Light Of My Life, come restare umani davanti alla fine del mondo

Il film distopico di Casey Affleck racconta un’epidemia che ha decimato le donne. E un padre che protegge la figlia dalla brutalità maschile. Il regista parla di genitorialità e rapporti di genere, pensando a quanto accaduto in America e a sé stesso. Dal 21 novembre al cinema

Light Of My Life

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Light Of My Life è il primo film di finzione scritto e diretto da Casey Affleck, dopo il mockumentary del 2010 del Joaquin Phoenix – Io Sono Qui. Nel frattempo sono accadute tante cose: Affleck ha vinto un Oscar come migliore attore con Manchester By The Sea e ha affrontato anche accuse per molestie per il suo comportamento sul set del film con Phoenix. Nel mezzo anche la nascita dei suoi figli e il divorzio.

Queste cose hanno trovato una forma simbolica in Light Of My Life. Affleck è un padre che, perduta la moglie (Elizabeth Moss) deve crescere da solo la figlia di 11 anni Rag (l’esordiente Anna Pniowsky). Le cose sono persino più difficili, perché la moglie è morta dieci anni prima al seguito di una epidemia che ha decimato la popolazione mondiale, soprattutto le donne. Un evento che ha incrudelito gli uomini, facendo regredire il mondo a uno stato selvaggio, da scenario post-apocalittico. Il padre adesso vaga ramingo lontano dai residui di civiltà rimasti, per proteggere la figlia, travestita da bambino, dalle mire dei maschi.

Light Of My Life ha un ritmo lento, asciutto, di notevole eleganza visiva. Padre e figlia sembrano due trapper tra i boschi innevati della vecchia America. La prima sequenza definisce lo stile del racconto, mostrandoci i due protagonisti sotto una tenda, di notte, mentre lui le racconta una favola che è una riscrittura della storia dell’Arca di Noe. In una realtà al collasso diventa necessario ripartire da zero, inventando dei miti di fondazione per il nuovo mondo. Quando infatti Rag gli chiede cosa sia davvero importante nella vita, il padre risponde “le storie, perché ci connettono agli altri, fanno sembrare che il mondo sia un luogo più grande”.

L’esordiente Anna Pniowsky, coprotagonista del film diretto da Casey Affleck

Il film è immerso in un senso di precarietà ineluttabile. Non ci si può fidare più di niente e nessuno. Ogni incontro crea allarme nel padre, che in qualunque situazione studia sempre la strategia di fuga. È un genitore amorevole e angosciato, che vorrebbe essere perfetto – in una biblioteca diroccata legge libri di puericultura. La preadolescenza di Rag non lo aiuta: è il momento dei perché, la figlia sollecita il padre con domande sul senso della vita e la paura della morte. Soprattutto è una bambina che sente urgente l’impulso a essere tale, non mascherandosi più da maschietto coi capelli corti – quando può indossa infatti degli abiti femminili.

Light Of My Life suona anche come una metafora dei nostri tempi, con le ansie da catastrofe ambientale imminente che trovano la forma del racconto distopico, sulla scorta di tante recenti variazioni sul tema: The Road, I Figli Degli Uomini, Interstellar, il sottovalutato Contagious.

Il film di Affleck aggiunge la paura e l’odio verso il femminile che in questi ultimi anni, dopo l’esplosione del caso Weinstein è divenuto il tema centrale del dibattito soprattutto americano. Light Of My Life pare il modo attraverso cui l’attore e regista ha metabolizzato una vicenda personale e collettiva. Dandole una forma crepuscolare e severa, che ha il ritmo di un racconto meditativo, su cui però grava un senso di minaccia onnipresente.

Il padre e Rag sono due sradicati, saltano su un treno merci come vagabondi della Grande depressione. Ed è una nuova grande depressione quella attraversata dai due protagonisti, in un’avventura che è un viaggio dentro l’anima dell’America, i suoi scenari selvaggi, la montagna della vecchia casa di famiglia cui il padre, disperato, pensa di poter tornare.

Light Of My Life racconta con sobrietà una storia tra disperazione e resistenza, sulla forza del restare umani, sul rapporto tra uomo e donna e anche forse sul ripensamento del proprio modo di essere americani, tornando a meditare su valori ormai messi da parte. Risuona negli scenari innevati minacciosi e però maestosi il senso della wilderness, il mito della natura selvaggia e incontaminata, che è un fondamentale elemento identitario degli Stati Uniti.

Quando deve trovare risposte alle sollecitazioni di Rag, il personaggio di Affleck usa le parole attribuite al padre della patria Lincoln, variandole dal maschile al femminile: “Quanto dovrebbero essere lunghe le gambe delle donne? Abbastanza lunghe da arrivare a terra”. Nel sottofinale Rag riprende la storia iniziale dell’arca, anche stavolta virandola dal maschile al femminile. E in questa torsione di genere è custodito il senso di questo film scarno, insieme antico e moderno.