Spider-Man: Far From Home, un film quasi teorico che parla di illusione ed effetti speciali

L'ultimo episodio del Marvel Cinematic Universe è un'opera metacinematografica che riflette sull'uso degli effetti speciali nei film di supereroi. Ma è anche un teen movie sbarazzino e un action elettrizzante

Spider-Man: Far From Home

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È un esordio col botto quello di Spider-Man: Far From Home, che nel primo mercoledì di programmazione ha incassato quasi un milione e mezzo di euro, facendo eco a un botteghino globale che in pochissimi giorni ha superato i 600 milioni di dollari. Il film diretto da Jon Watts costituisce l’ultimo tassello del lungo ciclo del Marvel Cinematic Universe, allo stesso tempo epilogo di una fase e prologo che traghetta verso una nuova direzione.

Gli effetti di Avengers: Endgame sono ben visibili. Il mondo deve ancora riadattarsi a quello sconvolgente processo che ha portato prima alla cancellazione di metà del genere umano da parte di Thanos e poi al suo reintegro grazie al viaggio nel tempo dei supereroi. E ha bisogno di riadattarsi anche Peter Parker (Tom Holland, che ha il giusto physique du rôle per il personaggio), rimasto orfano del mentore Tony Stark e però piuttosto recalcitrante, nonostante le pressioni di Nick Fury (Samuel L. Jackson), all’idea di tornare in azione e assumere l’eredità (e le responsabilità) di Iron-Man.

Spider-Man, in fondo, è prima di tutto un ragazzino che frequenta ancora le superiori. Ed ecco allora che una vacanza in Europa con tutta la scolaresca diventa l’occasione ideale per mettere da parte il costume da supereroe e cercare di viversi beatamente l’adolescenza tra le calli di Venezia e i boulevard parigini. Anche perché Peter ha una cotta per MJ (Zendaya) e la battaglia contro la sua timidezza patologica per trovare il coraggio di dichiararsi costituisce una sfida già abbastanza impegnativa.

Spider-Man: Far From Home assume l’aria svagata del teen movie, sintonizzato sull’età del personaggio e del target di pubblico di riferimento, e nel generale alleggerimento del racconto emergono tutte le buffe figurine di contorno, dal professore pignolo al bello della scuola rivale in amore. Naturalmente il confronto con le proprie responsabilità di supereroe può essere rimandato solo per poco. A partire da Venezia compaiono dei giganteschi mostri composti dai quattro elementi fondamentali (acqua, aria, terra, fuoco) che mettono a repentaglio l’integrità delle città. E Spider-Man è obbligato, dopo i primi tentennamenti, a intervenire. Accanto a lui compare un nuovo supereroe, Mysterio (Jake Gyllenhaal), che si conquista la sua fiducia e quella di Nick Fury, al punto da sembrare lui, anche a Peter, il degno erede di Tony Stark.

Questa è solo la prima parte della calibrata sceneggiatura di Chris McKenna ed Erik Sommers. I quali da un lato sono bravi a gestire i diversi toni del racconto, da quello sbarazzino da film per ragazzi a quello elettrizzante da action movie con sottofondo serio (i grandi poteri da cui derivano grandi responsabilità e le ansie dell’adolescente legate al crescere). Dall’altro riescono, grazie a un colpo di scena che ovviamente non si può svelare, a trasformare Spider-Man: Far From Home in un oggetto quasi teorico, che riflette sullo statuto stesso dei film Marvel e del cinema contemporaneo in generale, sempre più dipendente dal massiccio impiego degli effetti speciali, che creano universi meravigliosi ma quasi interamente fittizi.

Questa finzione è illusoria, da spettatori lo sappiamo bene: e però quando siamo immersi nel buio della sala ci affascina, intriga, talvolta spaventa. Stavolta tocca a Spider-Man di essere sottoposto al medesimo ottovolante di emozioni, come fosse anche lui uno spettatore di questa elettrizzante, ma ingannevole macchina-cinema. Che ci incatena al suo gioco anche perché, come viene detto a un certo punto, “è facile illudere la gente che già si illude da sola“.

La svolta, diciamo così, metacinematografica è l’intelligente colpo d’ala di Spider-Man: Far From Home e il segno della lucidità dei suoi autori, che evidentemente, giunti al 23esimo e ultimo episodio, hanno pensato bene fosse giunto il momento di mettere un punto e fare una riflessione sul genere cinematografico sul quale la Marvel ha concentrato più di dieci anni di film ed enormi (e assai remunerativi) sforzi produttivi.