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Bruce Springsteen diventa regista con Hunter of invisible game

Il Boss esordisce alla regia con un cortometraggio che dimostra il suo amore per il cinema. E che assomiglia alle sue canzoni.

di Stefano Fedele
22/07/2014
INTERAZIONI: 56

INTERAZIONI: 56

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Springsteen diventa regista con Hunter of invisible game
Optima Italia

Bruce Springsteen si dà al cinema: da pochi giorni è visibile in streaming sul suo sito Hunter of invisible game, il primo cortometraggio da regista, firmato insieme a Thom Zimny e ispirato alla canzone omonima del suo ultimo album, High hopes.
È noto il legame del Boss con il cinema: l’ha incrociato da musicista, realizzando brani per colonne sonore, come Streets of Philadelphia per Philadelphia di Jonathan Demme, con cui ha vinto l’Oscar e The wrestler, per il film omonimo di Darren Aronofsky con Mickey Rourke. Ma è tutto l’immaginario di Springsteen a essere influenzato dal cinema: canzoni dal forte stile narrativo, piene di storie ed emozioni profondamente americane, che hanno ispirato molti registi delle ultime generazioni (a tal proposito suggerisco la lettura de Il cinema secondo Springsteen curato dai documentatissimi Diego Del Pozzo e Vincenzo Esposito).

Con Hunter of invisible game Springsteen si mette dietro la macchina da presa: un cortometraggio che nella seconda parte diventa il videoclip della canzone, senza dialoghi e giocato su suggestioni puramente visive, immagini dalle quali si intuiscono i brandelli di una vicenda molto americana di caduta e redenzione.

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Il Boss, anche attore, interpreta un cacciatore che si muove in uno scenario vagamente post-atomico, fatto di case diroccate e degli ambienti selvaggi dell’interno degli Stati Uniti, lontanissimo dalle metropoli tante volte al centro dei suoi brani. Springsteen sfoglia delle fotografie stinte, e ogni tanto ricorda una casa linda e assolata, abitata da una donna e una bimba che si immaginano essere la sua famiglia. Tutto questo non esiste più e il protagonista si lascia andare alla deriva, abbandonandosi esausto sul greto di un fiume.

Ma il loser trova la forza per il riscatto, rappresentato dall’incontro con un ragazzino smarrito, che lui capisce di dover soccorrere. Lo aiuta a ritrovare la via di casa: ma quando la famiglia si riunisce, il cacciatore resta fuori la soglia (e qui Springsteen fa un omaggio al finale di Sentieri selvaggi di John Ford, il suo film preferito, nel quale John Wayne interpretava uno sradicato impossibilitato a trovare la tranquillità nel nido familiare).

Hunter of invisible game è un tentativo ancora troppo embrionale per giudicare le qualità dello Springsteen regista. Ma lo salutiamo con grande simpatia, affascinati dal raffinato universo visivo e tematico, ricco di riferimenti all’immaginario americano. Il rapporto tra l’uomo e la natura richiama Thoreau, lo scenario da apocalisse millenarista fa pensare alla Strada di Cormac McCarthy, il legame del bambino con l’adulto ricorda il classico western Il cavaliere della valle solitaria. Sul suo sito il Boss ha anche pubblicato un bel portfolio con le foto di scena.

Hunter of invisible game è un po’ come un concerto di Springsteen, per chi ha avuto la fortuna di vederlo: una sintesi delle migliori qualità dell’America, un distillato di valori e sentimenti che nutrono lo spirito e restituiscono la forza per andare avanti.

Tags: bruce springsteencinema americaregista
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