Dopo la protesta anti-Trump dei Sag Awards, cosa succederà ai premi Oscar?

La prima è stata Meryl Streep ai Golden Globes. Tanti artisti l'hanno seguita, approfittando dei pulpiti dei premi per criticare Trump. Ieri ai Sag Awards è successo di tutto. Ora ci si chiede cosa accadrà agli Oscar. Dove la scelta tra i favoriti "La La Land" e "Moonlight" diventa una questione politica.

Donald Trump e i premi Oscar

INTERAZIONI: 14

Donald Trump e i premi Oscar. Si sta scavando un solco profondo tra il neopresidente e il mondo liberal di Hollywood. L’ultima dimostrazione l’hanno data ieri i Sag Awards 2017, il premio del sindacato degli attori americani. Che si è svolto in un momento delicatissimo per il paese, con una parte dell’opinione pubblica profondamente scossa dalla decisione di Trump di vietare l’accesso di rifugiati e immigrati musulmani negli Stati Uniti.

Se i normali cittadini protestano sfilando nelle strade e occupando aeroporti, gli attori approfittano della visibilità data dal pulpito dei premi di cinema e tv per lanciare segnali di resistenza. Il tono dei Sag Awards 2017 è stato chiaro sin dal discorso d’apertura di Ashton Kutcher, che ha salutato “tutti quelli che sono negli aeroporti, che appartengono alla mia America. Siete una parte del tessuto di quello che siamo, vi amiamo e vi diamo il benvenuto”.

Nel suo discorso di ringraziamento per il premio come migliore attore non protagonista in Moonlight, Mahershala Ali ha sottolineato il suo essere musulmano, ribadendo che le differenze religiose non hanno alcuna importanza. E Julia Louis-Dreyfus, vittoriosa per Veep, ha ricordato di essere figlia di un immigrato fuggito dalla Francia occupata dai nazisti, aggiungendo che, in quanto patriota, “amo questo Paese e sono atterrita dai suoi errori. E questo divieto agli immigrati è una macchia, ed è anti-americano”.

Molto esplicita è stata Sarah Paulson, premiata per la miniserie televisiva Il caso O.J. Simpson: American Crime Story, che ha invitato a fare donazioni all’organizzazione non governativa ACLU, l’American Civil Liberties Union, “per proteggere diritti e libertà dei cittadini di questo paese”. Mentre Bryan Cranston, premiato per la miniserie tv All the Way, ha detto sibillinamente che il personaggio da lui interpretato, il presidente Lyndon Johnson, se potesse parlare con Donald Trump gli suggerirebbe all’orecchio “di non pisciare nella zuppa che tutti dobbiamo mangiare” (per ulteriori approfondimenti, leggi qui e qui).

Dei Sag Awards 2017 hanno colpito anche le scelte dei giurati. Perché per quanto riguarda il cinema, tutti i premi tranne uno, quello ad Emma Stone per La La Land, sono andati ad attori di colore, Denzel Washington, Viola Davis, il cast all black e al femminile di Il diritto di contare. Un inno alla diversità, in totale controtendenza al bianco accecante delle scelte dei premi Oscar criticate lo scorso anno dalla polemica #OscarsSoWhite.

Dal discorso anti-Trump di Meryl Streep ai Golden Globes in poi, è stato un crescendo. Dilagato anche nelle rete: dove l’attore e attivista Michael Moore ha lanciato una seguitissima diretta facebook dall’aeroporto Jfk di New York, cuore della protesta; mentre Shia LaBeouf ha dato vita a una performance collettiva in collaborazione con il Museum of Moving Image di New York – andata in streaming 24 ore su 24 -, durante la quale chiunque poteva partecipare, pronunciando le parole He will not divide us, Lui non ci dividerà, davanti alla telecamera – l’attore è stato anche arrestato.

A questo punto la domanda che tutti si pongono è che posizione decideranno di prendere i premi Oscar rispetto al presidente Donald Trump. L’Academy cavalcherà l’onda lunga della protesta o cercherà di stemperare gli animi? Qualche segnale c’è già stato. Gli organizzatori degli Oscar hanno infatti giudicato “estremamente preoccupanti” le misure anti-immigrazione che impediranno al regista Asghar Farhadi, candidato per il miglior film straniero, di prendere parte alla cerimonia del 26 febbraio. Ma al di là di ciò e degli eventuali interventi dei singoli artisti sul palco, l’indirizzo lo daranno soprattutto le scelte dei vincitori fatte dai giurati.

Il netto favorito della vigilia è La La Land, dall’alto delle sue 14 nomination. Il quale, da un punto di vista diplomatico, sembra il candidato perfetto. Perché, seppur incantevole, il musical di Damien Chazelle è un film che parla d’amore e cinefilia, privo di chiare implicazioni politiche. Premiando questo racconto elusivo e malinconico, l’Academy potrebbe lanciare un segnale di distensione – o perlomeno di neutralità – al presidente Trump. Senza nemmeno poter essere tacciata di opportunismo o pavidità, dato che, considerata la bellezza del film, la scelta sarebbe qualitativamente ineccepibile.

Se invece i premi Oscar vogliono continuare a tracciare il solco, le opportunità non mancano: Arrival, racconto fantascientifico sulla necessità di dialogare con chi è diverso da noi, Barriere di Denzel Washington, Il diritto di contare, storia della scienziata di colore che collaborò con la Nasa per la missione Apollo 11. Ma se la volontà dell’Academy è belligerante, allora il candidato ideale è l’altro favorito della vigilia, Moonlight di Barry Jenkins, 8 nomination, che parla di discriminazione razziale e sessuale, neri e gay. La La Land o Moonlight? Mai come quest’anno le scelte dell’Oscar parleranno di politica più che di cinema.