È tutta colpa di Frank Furillo. Prima di lui, me lo potresti giurare, mai avresti pensato che le cose potessero anche chiudersi con un brutto finale. Neanche quando, un paio di anni prima che Frank Furillo entrasse nella tua vita, avevi visto Starsky e Hutch, non due personaggi qualsiasi, quindi, ma proprio i tuoi primi due eroi non-convenzionali, quelli con la Ford Gran Torino rossa con le bande bianche, levarsi di torno riconsegnando i propri distintivi. Eri troppo piccolo, probabilmente, per capire che quel gesto era una resa di fronte alla corruzione, un alzare le mani di fronte al male, del resto non avevi mai neanche lontanamente pensato che Huggy fosse un poco di buono, simpatico com’era, lì a trafficare e fare la spia, poi lo avresti chiamato un “faccendiere”, ma solo da grande, da adulto. Poi, infatti, sei cresciuto, ti sei affacciato all’adolescenza, e Frank Furillo ti aveva sbattuto in faccia la dura realtà: non esiste solo il nero e il bianco, il bene e il male, ma il mondo è fatto prevalentemente di zone grige, a tratti marroni, dove le sfumature diventano tanto indistinte da lasciare disorientati, e dove soprattutto alla fine, quando uno si aspetta un colpo di scena capace di regalare il meritato sorriso, a volte non arriva niente di lieto.
Hill street giorno e notte, questo il nome del serial televisivo, ai tempi si chiamavano così le serie tv, che aveva proprio in Frank Furillo, al secolo l’attore Daniel Travanti, il suo indiscusso protagonista, è stato il primo telefilm che ha talmente tanto sposato il realismo da presentarci i fatti senza il benché minimo ausilio dei filtri, un cazzotto in faccia e buonanotte ai suonatori. Niente ironia, come magari accadeva nel Mash di Alan Alda, telefilm spin-off dell’omonimo lungometraggio di Robert Altman che raccontava le vicende di un gruppo di medici dell’esercito americano impegnati in Corea durante la guerra. Niente rassicuranti storie familiari, o quantomeno d’amore, della serie, almeno a casa le cose van bene, anche se il lavoro è una merda (qui l’elenco è troppo lungo). Niente appigli forniti dall’impossibilità della trama, come magari sarebbe accaduto in seguito con X-Files, dove anche il commuoversi per la scomparsa della sorella di Fox Maulder, in fondo, suonerà finto, perché tanto lo sappiamo tutti che gli alieni non esistono realmente, o almeno vogliamo continuare a ripetercelo ossessivamente. Niente, arriva l’adolescenza e con lei Frank Furillo, e così di colpo capisci un sacco di cose, nessuna delle quali piacevole. Un piccolo prontuario di cosa sarebbe poi stata l’età adulta, a saperlo per tempo. Primo, che le storie spesso finiscono male. Secondo, che l’acne che ti devasta il viso, quella che il tuo dermatologo si ostina a chiamare acne giovanile, starà ancora lì superati i venti, i trenta, i quaranta e anche i cinquanta, certo coperta dalla barba, ma presente lì sotto, a dimostrazione che anche i dermatologi, proprio come i commissari di polizia del distretto di Hill Street, a volte non ci capiscono un cazzo. Terzo, che queste due prime considerazioni, a volte, possono essere strettamente correlate tra loro, specie quando vuoi cercare di far colpo su una tua compagna di classe con gli occhi cristallini e due tette enormi che, però, non ti fila di striscio proprio, questo pensi al momento, per il tuo aspetto vagamente bukowskiano (ma all’epoca non hai neanche idea di chi sia Bukowski, il che credo sia fondamentalmente un bene). Quarto, e lo so che in genere ci si ferma al tre, ma mica ho stabilito io l’ordine delle cose, diamine, che spesso le storie finiscono male a prescindere dall’acne giovanile, dalle serie televisive con i loro detective acciaccati e tristi, dalla tua compagna di classe con gli occhi cristallini e le tette enormi che non ti si fila. Questa, in fondo, è la vita, ti insegneranno presto gli adulti e, meno empaticamente, i fatti. I segni dell’acne, che presto potrai anche indossare con un certo agio, sicuro di un carattere che non si fa certo fregare dall’aspetto esteriore, verranno sostituiti da quelli meno visibili ma molto più dolorosi delle cicatrici, metaforiche e non che la vita, appunto, si premurerà di lasciarti addosso a ogni piè sospinto, manco si trattasse di un suo preciso dovere morale. Il disincanto, lo stesso disincanto di Frank Furillo, il detective alcolista del distretto di Hill Street, si farà largo in te, quanto di più lontano da un detective, anche da un alcolista, a tratti, andando a sostituire quell’insano ottimismo che ti aveva fatto credere, povero coglione, che il distintivo lanciato da Strasky e Hutch, tu che così tanto ti identificavi in Starsky, come te riccio in un mondo pieno di gente coi capelli lisci, fosse un gesto liberatorio, e non un’ammissione di sconfitta. In poche parole, la melanconia di More than I can bear dei Matt Bianco, unica band a vostra memoria che poteva vantare in line-up una cantante polacca, tale Basia, anche se quella era l’epoca dei Wojtila e dei Solidarnosc, verrà sostituita dal furore synthpop di Duel dei Propaganda, con quella frase, “tu cominci a sanguinare, io comincio a gridare” che diventerà, in qualche modo, il tuo inno per tutti i seguenti anni Ottanta (e, diciamolo pure, la tua compagna di classe, quella che non ti si filava, verrà sostituita, nei tuoi sogni erotici, da Claudia Brucken, la cantante tedesca dei Propaganda, che proprio in quei tempi si sarebbe sposata Paul Morley, in seguito tuo personale Yoda, in buona compagnia, Claudia, della Nastassia Kinski del Bacio della pantera e di Annie Lennox, tutte ragazze senza tette enormi, lo sappia la tua ex compagna di classe).
Oggi, come il Frank Furillo che guardavi dentro la televisione in bianco e nero della camera dei tuoi, vivi senza troppe prospettive per il futuro, almeno per te. Speri molto che le cose cambieranno, perché i tuoi figli se lo meritano e sei intenzionato a fare di tutto perché almeno i loro sogni siano realizzati. Te lo saresti meritato anche tu un futuro migliore, un presente migliore, ma t’ha detto male, come con l’acne giovanile, in qualche modo, hai cominciato a fartene una ragione. Oggi che ti puoi permettere i baffi a manubrio di un Paddy McAloon, più vicino al tuo spirito di quanto non lo sia mai stato il ciuffo fintamente ribelle di un Kurt Maloo qualsiasi, il capitano del mio cuore, Dio santo, non puoi non ripensare a Frank Furillo e concludere che la vita non va sempre come vuoi, sempre dove vuoi. Solo a questo punto, come se qualcuno, a tua insaputa, avesse deciso di farti un’ispezione rettale senza star lì tanto ad andare per il sottile, accadrà anche questo, nella tua vita, stai sereno, realizzi che hai cominciato a ragionare con le parole di un brano di Raf, e dopo un primo momento di riso nervoso e incontenibile, capisci che davvero è arrivato il momento di metterci una pezza. Nel senso, va bene il disincanto, va bene la mancanza di prospettive per il futuro, va bene l’abitudine all’acne e anche questo tuo continuare a far riferimento all’iconografia anni Ottanta, ma parlare con le parole di Raf, sant’Iddio, no, questo è troppo. E allora, visto che intorno a te tutto sembra confermare che l’Armageddon è dietro l’angolo, sono due anni che tutto sembra confermare questa tesi che tu avevi cautamente provato a portare sotto gli occhi di tutti in tempi non sospetti, e non c’è certo bisogno di tirare in ballo il riscaldamento climatico o la pandemia, i segni erano belli evidenti anche prima. Visto che, questa è solo apparentemente una notazione a margine, Hill street giorno e notte si intitolava in origine Hill Street Blues, perché la musica non poteva star fuori da una serie televisiva tanto rivoluzionaria e men che meno da un mio testo scritto, come un novello Frank Furillo, acciaccato sì, sobrio e comunque malconcio, ma del tutto intenzionato a far vincere il bene sul male, malgrado tutto, chiudi questo tuo scritto con un colpo di reni, come quando da ragazzino si decideva di chiudere una partita a pallone, una di quelle partite a pallone che magari erano andate avanti tutto il pomeriggio, quando ancora le tette enormi della tua compagna di classe non avevano intercettato il tuo interesse, con un tradizionale “ultima azione”, intendendo con questo un sottinteso “si continua finché la palla no va fuori”, facendo quello che in fondo è il tuo vero mestiere, cioè il critico musicale, uno scrittore che si occupa di musica e che quando intercetta un talento non può certo star lì a tenerselo per sé.
Ecco, ti dici, stavolta alla fine il bene trionfa. Stavolta Fox Maulder riabbraccia sua sorella. Stavolta l’acne scompare magicamente dal tuo viso, e non sei più costretto a interpretare l’outsider Ian Solo, ma per conquistare la principessa Leia puoi anche ambire al visino perfetto di Luke Skywalker, una volta tanto insignificante ma bello. Mica puoi aver sprecato tutte queste frasi declinate nella seconda persona singolare per niente.
Sì, stavolta è la volta buona.
Stavolta al Premio Bianca D’Aponte, giunto alla diciassettesima edizione in quel di Aversa, città natale della cantautrice scomparsa a soli ventitré anni cui i genitori hanno voluto intitolare uno dei momenti più preziosi della musica italiana tutta, non solo d’autore, con gli aggettivi, ma anche leggera, come solo la musica sa e dovrebbe sapere essere anche quando si prende incarico di veicolare messaggi e emozioni, ecco, stavolta al Premio Bianca D’Aponte ci sei tornato in presenza, dopo aver saltato la sedicesima edizione, recuperata causa Covid19 nel luglio scorso. Ci sei andato condividendo un viaggio in treno con vecchi e nuovi amici, da Kaballà a Carlo Marrale, passando per Cheope, Tricarico, i fratelli Avogadro e Roberto Trinci, hai poi incontrato tanta bella gente lì, a partire proprio da Gaetano D’Aponte e sua moglie Giovanna e l’instancabile Gennaro Gatto, e hai potuto ascoltare tante e tante artiste di talento, questo l’elenco completo: Anna e l’Appartamento, Roberta De Gaetano, Mariana Faieta, Giove, Isotta, Olivia XX, Alessandra Pirrone, Valentina Polinori, Claudia Salvini e Vitto, su due dei quali, sono in giuria, tocca pure fare una dichiarazione pubblica, mi sento di scommettere già dal treno, Anna e L’Appartamento, che ricordiamo ha in qualche modo esordito proprio qui, a Attico Monina, nel Sanremo 2020, e Olivia XX, talentuosa cantautrice e autrice conto terzi. Hai anche incontrato artisti che stimi e stimi da sempre, a partire da Cristina Donà, amica di lunga data presto fuori col suo nuovo attesissimo album, e fresca della pubblicazione del singolo Colpa, le tre artiste che ora girano sotto il nome Le cantautrici, Mariella Nava, Rossana Casale e Grazia di Michele, Mannarino, anche lui fuori con un album davvero interessante, V, Giovanni Truppi, i già citati Carlo Marrale, Kaballà e Tricarico, con Jennà Romano, Tony Canto, Marco Martinelli e il duo Still Life, il tutto introdotto dalla vincitrice della sedicesima edizione, Monica Sannino. E poi il direttore artistico, Ferruccio Spinetti, erede del lavoro sapiente del compianto Fausto Mesolella, e la madrina di questa edizione, l’incantevole Chiara Civello, capace di non farmi mancare la mia assenza a Sanremo, a sentire Marisa Monte. Insomma, qualcosa da non perdere, di cui scrivi al passato anche se in realtà dovresti scriverne al futuro, perché ancora nulla di quello che hai scritto è ancora accaduto, avrai poi modo di farne un resoconto. Anzi, se capitaste da quelle parti, e per quelle parti intendi Aversa, sabato 23 ottobre alle 10, presso il Teatro Cimarosa. Sarà possibile vederti conversare con Daniela Esposito del tuo libro Cantami Godiva, mica per caso una raccolta di scritti sul femminile in musica, il corpo delle donne nelle canzoni e anche il Premio Bianca D’Aponte, ovviamente. Di questo scrivi al futuro solo perché invitare qualcuno a un evento passato è dura, anche per chi ama giocare con le parole come te, che poi sarei io… insomma, ci siamo capiti.
Frank Furillo non aveva ragione, o almeno non lo aveva incondizionatamente, ti viene da pensare, mentre assapori un ritorno alla vita, o almeno alla parte della tua vita lavorativa che contempla la socialità e il mettersi in movimento. E sappiate che questo non è un happy ending, ma l’inizio di qualcosa di grande, perché, Raf cantava esattamente il contrario, a riprova che non è che fosse poi così infallibile, Raf, lo hai già tirato in ballo anche troppe volte, a volte la vita va anche come vuoi.