Black Panther miglior film, Spike Lee miglior regista: e se fosse questo il responso degli Oscar 2019? Impossibile? Chissà. I tempi sarebbero maturi, e con una scelta del genere la 91esima edizione del premio assegnato dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences aggiungerebbe un ulteriore, decisivo tassello a coronamento di un processo che, un passo dopo l’altro, è in corso da diversi anni.
Volendo tornare alla preistoria della questione bisognerebbe partire dal 1939, dall’antidiluviana statuetta alla leggendaria Hattie McDaniel, la prima persona afroamericana a essere nominata e ad aver vinto un Oscar – per Via col vento, non esattamente un film in cui spirasse il vento del cambiamento. Ma basta fare due conti, scorrendo la lista di nominati e vincitori di colore per accorgersi subito di come, fino a tutti gli anni Novanta almeno, la loro presenza nelle premiazioni dell’Academy fosse un fenomeno sporadico, del tutto eccezionale.
Infatti, delle 39 statuette vinte da neri nell’intera storia degli Oscar, solo 15 sono state assegnate prima del Duemila. E anche allargando il campo all’ultimo ventennio, ci sono comunque elementi che saltano all’occhio: solo una volta una donna ha vinto l’Oscar per la migliore attrice (Halle Berry, 2002) – un po’ meglio è andata agli uomini, quattro statuette, da Sidney Poitiers a Forest Whitaker –, mai un Oscar per la miglior regia, un solo Oscar per il miglior film, 12 anni schiavo, andato al produttore (e regista) Steve McQueen, premi che si contano sulle dita di una mano nelle categorie tecniche.
Per questo nel 2015 l’avvocato e attivista di colore April Reign lanciò una campagna con l’hashtag #OscarsSoWhite, per sottolineare il fatto che, per il secondo anno consecutivo, tutti i candidati nelle quattro categorie per gli interpreti erano bianchi (il che significa 40 su 40). La protesta di April fu rilanciata, tra gli altri, da Spike Lee e dalla moglie di Will Smith, Jada Pinkett Smith, i quali dichiararono che avrebbero boicottato la serata degli Oscar. E così divenne immediatamente virale.
Da quel momento le cose hanno cominciato significativamente a mutare. E il vero segnale non sta tanto nell’aumento di candidature di artisti non bianchi, ma nell’esorbitante numero di nuovi membri nominati dall’Academy negli ultimi anni. È lì che si decidono i giochi, perché sono i membri dei 17 rami in cui è suddivisa l’organizzazione a decidere, attraverso il loro voto, le candidature. E fino al 2015 i membri erano a larga maggioranza maschi bianchi anziani, con le conseguenze che si possono immaginare. Ma dal 2016 al 2018 sono stati invitati a far parte dell’Academy ben 2385 nuovi membri, con il chiaro scopo di riequilibrare il numero di donne, minoranze e giovani – perché, è chiaro, non era solo la comunità di colore a essere sottorappresentata. La presenza femminile è salita al 31%, quella dei neri al 16%, il doppio rispetto al 2015.
Origina da questa nuova, indispensabile politica inclusiva l’autentico cambio di passo, che ha già mostrato i suoi primi effetti: premio Oscar per il miglior film a Moonlight nel 2017, storia di un gay di colore diretta dal nero Barry Jenkins; la prima nomination alla regia a Spike Lee quest’anno per BlacKkKlansman, che scandalosamente non aveva mai avuto, nemmeno per capolavori come Fa’ la cosa giusta o Inside Man; il probabile secondo Oscar a Mahershala Ali, favoritissimo come attore non protagonista per Green Book – un film, guarda caso, sul razzismo.
L’aria che ha cominciato a tirare la si coglie anche da altri segnali, che non riguardano solo artisti di colore. Si pensi all’incredibile messe di Oscar per la regia agguantata negli ultimi anni dai grandi talenti messicani, Guillermo Del Toro, Alejandro González Iñárritu e Alfonso Cuarón, che hanno vinto quattro degli ultimi cinque premi di categoria. E Cuarón è strafavorito pure quest’anno con Roma.
Andando a spulciare tra le nomination degli Oscar 2019 si trovano altri titoli interessanti: per esempio Spider-Man – Un nuovo universo, il film d’animazione targato Columbia e Sony che dopo il Golden Globe è il quasi certo vincitore dell’Oscar di categoria, con la storia di un Uomo ragno, guarda un po’, di colore; o la prima nomination di sempre di una donna nera come miglior scenografa, Hannah Beachler per Black Panther.
A proposito, Black Panther è il titolo più atteso di tutti: il Marvel movie prodotto dalla Disney e diretto dal nero Ryan Coogler è il primo film con attori di colore ad aver superato il miliardo di dollari di incasso globale. Negli Stati Uniti Black Panther ha rappresentato un fenomeno culturale e di costume senza precedenti, e il 27 gennaio scorso è stato capace di vincere ai Sag Awards, il premio assegnato dal sindacato degli attori, il riconoscimento per il miglior cast. Molto spesso chi vince quel premio si aggiudica anche l’Oscar per il miglior film. Il che costituirebbe un fatto davvero senza precedenti, perché si tratta di un film che parla esplicitamente di riscatto e orgoglio nero. E se questa cosa dovesse accadere, a guardare i produttori di Black Panther sollevare la statuetta più ambita ci sarebbe anche April Reign che, è notizia dell’ultim’ora, l’Academy ha invitato a partecipare alla notte degli Oscar. Un altro segnale significativo.