La prima sequenza di Matrix Resurrections ripete quasi alla lettera quella del Matrix del 1999, in cui degli agenti cercavano di catturare Trinity. La particolarità però è nel fatto che stavolta ci sono altri personaggi, appartenenti al nuovo film, che osservano la scena come fossero spettatori, commentando “conosciamo questa storia. È così che è cominciato tutto”. Si interrogano su similitudini e differenze, per capire come è mutato Matrix, il programma che ha dato forma a quella simulazione di realtà che è il mondo in cui tutti credono di vivere.
Questo è solo uno dei tanti momenti in cui Matrix Resurrections mostra la sua vocazione prettamente metacinematografica, cadenzata da una narrazione che istituisce scientemente un continuo confronto tra il prima e il dopo, tra la trilogia originaria del 1999-2003 e questo sequel che a ogni momento si manifesta come tale. A un certo punto c’è persino una riunione all’interno della società di videogiochi per cui lavora Neo (Keanu Reeves) – genio della programmazione che ha vinto un premio nel 1999, ovviamente per il videogame Matrix – in cui l’amministratore delegato dice che “la nostra amata casa madre Warner Bros. vuole fare un sequel della trilogia, con noi o senza di noi”.
Ossia più o meno ciò che è accaduto nella realtà, perché la Warner, che ha sempre desiderato dare un seguito alla gallina dalle uova d’oro Matrix anche senza il contribuito delle sorelle Lana e Lilly Wachowski (com’è noto fratelli al tempo della trilogia), aveva cominciato a lavorare a un progetto scritto da Zak Penn. E se alla fine almeno Lana si è decisa ad accettare la sfida di Matrix Resurrections, dirigendolo e scrivendolo (insieme a David Mitchell e Aleksandar Hemon, coautori del famoso ultimo episodio di Sense8), ciò è stato possibile proprio perché ha immaginato il nuovo film come una sorta di postilla e commentario della trilogia. Questo era l’unico modo non tanto per eliminare l’ingombrante peso dell’effetto nostalgia – non mancano spezzoni dei vecchi film – o il sapore sospetto dell’operazione puramente commerciale da franchise, quanto perlomeno per dichiararlo esplicitamente, autodenunciandosi.
La dinamica è ancora più manifesta in una sequenza d’azione – al netto di tutta la pur intrigante riflessione su simulazione e realtà che però ha molti debiti con la fantascienza di Philip K. Dick e la filosofia di Jean Baudrillard, il punto di forza rivoluzionario del primo Matrix era nella visionarietà delle scene di combattimento, a partire dalla suggestiva manipolazione del tempo del bullet time (e sì, i personaggi di Matrix Resurrections citano pure questo) –, quella in cui il Merovingio (Lambert Wilson), mentre tutti si azzuffanno, si lamenta di questi insopportabili film sparatutto, rimpiangendo la grazia e lo stile di una civiltà della conversazione, in cui “l’arte, i film i libri, tutto era migliore!”, nella quale “l’originalità era importante”.
Solo all’interno di questa cornice che prende le distanze dal proprio racconto e dalle emozioni (prefabbricate) che veicola, per Lana Wachowski è stato possibile dare vita a Matrix Resurrections, inoculandovi all’interno uno spirito critico velenoso che, se non smantella, certamente incrina alle fondamenta tutto il senso dell’operazione, guardata con occhio scettico e ironico. A quel punto si può disporre la ricetta canonica, e tanto attesa dagli appassionati, una storia con tutti gli ingredienti, le scene d’azione calibratissime e stilose, le cervellotiche teorie parafilosofiche, soprattutto i leggendari protagonisti. Neo e Trinity sono ancora loro, sempre interpretati dagli iconici Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss, incredibilmente riportati in vita, sempre alle prese con il medesimo problema di scegliere tra la pillola blu della beata incoscienza e la pillola rossa della dolorosa cognizione della spaventevole bruttezza della realtà.
Attorno a loro ruota un cast fatto in parte di personaggi totalmente nuovi, come la guerriera Bugs (Jessica Henwick) e l’insinuante Psicologo di Neil Patrick Harris (cui sono demandati i lunghi, talvolta didascalici spiegoni sul perché gli uomini preferiscano inchinarsi alla confortante simulazione aborrendo la faticosa verità); in parte di personaggi “aggiornati” – come l’update di un software – quali Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II; improbo sostituire Laurence Fishburne) e la scheggia impazzita dell’agente Smith (Jonathan Groff al posto di Hugo Weaving).
Matrix Resurrections vive anche della lucida consapevolezza di essere un film impossibile. Nel senso che tutto ciò che oltre vent’anni fa appariva completamente nuovo dal punto di vista visivo proprio grazie al seminale capostipite della serie, è diventato lo standard produttivo di qualsiasi film action o supereroistico. Prova ne è che, a rivederlo oggi, il primo Matrix non restituisce più quel senso di folgorazione abbagliante che ci catturò due decenni addietro, perché nel frattempo sul nostro sguardo sempre più stanco per il sovraffollamento di stimoli s’è incrostato di tutto.
Allora cosa può fare Matrix Resurrections per regalarci qualcosa di inedito e soprattutto di vero? Meravigliarsi per l’immaginario non è più possibile. E nemmeno i sentimenti, leva cardine dello storytelling e del marketing (esiste merce più potente della nostalgia?), conservano alcunché di autentico nell’industria dell’intrattenimento. Su questo lo Psicologo si esprime con assoluta chiarezza, quando dice che “le emozioni sono molto più facili da manipolare dei fatti”, ed è grazie a quelle che “la gente se ne resta nella sua capsula, più felice di un maialino nel fango”.
Perciò l’unica cosa che resta per dare una ragion d’essere, una dignità a un film come Matrix Resurrections, per consentirgli di non perdersi nella massa indistinta dei franchise, tra reboot, sequel, remake, spin-off e chi più ne ha più ne metta, è proprio la presa di posizione teorica, il fatto di sapere di essere un prodotto. Magra consolazione, forse. Chissà se basterà per dare a questo quarto episodio la forza per diventare anch’esso una “metafora del capitalismo”, come dicono i programmatori della factory digitale in cui lavora Neo quando parlano del prototipo del 1999. In ogni caso, Matrix Resurrections sembra l’unico sequel possibile della saga.