C’è uno scrittore inglese, Iain Sinclair, che nel corso degli ultimi trent’anni, più o meno, si è preso la briga di portare avanti un’idea di Guy Debord che prende il nome di Psicogeografia. Lo fa attraverso libri che hanno una grande diffusione, soprattutto nei paesi di lingua inglese, e che sono in minimissima parte arrivati anche da noi, in Italia. Uno si intitola London Orbital, e in buona sostanza è il racconto, ma la parola racconto in questo caso specifico va preso con grande elasticità mentale di un viaggio fatto a piedi lungo la M22, l’autostrada che, a mo del Grande Raccordo Anulare per Roma o delle Tangenziali per Milano, circonda la capitale britannica. Oltre duecento chilometri di camminata, con tutti i racconti che questa camminata, fatta tenendo di vista il Dom, simbolo del passaggio dal vecchio al nuovo millennio, hanno attraversato e animato. Un modo per raccontare i luoghi attraverso le storie che li abitano, o un modo per spiegare i luoghi anche attraverso le storie che li hanno abitati, questa potrebbe essere una definizione di Psicogeografia. O più semplicemente il tentativo di raccontare un luogo senza seguirne i contorni, perdendosi. Non a caso i surrealisti debordiani, quelli che hanno inventato il termine, si dichiararono figli dei flaneur, coloro che si perdevano volontariamente nelle metropoli, Parigi in testa, proprio per ridisegnarne la mappa.
Un modo, quello messo in pratica dagli psicogeografi a partire dagli anni Cinquanta, via via fino a oggi, per praticare il metodo che avrebbe trovato il suo sviluppo ideale in rete, quello del passaggio di link in link, senza sapere all’inizio dove la navigazione, vagabondaggio nel caso di Debord e Sinclair, avrebbe portato.
Se ci pensate bene questo sistema, che è poi un modo di approcciare non solo i passaggi urbani, ma la vita tutta, è da sempre la chiave per affrontare lo studio della critica musicale in ambito della nuova musica, quella che volgarmente viene chiamata musica leggera. Si passa da un artista a quello che si pensa lo possa aver influenzato, magari avendo letto dei riferimenti alla sua opera in qualche intervista, avendo visto che una determinata cover è entrata a far parte del repertorio dell’artista che stiamo studiando, o, se siamo in ambito di musica che fa ricorso a campioni e loop, se ne trovano tracce nelle basi suonate. Insomma si comincia a navigare e ci si perde, inseguendo una canzone per trovarne un’altra, e poi un’altra e un’altra ancora. Senza sapere dove la navigazione, il vagabondaggio, ci potrà portare.
Anni fa, esattamente dieci anni fa, di questi giorni, ho fatto un viaggio psicogeografico intorno a Milano. Ne avevo già fatti diversi, alcuni senza neanche sapere che quel mio modo di affrontare il viaggiare, si chiamasse Psicogeografia. Per una decina di anni ho fatto reportage per riviste di viaggio, da Gente Viaggi a Viaggi e Sapori, e mi capitava di decidere di andare a visitare un paese senza avere una meta precisa, o inseguendo una storia che mi sembrava più interessante dei soliti cliché turistici che di solito ci fanno compagnia in un determinato luogo. Ma il viaggio intorno a Milano era dichiaratamente psicogeografico, perché proprio da quel London Orbital prendeva le mosse. Insieme al mio amico e collega Gianni Biondillo, infatti, come me scrittore ma anche architetto, ci siamo fatti a piedi in una decina di tappe le Tangenziali di Milano. Per chi non fosse pratico, dico Tangenziali perché, a differenza di Roma e di Londra, Milano non ha una sola autostrada o similia che la circondi. Ci sono delle Tangenziali, la Est, la Ovest, la Nord e un pezzo di autostrada A4, la Venezia-Torino, che, messe insieme, permettono il periplo della città, ma non è una sola Tangenziale, sono appunto Tangenziali. Tangenziali che è poi stato il titolo del libro che io e Gianni abbiamo scritto e che Guanda ha pubblicato, nel 2010. Due vagabondi ai bordi della città, recitava il sottotitolo. Per dieci capitoli, in pratica, anzi, per dieci capitoli a testa, quindi per venti capitoli, io e Gianni abbiamo raccontato Milano descrivendone il contorno, la cornice, sempre tenendoci lontani dal centro, dalla città per come di solito ce la immaginiamo, addirittura per la città come di solito la conosciamo, visto che entrambi ci viviamo e Gianni ci è pure nato. Anche se, non essendo Gianni munito di patente, almeno per quel che riguarda la visuale delle Tangenziali era un filo svantaggiato rispetto a me, che ben conoscevo quel paesaggio. Paesaggio che, è bene sottolinearlo, non abbiamo visto camminando sulle Tangenziali, è proibito dalla legge e probabilmente saremmo morti investiti da un’auto dopo poche decine di metri, ma camminandoci sotto o comunque a debita distanza, nelle vicinanze. Un viaggio che abbiamo fatto in compagnia di amici, nel mio caso di amici musicisti, perché è la musica il mio mondo, anche se lì ero in veste di scrittore e non di critico musicale, nello specifico le cantautrici Eleonora Tosca, oggi attiva come Eleviole?, e la cantautrice Roberta Carrieri. Un viaggio che ha poi chiaramente ispirato un architetto che ha replicato il nostro viaggio andando a piedi nei pressi del Grande Raccordo Anulare, fatto che ha poi dato vita al film Il Sacro Gra, vincitore del Leone D’Oro alla 70esima Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, per la regia di Gianfranco Rosi. Un premio in piccola parte anche nostra, volendo.
Quel nostro libro, Tangenziali, è diventato un piccolo cult, anomalia nelle nostre bibliografie che ha però in qualche modo incontrato riscontri da parte di un pubblico terzo. Gianni ha talmente tanto approfondito il tema della Psicogeografia finendo a insegnarla all’Università di Mendrisio, io ho proseguito a studiarla e a praticarla nei miei viaggi in solitaria, come quelli in giro per l’Europa che, tra il 2012 e il 2013 hanno dato vita alla collana Europe, dodici libri su dodici capitali europee in dodici mesi, un modo personale per cercare di capire in cosa consistesse questo Vecchio Continente di cui all’epoca tutti parlavano, era il periodo in cui sembrava che la Grecia fallisse, portandosi dietro un po’ tutti.
Proprio in virtù di questo, del buon riscontro avuto da questo libro, oltre che del fatto che a camminare insieme intorno a Milano e poi a scriverne, io e Gianni, ci siamo piuttosto divertiti, ci ha spinto a ipotizzarne un seguito. Sulle prime, spinti probabilmente dall’entusiasmo dei primi riscontri, abbiamo ipotizzato di farci in barca il Mississippi, un viaggio mitologico, per certi versi, sicuramente molto musicale, e anche già tante volte raccontato, da Mark Twain in giù. Poi, pigri, abbiamo optato per il Po, che era più vicino a casa, e anche più comodo da organizzare. In realtà, in questi dieci anni, abbiamo tante volte parlato di dare un seguito a Tangenziali, ma non abbiamo mai fatto nulla per farlo davvero. Anche perché Gianni ha proseguito a pubblicare con successo i suoi libri, a volte tornando a parlare di Ferraro, nel suo filone giallo ambientato anche a Quarto Oggiaro, il suo quartiere d’origine, io mi sono spostato anima e corpo nella musica, andando a costruirmi nuovamente una carriera di critico musicale, non solo scrivendo, ma anche parlando. Insomma, la vita è proseguita per entrambi parallelamente, e salvo quando ogni tanto ci vediamo con lo sguardo della tigre, pronti a partire, almeno con la mente, per nuove avventure, ci limitiamo a sentirci e frequentarci come amici, non come compagni di viaggio.
Solo che dieci anni sono dieci anni. È un anniversario importante, e, tondo, di quelli che meriterebbero un qualche tipo di festeggiamento. Per questo, ormai con una certa insistenza, io e Gianni abbiamo iniziato a parlare seriamente di dare un seguito a Tangenziali, un seguito che tenga conto del fatto che da Tangenziali sono comunque passati dieci anni, Il Sacro Gra ha vinto un Leone D’Oro e nessuno si è ricordato di menzionarci e, soprattutto, io nel mentre mi sono buttato con una certa ostinazione nella critica musicale. Così l’idea che sta continuando a girarci insistentemente per la testa, quando siamo insieme o ci sentiamo al telefono, certo, ma anche quando non siamo insieme e non ci sentiamo al telefono, ognuno immerso nella propria vita, è di fare un libro legato in qualche modo a un viaggio, certo, sempre che si possa chiamare viaggio anche quello fatto a piedi intorno a Milano, ma soprattutto a qualcosa di musicale. E qui veniamo al vero argomento di questo articolo. Sapete come funziona, ormai, faccio queste lunghe, lunghissime premesse e nelle ultime righe parlo di qualcosa che in apparenza c’entra poco col resto, funziona così,
Perché io e Gianni stiamo ragionando di fare un libro che abbia a che fare con le metropolitane di Milano. Qualcosa che suoni come Milano sotterranea, o Milano Underground. Magari non andando per le metropolitane già inaugurate, ma per i cantieri di quelle ancora chiuse, potere dell’essere due scrittori. Un modo per vedere prima quello che gli altri vedranno dopo. O addirittura per vedere e quindi raccontare quello che gli altri non vedranno proprio, perché un cantiere non è mica uguale a una stazione operante. Magari, qui l’idea musicale, legare alle singole fermate, ai singoli cantieri, una qualche canzone, da recuperare da qualche parte, da una tradizione che al momento ci sfugge, o scritta per l’occasione, andando a recuperare un comune passato da musicisti. Ovviamente, però, coinvolgendo anche artisti che della musica hanno fatto il loro vero mestiere, potere dell’essere un critico musicale di una certa reputazione. Non a caso una delle ultime volte in cui ne abbiamo parlato era presente un altro amico fraterno, Brando, e non era tanto presente in quanto amico fraterno, anche, ma in quanto produttore con una grande conoscenza del rock’n’roll.
Insomma, una idea così. Che esattamente come Tangenziali, ha un parente stretto, strettissimo. Se infatti lì ci eravamo ispirati, dichiarandolo e arrivando addirittura a invitare Iain Sinclari e unirsi a noi, fatto poi non andato in porto per impegni pregressi, se infatti lì ci eravamo ispirati a London Orbital, stavolta il nostro faro è dichiaratamente un album che non potete non ascoltare, Shine A Light di Billy Bragg e Joe Henry. Un capolavoro, lo premetto, come era un capolavoro London Orbital, fatto che sancisce la grande autostima che io e Gianni nutriamo per noi stessi e la grande stima che nutriamo nei confronti dell’altro, pronti a confrontarci sempre con capolavori. Un capolavoro che porta come sottotitolo Field Recordings From The Great American Railroad, e che ha visto insieme il combat folker Billy Bragg, odierno epigono di Woody Guthrie (andatevi a cercare i lavori fatti con gli Wilco a riguardo, roba da rimanere a bocca aperta) e Joe Henry, cantautore americano solido e impeccabile. Prendendo come fil rouge la linea ferroviaria americana evocata nel sottotitolo, i due, voci e chitarre e niente più, hanno registrato una manciata di canzoni legate al mondo del viaggio in treno dentro le strutture più suggestive delle stazioni ferroviarie americane. Il treno che hanno usato per spostarsi è il Texas Eagel Railroad Service, che da Chicago va fino a Los Angeles, in California, circa 2728 miglia lungo quella che era la tratta degli hobos e dei braccianti agricoli, che si spostavano seguendo i raccolti. Tredici canzoni, tredici classici, otto tappe, tre giorni di viaggio, di questo viaggio registrato nei luoghi di chi viaggia in treno, dalle hall delle stazioni ai piazzali antistanti, una sorta di Running on Empty di Jackson Browne che ha però la tradizione del viaggio in treno come poetica, più che la vita dell’artista come nel caso di Browne. Una sorta di trattato di antropologia culturale, con forti venature storiche, questo lavoro di Bragg e Henry, dove i traditional e i classici ripresi riacquistano vita come se i due avessero tolto un po’ di polvere dalle pagine di Faulkner o di Steinbeck.
Ora, a confrontarsi con i giganti si corre sempre il rischio di passare per nani, questo io e Gianni ben lo sappiamo, e forse anche per questo pure il progetto Milano Underground resterà nel mondo dell’immaginazione, seppur molto interessante e decisamente molto intrigante. Intanto vi ho parlato di Shine A Light di Billy Bragg e Joe Henry, magari da ascoltarsi sfogliando le pagine di Questa Terra È La Mia Terra, la raccolta di scritti di Woody Guthrie. Chiaramente, se mai lo dovessimo fare, e ora che l’ho scritto qui, nero su bianco, il non farlo sarebbe forse la cazzata delle cazzate, non potrebbero mancare al nostro fianco nomi come quello dei miei conterranei de la Gang, i mitici fratelli Severini, che a Guthrie così tanto sono legati, e Alessio Lega, fresco vincitore della Targa Tenco per il suo Nella Corte Dell’Arabat- Le Canzoni Di Bulat Okudzava. Ecco, ho anche già fatto i primi inviti, è fatta. Milano Underground. Shine A Light. Questione di mesi.