Il titolo originale, A Hologram for the King, lo stesso del romanzo di Dave Eggers da cui è tratto il film del regista tedesco Tom Tykwer (Lola corre, Cloud Atlas), fa riferimento al fiore all’occhiello dei sistemi informatici che l’uomo d’affari americano Alan Clay (Tom Hanks) vuole vendere a un regnante saudita in un viaggio della speranza che dovrebbe risollevarne le sorti di uomo e di professionista, messo in ginocchio dalla crisi e nemmeno più in grado di pagare la retta universitaria della figlia.
L’affare si rivela assai complicato perché, come rimarca il titolo italiano, Aspettando il re, il suddetto cliente è una sorta di miraggio beckettiano, un personaggio che non si presenta mai all’appuntamento, obbligando Clay e il suo team ad attenderlo invano in un assurdo tendone sperduto nel nulla dell’avveniristica Città commerciale del re ancora tutta da costruire nel mezzo del deserto.
L’avventura di Clay prende dei tratti surreali: beve troppo, si sveglia sistematicamente in ritardo e arriva fuori tempo massimo all’appuntamento (però eternamente procrastinato), si fa scarrozzare da un bizzarro tassista arabo (Alexander Black) che gli confida le proprie ambasce sentimentali e lo tormenta con canzonette americane. Soprattutto, Clay deve misurarsi con la sua vicenda di businessman sull’orlo del fallimento, sinistramente simboleggiato da un lipoma forse maligno comparso sulla schiena, per il quale deve ricorrere a un’affascinante medico saudita donna (Sarita Choudhury).
Aspettando il re si muove sul filo dell’assurdo, e da spettatori viene da chiedersi perché questo personaggio di americano sballottato in un altrove di cui non possiede le coordinate non sia stato destinato al suo interprete naturale, Bill Murray, specialista di caratteri “lost in translation”. Ma Murray avrebbe reso il racconto ancora più stravagante, mentre l’everyman Tom Hanks riesce a radicarlo a una realtà più riconoscibile, che consente di immedesimarsi nel protagonista di questa versione globalizzata e virata in commedia di Morte di un commesso viaggiatore.
Il romanzo di Dave Eggers era più politico del film, racconto esemplare del crollo d’un modello economico, d’una classe sociale, del sogno americano stesso, ormai delocalizzato e appaltato a paesi dotati di sistemi economici più efficienti e competitivi, di fronte ai quali, per la prima volta nella storia, gli Stati Uniti rischiano di sembrare il vecchio mondo e non più la nuova frontiera. Tom Tykwer punta più sul tono di commedia bizzarra, grazie ai duetti tra Tom Hanks e il tassista arabo – il film ha fatto storcere la bocca a qualcuno per il modo in cui viene rappresentata la cultura mediorientale di un’Arabia Saudita in gran parte ricostruita in Marocco – e all’ambientazione paradossale nella vastità di un nulla progettato per diventare metropoli.
Fin quando mantiene questo timbro spiazzante con spunti satirici, Aspettando il re funziona. Poi però Tykwer punta sulla commedia romantica esotica con la storia tra Clay e la bella dottoressa, e il racconto sbanda, sfociando in un tono troppo conciliante – la facilità dell’incontro tra culture nel nome dei sentimenti – che tradisce l’assunto di partenza.