Western Stars, il film-concerto di Bruce Springsteen è un viaggio nell’animo americano

Dal 2 al 4 dicembre esce in sala il film, diretto anche dal Boss, dedicato alle canzoni del suo ultimo album. Molto più di un live: Springsteen si mette a nudo, parlando della sua vita, le sue paure, il suo paese

Western Stars

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Con qualche timidezza fa capolino al terzo posto degli incassi di lunedì Western Stars, il film di e con Bruce Springsteen che la Warner ha lanciato come evento straordinario per tre giorni, dal 2 al 4 dicembre, distribuito in oltre 270 sale. E c’è sempre qualcosa di straordinario in ogni apparizione del Boss, che qui per la seconda volta, dopo un cortometraggio del 2014 che si chiamava Hunter Of Invisible Game, si assume la responsabilità della regia, aiutato dal fido collaboratore Thom Zimny, che aveva diretto già lo special Springsteen on Broadway nel 2018 e nel 2010 The Promise, un making of del capolavoro Darkness On The Edge Of Town.

Western Stars nasce come film-concerto, in cui Springsteen, accompagnato da un’orchestra di trenta elementi, esegue i tredici brani del suo ultimo disco omonimo. “Sapevo che non sarei andato in tour con questo album e allora ho cercato il modo di portare i pezzi dal vivo per farli ascoltare al pubblico nella versione live”. Certamente è un omaggio ai fans. Ma c’è molto di più in Western Stars, in cui le canzoni sono inframmezzate da una serie di riflessioni collegate al tema di ogni brano. Quasi un distillato di ciò che il Boss pensa, giunto alla soglia dei settant’anni, di sé stesso, di ciò che ha fatto e in qualche modo anche del carattere del paese che l’ha cresciuto.

L’America, sottolinea all’inizio, è “una nazione dalla doppia indole. Da un lato c’è l’individualismo irrequieto del pioniere che si apre un varco verso una frontiera fisica e mentale, dall’altro c’è la voglia di comunità, la ricerca della famiglia e un luogo in cui radicarsi. È attraverso questa duplice spinta che Springsteen legge anche la sua vita, percorrendo la mappa delle 13 canzoni dell’album.

È come un grande romanzo americano Western Stars. Il suo palcoscenico è il fienile del ranch di Springsteen, che ha “una bellezza naturale e un’aria spirituale”, alto come una cattedrale e addobbato come una rustica sala da concerto. Accolto da questo spazio dall’atmosfera sospesa, calda e intima, le parole di Springsteen assumono un peso quasi religioso. Si potrebbe dire che, con gli anni, l’irruenza giovanile del grande performer da concerto abbia progressivamente lasciato il posto all’autorevolezza matura di un predicatore laico, che sempre più ha sentito l’urgenza di raccontare attraverso le sue canzoni qualcosa dell’animo umano, partendo sempre dalla sua esperienza individuale.

E allora emerge l’irrequietezza di Sundown, in cui Springsteen ricorda un periodo buio della sua vita in cui, dopo una delusione d’amore, decise di cambiare aria e provare a vivere in California. O, in Tucson Train, partendo da una domanda franca e inaggirabile, “Come si fa a cambiare sé stessi”, mette a nudo gli aspetti distruttivi del suo carattere: “Per un lungo tempo quando arrivava nella mia vita una persona a cui tenevo facevo di tutto per ferirla. È un aspetto di me con cui ancora combatto, ma sono migliorato”.

L’insofferenza americana è quella di The Wayfarer: “Sono un viandante, piccola, vago da una città all’altra / Quando tutti dormono e suonano le campane di mezzanotte / Le mie ruote sibilano sull’autostrada, / Girando senza mai fermarsi”. Che è anche un modo per riflettere sulla passione per le automobili: “Sono al diciannovesimo album e ancora parlo di macchine”, scherza il Boss, non più sicuro, come un tempo, che il viaggio incarni un simbolo di felicità e opportunità. “Il più delle volte ci spostiamo e basta”.

In questo romanzo intimo non possono mancare i sentimenti. E la compagna di trent’anni di vita, Patti Scialfa, è con discrezione accanto a lui sul palco a duettare durante Chasin’ Wild Horses, mentre scorrono i filmini di famiglia di una coppia che ha vissuto la propria storia “insieme, giorno per giorno, non sapevamo come sarebbe andata a finire”.

Bruce Springsteen insieme alla moglie Patti Scialfa in Western Stars

Western Stars ha anche la leggerezza dell’animo americano: “Ci vuole il sabato sera”, ricorda Springsteen, attaccando Sleepy Joe’s Cafe, un brano allegro e danzante. Ma le metafore che scavano più a fondo sono quelle che parlano di sofferenza: “Sono bravo a scrivere di gente che si perde”. Come in Drive Fast, storia di uno stuntman che ha passato l’intera esistenza a correre rischi. Perché, ammonisce Springsteen, “nella vita nessuno se la cava senza un graffio”.

Nell’alternanza tranquilla, quasi pacificata, di canzoni e riflessioni, Western Stars ha un effetto corroborante. L’immersione in un’atmosfera western, risalendo alle radici dei valori americani, dà al racconto un ritmo solenne, ripercorrendo l’odissea di un uomo in cui si vedono riflessi i nostri stessi errori, desideri, paure, vittorie e sconfitte. È molto più di un concerto: cullati dalla voce di Springsteen, con gli anni sempre più ieratica e consapevole, lo spettatore partecipa a una sommessa liturgia, alla fine delle quale si riemerge non senza ammaccature, ma più ottimisti. È una sensazione che chiunque abbia partecipato a un suo concerto conosce bene. Springsteen lo si ama (anche) per questo.