremo a lasciarla cadere, per la nostra salvezza, perché dobbiamo essere più onesti con noi stessi e con gli altri. Stiamo parlando del genere umano, non degli americani, dei russi o dei cinesi: è il genere umano che dev’essere salvato.

Questo punto di vista è personale, ma si estende anche al suo personaggio, Will Reeves. Penso che tutti i personaggi debbano avere dei segreti, sì. C’è la maschera, l’idea che tutti debbano indossarne una, per un motivo o per un altro. Ma io credo che non ci renda migliori, che anzi dovremmo avere il coraggio di abbandonarla se vogliamo salvarci davvero.

Le tensioni razziali irrisolte

Che la portata di Watchmen e della sua rappresentazione della società abbia oltrepassato i confini dell’intrattenimento televisivo è parso evidente fin dal debutto, ma di recente persino Human Rights Watch si è espressa in merito alle questioni razziali sollevate dalla serie.

Gli americani bianchi non devono limitarsi a compiacersi di sé per essersi interessati a dei personaggi afroamericani fittizi. Devono piuttosto rendere giustizia alle vere comunità nere che continuano a fare i conti con il suprematismo bianco, si legge sul sito dell’organizzazione. In altre parole, è arrivato il momento di discutere di risarcimenti per i discendenti degli schiavi e delle vittime di violenze razziali in America.

L’episodio più controverso, il massacro di Tulsa del 1921, è tratto da vere pagine di storia americana e non perde un briciolo della sua drammaticità pur calato nell’universo alternativo di Watchmen. Nella vita reale, fa notare HRW, i discendenti di quella tragedia non hanno ricevuto alcuna forma di risarcimento, anzi continuano a vivere trascinando il peso di quegli eventi.

Persino la polizia, che nell’immaginario collettivo è una forza dedita al mantenimento dell’ordine e della protezione di tutti i suoi cittadini, è pericolosamente vicina ad alcune delle derive osservate in Watchmen. Che si parli dei primi del Novecento o degli anni Duemila, infatti, la società americana continua a vedersi afflitta da tensioni razziali e casi di disparità di trattamento da parte delle forze dell’ordine.

Negli Stati Uniti, conclude HRW, gran parte del dibattito sui risarcimenti si riduce all’idea di chi sia considerato degno di ricevere una qualche forma di indennizzo, giustizia e riconciliazione. Le persone nere lo sono e non dovrebbero essere i supereroi DC a ricordarcelo.