Sembra alquanto improbabile che la quinta stagione di Black Mirror, in streaming su Netflix dal 5 giugno, possa essere ricordata come la migliore. I dubbi sorgono già con il primo episodio, intitolato Striking Vipers, frutto del lavoro congiunto del creatore Charlie Brooker e del regista Owen Harris, già al lavoro su San Junipero.
La storia è quella di Danny (Anthony Mackie) e Karl (Yahya Abdul-Mateen II), migliori amici in tempi di gioventù e poi sempre più distanti col passare del tempo. Dopo una breve sequenza iniziale, in cui vediamo i due condividere l’appartamento e la passione per i videogiochi picchiaduro, la narrazione fa un salto in avanti di 11 anni.
Si ritrovano quindi alla soglia dei 38 anni alla festa di compleanno di Danny. Il regalo di Karl è un omaggio ai bei tempi andati: Viper X, versione ultramoderna del videogioco che hanno tanto amato e che adesso proietta i giocatori in un’incredibile realtà virtuale.
Danny e Karl conducono vite diametralmente opposte. Il primo è sposato con la storica fidanzata, Theo (Nicole Beharie), e ha un figlio, un lavoro noioso e una quotidianità suburbana piatta da morire. Il secondo ha rotto con la compagna di vecchia data e adesso si comporta da eterno ragazzo, mantenendosi in forma e frequentando una donna attraente ma parecchio più giovane di lui.
I due si trovano quindi in posizioni contrarie, con aspettative e responsabilità diverse, ma sono accomunati da un inespresso eppure percepibile senso di insoddisfazione. È piuttosto naturale, quindi, che si ritrovino in breve a condividere le notti insonni giocando a distanza al videogioco Viper X.
A differenza della versione di 11 anni prima, il nuovo capitolo della saga sfrutta un futuristico marchingegno di realtà simulata perché le persone possano sentire sulla propria pelle le sensazioni fisiche del combattimento fra i propri personaggi.
Il salto nel mondo del videogioco diventa un simbolico passaggio dalla realtà costrittiva delle cose a una più libera percezione di sé. Ai due bastano pochi minuti per avvertire un’improvvisa quanto irrefrenabile attrazione reciproca, consumata nei panni dei rispettivi personaggi nonostante un iniziale sentimento di paura e confusione.
In questo senso il messaggio è chiaro: vivere al riparo di un’identità virtuale permette di immaginare una versione diversa di sé e cedere già inconsciamente al richiamo di una pulsione sepolta.
Il potenziale di questa intuizione potrebbe essere enorme e stimolare un insolito percorso di scoperta interiore, ma purtroppo Striking Vipers si limita ad accarezzare l’idea senza darvi corpo. In una scena significativa il personaggio di Karl arriva persino ad ammettere che il corpo femminile amplifica le sue percezioni fisiche, come un’orchestra rispetto a un singolo strumento. Ma, ancora una volta, il peso di una simile dichiarazione per l’esplorazione dell’identità di genere viene squalificato dalla rassicurazione che non c’è nulla di davvero gay in tutto questo.
Di certo Brooker ha delle buone intenzioni e Striking Vipers ambisce a una riflessione sui generis sul desiderio e la scoperta di sé. Però è difficile riuscire a essere incisivi se si giocicchia impacciati con un tema anziché dedicarvi il tempo e l’attenzione che merita.
Il risultato, quindi, è che il primo episodio di Black Mirror 5 accenna una indagine del desiderio senza etichette per poi ripiegare nella più banale eteronormatività. Perché rassicurare personaggi e spettatori che questa faccenda non è davvero gay, così che Danny e Karl possano tornare alla monotona ma confortante comodità delle proprie relazioni eterosessuali, è una perfetta ritirata spagnola.
Pur volendo provare a dedurre che il reale messaggio di fondo sia l’importanza di concedersi la libertà di sperimentare, resterebbe comunque la domanda: che senso ha una scoperta del genere, se non mette in discussione alcun aspetto della vita quotidiana di una persona?
Striking Vipers è inoltre azzoppata dal piattume del suo materiale umano. Daniel è un personaggio di incomparabile noia, un uomo ancora giovane ma stroncato da una verve prossima allo zero. Theo ribolle forse di una qualche forma di vitalità, che però sfuma nella quotidianità castrante della vita familiare e relazionale. Karl, infine, è decisamente più vivace, ma non trova nessuno che possa tenere il passo della sua esuberanza.
L’ultima vera occasione di risollevare le sorti di Striking Vipers si presenta con il confronto finale tra Daniel e Karl. Peccato che, guarda caso, il verdetto sia tutto a favore di un comodo, banale, prevedibile ripiegamento sulle dinamiche familiari e relazionali eterosessuali.
Insomma, il primo episodio di Black Mirror 5 non sarà un completo disastro, ma non può vantare alcuna pretesa di rilevanza. Per farlo avrebbe dovuto prendersi il disturbo di esaminare le implicazioni emotive delle azioni dei suoi personaggi, anziché schivarle completamente per motivi poco comprensibili.
Articolo, a mio dire, permeato di una certa venatura ideologica – quasi fosse volto a condannare l'”eteronormatività”, quando poi abbiamo anche San Junipero su BM – quando in realtà il discorso procede altrove.
A mio dire uno degli episodi meglio riusciti della stagione: concordo con il titolo, “il ritratto deludente” di un’umanità ormai diventata incapace di provare emozioni reali, che preferisce riviverle sul digitale, che vuole vivere sensazioni sconosciute e fuggire dalla noia ad ogni costo, al punto da far entrare la tecnologia dentro di sé.
Il ritratto di una coppia al collasso e di un uomo prigioniero della noia: di un annoiato Daniel, vittima della quotidianità, e di una Theo consumata dalla gravidanza e dalla vita familiare, ed un Karl eterno adolescente annoiato che cerca di vivere emozioni sempre più nuove che la vita reale non gli sa più dare.
Al punto che anche laddove si cerca di capire se effettivamente ci sia sentimento latente tra i due protagonisti, si arriva alla delusione che ormai la vita reale non dà più nulla a loro, e che è meglio invece ricercare quel piacere con la mente e con lo spirito in un’altra dimensione, immedesimandosi in altri corpi e in altri soggetti. Quasi come se quella vita di tutti i giorni fosse una gabbia dalla quale è impossibile uscire.
Il ritratto di un’umanità ormai non più umana.
Secondo me è uno dei migliori episodi, solo per l’idea. Ma mi ha stupito e divertito parecchio..
fa pensare.
Ricordiamoci che è fiction, non esiste nietne del genere.