La lunga riconquista dell’ossigeno nelle Tarantelle di Clementino (recensione)

La resilienza è la principale fonte di ispirazione per un album maturo, un diario personale che racconta una rinascita


INTERAZIONI: 600

Ascoltare e comprendere “Tarantelle” di Clementino significa empatizzare con l’artista e camminare con lui lungo i gironi infernali del suo recente vissuto, di certo non costellati di luce e serenità. Come accadeva nei rituali tradizionali, in cui coloro che venivano morsi dalla “tarantola” venivano curati con balli frenetici per espellere il veleno tramite la sudorazione, il rapper napoletano si libera dai suoi demoni con un album maturo e vero, viscerale quanto basta e intenso quanto serve. Noi siamo Dante, lui Virgilio, e come ogni maestro che si rispetti cerca di illuminarci il cammino con l’oscurità che egli stesso ha dovuto affrontare, un po’ per raccontarsi e un po’ per invitarci a non calcare mai certi percorsi.

“Tarantelle” di Clementino è la lenta riconquista dell’ossigeno, un flow continuo e animoso che è tipico di chi ha trascorso troppo tempo a non esprimersi, travolto dagli eventi. La musica è stata la sua salvezza, e a questo disco lo stesso rapper ha dedicato parole affettuose su Facebook:

Si dice che ogni album per noi artisti è come un figlio. Allora adesso, va’ figlio mio, va’ tra la gente e fai capire quante ne abbiamo passate, fai capire la verità, fai capire che cosa è il rap, perché in fondo il rap è solo e semplicemente una cosa… la verità.

In questa nuova esperienza in studio Clementino ha scelto accompagnatori d’eccellenza: Caparezza è l’ospite di BabylonFabri Fibra partecipa a Chi vuole essere milionario?, ma troviamo anche Nayt in Hola! Gemitaiz in Alleluia. Eppure “Tarantelle” di Clementino non è un semplice album rap, perché canzoni come Mare di notte sono una pietanza pop fatta di riff leggeri di chitarra che ricordano Ligabue e beat audaci. Non mancano i dissing al vetriolo, come accade nella già citata Hola! ma anche in AlleluiaSmoke bong, ma tutto il resto è puro intimismo filtrato nel lessico e nell’attitudine del rap.

Gandhi è quel “lasciate ogni speranza”, perfettamente sintetizzato nelle battute finali: «Sono Gandhi fuori e vaf***** dentro», dove il Mahatma diventa il metro di paragone con il quale Clementino si distingue dal mondo esterno – quello che odia gli omosessuali quando parla di sociale e ostenta ricchezze quando fa rap – e proprio dopo aver sfondato la porta per entrare nel nostro quotidiano arriva Un palmo dal cielo, il singolo con il quale il rapper napoletano disegna i suoi incubi nel suo status di persona risorta.

Una ballata rap, forse, nella quale Clementino racconta il suo inferno senza infilzarci con il punteruolo del dissing – che troveremo in altre tracce – e lo fa con parole profonde: «E adesso tutto intorno sembra più leggero, sogni che disegno nello stereo», inquadrando la brezza del mare come quella libertà di cui ha sentito la nostalgia per troppo tempo. Alleluia – ecco il primo dissing – è un pulpito dal quale Clementino punta il dito contro chi crede di essere qualcuno ma riesce a malapena a diventare qualcosa, solo perché ha una certa visibilità. Per questo Clementino e Gemitaiz, secondo i loro versi, mettono “l’Italia a 90°” e cambiano i pannolini a chi li guarda dal basso: «Tu c’hai tre collane, io c’ho i dischi d’oro».

Mare di notte, uno dei pezzi più interessanti di “Tarantelle” di Clementino. Il pop e il cantato scelti per questo brano lamentano una “vita senza groove“, e si appoggiano su un riff di chitarra che ricorda Eri bellissima di Ligabue e su un beat trascinante. Il mare di notte del titolo è la proposta di ritornare un po’ alla spensieratezza della gioventù, un invito a nuotare mentre il resto del mondo dorme. Tarantelle, la title-track, ci intenerisce per quello skit in cui sentiamo la voce del piccolo Clemente Maccaro (questo il suo vero nome) in apertura del brano, che diventa un film sui ricordi del rapper napoletano, e non manca Maradona “che vinceva la coppa”Clementino ringrazia il suo pubblico, quei ragazzi che cantano le sue canzoni sotto il palco e che sanno capirlo e certo, sanno come lui che le cose sono “cagnate” rispetto a quando si giocava a pallone nel cortile.

Hola!, il featuring con Nayt, è il secondo dissing “violento” di “Tarantelle” di Clementino, un’invettiva feroce contro tutto e tutti e che si trasforma in un coro da stadio nel ritornello. Chiunque, dopo aver ascoltato Hola!, intonerà quel vocalizzo: «Eh oh, eh oh, eh oh, eh oh, eh oh, hola, hola, hola». Clementino stuzzica l’hype con provocazione: «Il mio disco è più atteso di un porno» e scomoda i personaggi del momento senza tralasciare Diletta Leotta Belen Rodriguez, ma non risparmia Donald Trump né Papa FrancescoSempreverde è il reggaeton divertente che ci fa sorridere sull’imitazione di Silvio Berlusconi,  fondamentalmente è una canzone sulla spensieratezza, ottima per le piste da ballo, ma non si può dire altrettanto per Versi di te.

Versi di te è nel mood di Un palmo dal cielo, quei pochi minuti di autoanalisi in cui Clementino si denuda lo spirito per scoprire le carte e raccontare, ancora, il suo cambiamento: «Ricordi quando tornavo a casa spaccato? Non ero Clemente, le tenebre, sono inciampato, che fanno cadere più volte, mi sono rialzato», e infatti: «Ora cammino sulle nuvole», e si sente. Clementino ci offre la sua rinascita e lo fa su un beat r’n’b, su melodie orecchiabili ma senza scadere nel banale, specialmente quando parliamo di Babylon. Il featuring con Caparezza è un pezzo d’arte, perché quel campionamento di Personal Jesus dei Depeche Mode non passa inosservato. Il testo racconta un mondo in cui tutti parlano lo stesso linguaggio eppure nessuno capisce l’altro, e se semplifichiamo il discorso guardando all’universo dell’Internet non possiamo che concordare.

Sogni di gloria fanno parte di Chi vuole essere milionario?, il featuring con Fabri Fibra che ci fa ballare sui luoghi comuni delle aspirazioni, come stappare un prosecco in piscina e somigliare a Claudio Baglioni quando ci si fa una plastica per combattere i segni dell’età, ma c’è anche la “piscina di Gigi D’Alessio” e Matteo Salvini che “nel mare s’è perso”. Una base assolutamente dance riempie il momento più esuberante del disco, ma tutto si placa con Freddo, nuova ballata pop: «Lo vedi? È magico quando ci sei, è troppo presto quando te ne vai», una dolce dedica a una persona speciale, uno sguardo su un mondo ovattato che si dissolve con Smoke bong, quasi una versione rap della storica Beer bong dei NoFx, al confine tra l’r’n’b e il reggae, il genere che “switcha” quando si canta: «Legalize marijuana».

Si smette di scherzare, severamente, con La mia follia. Gli ultimi istanti di vita di un ragazzo colpito da un’overdose sono ragni che si arrampicano sullo stomaco, una sudorazione fredda e l’apparizione di Dio, o di un angelo che gli faccia strada. Clementino è un proiettore sulla tragica morte, sulla sorella cattiva della vita, e ci presenta una realtà che non riusciamo a vedereDiario di bordo chiude il disco. Gli eventi, come spiega Clementino, sono raccontati in ordine cronologico e sono tutti veri, dall’uscita dalla comunità al concerto con i Foja, ma anche il concerto con Achille Lauro, le interviste rilasciate ai quotidiani e tutti i concerti. La frase: «Nel mio caro diario ci lascio la mia impronta» chiude il brano e chiude “Tarantelle” di Clementino. C’è solo la sua voce, ora, quando la riproduzione si ferma. Clemente si fa ascoltare fino all’ultimo, ci tiene davvero.

Allo stesso modo ha a cuore far conoscere a tutti la sua resilienza, il potere introspettivo di rialzarsi e riprovarci, riprendere tutto senza abbandonare la musica, la dea che lo ha salvato. Le 14 tracce sono gli episodi della sua risalita verso la superficie, dal più rabbioso al più felice, dal più triste al più leggero. Parlare di “Tarantelle” di Clementino significa parlare di un ragazzo qualunque, un uomo che ha scelto la musica per riaprire gli occhi e – perché no – per tenerli aperti anche a noi.