Miglior Documentario agli Oscar 2017: chi sono gli avversari di Fuocoammare? E chi vincerà?

Il film di Gianfranco Rosi è l'unica nomination italiana di peso ai premi Oscar. Il lotto degli avversari è agguerritissimo. Conosciamoli, e capiamo le probabilità di successo del nostro candidato. Rcordando che stasera Rai 3 trasmette "Fuocoammare" in prima serata.

Oscar 2017 gli avversari di Fuocoammare come miglior documentario

INTERAZIONI: 20

Chi sono gli avversari di Fuocoammare agli Oscar 2017 nella categoria miglior documentario? Stasera con grande tempismo Rai 3 manda in onda alle 21.15 il film su Lampedusa di Gianfranco Rosi, che domenica prossima quasi da solo terrà alta la bandiera dell’Italia agli Academy Awards (il titolo americano è Fire at Sea).

Entrare nella cinquina dei finalisti è già un risultato prestigioso: Fuocoammare è l’unico titolo non americano in un lotto di agguerritissimi contendenti. Si tratta della seconda nomination di sempre dell’Italia nella categoria: la prima fu La grande Olimpiade di Romolo Marcellini, nella preistoria del 1962.

Quante sono le probabilità di vittoria? Per pesare le reali chances di successo del film di Rosi sarà meglio presentare uno a uno gli avversari di Fuocoammare agli Oscar 2017 nella categoria miglior documentario. Partendo dal competitor meno accreditato.

Life, Animated

L’avversario più abbordabile è Life, Animated di Roger Ross Williams, dato a 41 dai bookmakers. In Italia è uscito a inizio febbraio (qui la nostra recensione), ed è la toccante storia di Owen, un ragazzo autistico che ha trovato un modo per affrontare la malattia e comunicare col mondo, attraverso i cartoni animati Disney di cui è onnivoro appassionato. Life, Animated è il racconto d’una commovente vicenda personale e d’una famiglia che, col linguaggio apparentemente fantastico dei film d’animazione, ha gettato un ponte che lo mette in comunicazione col proprio figlio. Insieme, il documentario è una riflessione singolare sull’arte cinematografica, sulla sua capacità di farsi dispositivo per orientarsi nel mondo.

I’m not your negro

Il tema razziale, leitmotiv di questi Oscar 2017, è al centro di I’m not your negro del regista haitiano Raoul Peck (in Italia uscirà il 22 marzo), dato 17 a 1 dai bookmaker. Peck utilizza il filo rosso di un testo incompiuto dello scrittore afroamericano James Baldwin, Remember This House, che mirava a raccontava la storia americana attraverso le vite di Martin Luther King, Malcom X e l’attivista Medger Evers, amici di Baldwin, tutti e tre uccisi negli anni Sessanta delle lotte per i diritti civili. La voce narrante Samuel L. Jackson legge alcuni passi del libro, e quegli stralci, insieme a materiali d’archivio (come un’apparizione di Baldwin al celebre Dick Cavett show) restituiscono la prospettiva dello scrittore, che il film fa propria, sull’America contemporanea, segnata dalla discriminazione e l’incompiutezza del processo democratico. Una riflessione nella quale viene analizzato anche il ruolo propagandistico del cinema, che secondo Baldwin dell’ideologia della supremazia bianca si è fatto fiancheggiatore.

13th

Il secondo candidato favorito nella categoria documentario agli Oscar 2017, quotazione 5 a 1, è 13th di Ava DuVernay (in italiano XIII emendamento, visibile su Netflix). Il film, che ha vinto il Bafta, l’Oscar britannico, porta ancora più prepotentemente al centro la questione razziale. A cui l’Academy presieduta da una donna di colore, Cheryl Boone Isaacs, è molto sensibile, soprattutto dopo la polemica Oscars So White dell’anno scorso, circa l’assenza di candidati non bianchi alle statuette. Ava DuVernay è la regista di Selma, la biografia di Martin Luther King: il titolo 13th si riferisce polemicamente al tredicesimo emendamento della costituzione americana, che sancisce l’abolizione della schiavitù. Una disposizione, sottolinea con tono militante il documentario, disattesa nell’America contemporanea. Che ha, ricorda 13th, il 5% della popolazione mondiale e il 25% di detenuti, in maggioranza neri. Il documentario utilizza le testimonianze di studiosi, attivisti e politici, analizza il funzionamento del sistema giudiziario e legislativo del paese: e tutto per giungere alla conclusione che negli Stati Uniti l’incarcerazione costituisce uno strumento di controllo, volto all’oppressione della minoranza afroamericana.

O.J.: Made in America

Ecco l’incontrastato favorito, O.J.: Made in America di Ezra Edelman. I bookmakers lo dànno a 1,16. Praticamente ha la vittoria in tasca. In origine era una miniserie tv, poi rimaneggiata per una versione cinematografica ideata proprio per concorrere agli Oscar. Il documentario di Ezra Edelman racconta una storia americana emblematica, quella di O.J. Simpson, il campione nero del football americano, prima accusato di aver ucciso la bellissima moglie bianca, poi assolto, e alla fine incarcerato per 33 anni per rapina a mano armata e sequestro di persona. Una vicenda rocambolesca, che potrebbe sembrare una cattiva sceneggiatura. Invece è tutto vero. Ed è un racconto, che Edelman arricchisce di materiali inediti e interviste, nel quale si incrociano l’ossessione della cultura americana per il successo, la pervasività dei mezzi di comunicazione di massa (chi non ricorda l’inseguimento in diretta tv di Simpson?), l’ineludibile questione razziale. Oltre a essere già andata in onda nella versione miniserie, può in qualche modo avvantaggiarsi anche della parallela fiction tv di grande successo, The People v O.J. Simpson: American crime Story, che ha ridato grande visibilità a questa intricata vicenda. Il lavoro di Edelman ha fatto incetta di premi, tra cui i Dga Awards del sindacato dei registi e quello della National Board of Review. E aspetta solo l’incoronazione degli Oscar 2017.

Meryl Streep, Gianfranco Rosi e il distributore americano Richard Lorber a una proiezione di «Fuocoammare» negli Usa

Fuocoammare può vincere?

Passati in rassegna gli avversari di Fuocoammare agli Oscar 2017 come miglior documentario, quali sono quindi le chances di vittoria del film di Gianfranco Rosi? Putroppo pochissime. I sempre informati bookmaker inglesi di Walter Hill dànno il film di Rosi solo quarto, con una quotazione di 34 a 1. Anche il peso della già citata polemica Oscars So White, rende l’affermazione di Rosi assai improbabile. Qualche piccola speranza però c’è. Perché il tema drammatico dei migranti di Fuocoammare è prepotentemente finito al centro del dibattito e dell’agenda politica americana, dopo il decreto anti-immigrazione emanato dal presidente Trump. Quello stesso presidente contro cui si era scagliata Meryl Streep nel suo ormai celebre discorso agli ultimi Golden Globes. Guarda caso, proprio la Streep è stata il principale sponsor negi Stati Uniti del film, e aveva contribuito nel suo ruolo di presidente di giuria a fargli ottenere l’Orso d’oro al festival di Berlino. Chissà se l’aria che tira dalle parti di Hollywood non riservi qualche sorpresa nella notte degli Oscar 2017.