Si sente la mano della Groenlandia, la società di produzione cinematografica di Matteo Rovere e Sydney Sibilia che con Rai Cinema ha prodotto Il campione, film d’esordio alla regia di Leonardo D’Agostini con la sceneggiatura di Giulia Steigerwalt.
Rovere e Sibilia, nella doppia veste di registi e produttori, sono dietro alcuni dei titoli più significativi di questi ultimi anni, dalla trilogia di Smetto quando voglio a Veloce come il vento e l’ambizioso Il primo re. Cioè quei film che hanno impresso un cambiamento, facendo dialogare il nostro cinema con generi, immaginari ed estetiche di marca statunitense. Di qui heist movie, film di supereroi o sullo sport, per uscire dalla dittatura del duopolio commedia/film d’autore in cui il cinema italiano annaspa da troppo tempo.
Così oggi, grazie a figure come loro, è possibile vedere un film dedicato al calcio come Il campione. Il calcio è la grande passione nazionale, eppure praticamente nessuno, fino a oggi, è riuscito a raccontarla decentemente al cinema. Non è un caso se quasi tutti i (pochi) titoli dedicati al genere siano commedie, da Gambe d’oro con Totò a I due maghi del pallone con Franco e Ciccio, da Il presidente del Borgorosso football club con Sordi a L’allenatore nel pallone con Banfi. Il tono da commedia e i trascinanti protagonisti, infatti, hanno sempre consentito di aggirare la difficoltà maggiore, la messinscena di sequenze agonistiche sul campo dotate di qualche verosimiglianza.
Questo è uno dei meriti maggiori de Il campione, che rappresenta credibilmente il mondo del calcio, sia dentro che fuori il rettangolo di gioco. Sono stati usati i veri luoghi della Roma calcio, perché la società ha aperto le porte di Trigoria e dell’Olimpico; sulle maglie è comparso l’autentico logo della squadra; e i match, grazie alla collaborazione dei calciatori di Lazio Sassuolo e Pisa, hanno un sapore autentico. E funziona anche il fuori campo: non solo per i cameo dei commentatori, da Caressa a Pardo a Zazzaroni, ma perché suona verosimile l’ambiente parassitario di presidenti, procuratori, faccendieri, assistenti e fidanzate che ruotano intorno alla stella di turno.
Il campione è Christian Ferro (Andrea Carpenzano), ragazzo del Trullo talentuoso e scapestrato, ubriacato dal successo e incapace di gestirsi. Per rimetterlo in riga e inculcargli il senso della disciplina il presidente (Massimo Popolizio) ha una soluzione vecchio stile: Christian deve studiare per la maturità, e se non ottiene buoni risultati non gioca. Il precettore scelto è Valerio (Stefano Accorsi), ex docente di liceo piuttosto malmesso con un disperato bisogno di soldi. Ovviamente sono due mondi agli antipodi: la giovanissima rockstar CF24 (una sigla alla CR7 di Ronaldo), idolatrata (e usata) da tutti, con innumerevoli impegni dentro e fuori il campo e innumerevoli tentazioni. Dall’altro lato il maturo quarantacinquenne sconfitto dalla vita e a digiuno di calcio – non sa neanche chi sia Christian –, che ascolta solo musica classica e come tv ha un residuato bellico.
Neanche a dirlo, a poco a poco nasce l’intesa: perché entrambi hanno un dolore nel loro passato che li avvicina, perché al cinema la missione pedagogica per un insegnante è un marchio indelebile, e perché CF24 è un bravo ragazzo di periferia, che ha solo bisogno di abbandonare le cattive compagnie e trovare un’autentica fiducia in sé stesso.
I clichés ne Il campione abbondano, è evidente – il regista cita Will Hunting come ispirazione, ma gli esempi sarebbero innumerevoli. A riscattare la prevedibilità della trama è prima di tutto la bravura degli interpreti: sia Carpenzano (Tutto quello che vuoi, La terra dell’abbastanza) che Accorsi sono decisamente in parte – è esatto il momento in cui il professore guida la fuoriserie di Christian e viene preso dal senso d’onnipotenza che soldi e potere inevitabilmente si portano con sé. L’altro elemento, come già dicevamo, è la cura nella rappresentazione della cornice.
Nel finale, poi, la trama non è così telefonata come sembra: Christian e Valerio sono gli unici due a credere davvero a quello che stanno facendo, mentre il caravanserraglio del calcio intorno a loro continua a pensare soltanto al tornaconto economico. Così come argine resta solo la forza dei legami affettivi e morali tra persone che hanno la dignità di tenere fede alla parola data. Il mondo intorno, però, continua a giocare secondo le proprie regole.