Forse l’immagine simbolo che rimarrà a questi Oscar 2019 è quella di Spike Lee che, sin dal red carpet, mostra due vistosi anelli alle mani con le scritte “Love” e “Hate”. Si tratta di una citazione del suo capolavoro Fa’ la cosa giusta, ma forse anche di una metafora relativa a un paese come gli Stati Uniti, e non solo quello, spaccato tra sentimenti contrastanti. Perché lontano dal palco del Dolby Theatre, sul quale viene premiato come miglior film l’ottimista Green Book di Peter Farrelly, un racconto che trova una facile via di buon senso per mettere d’accordo un bianco italoamericano e un musicista nero, la realtà è più contraddittoria e sfumata, con la sua mescolanza di amore e odio, leader politici che vogliono erigere muri e persone che, fortunatamente, vogliono invece abbattere steccati e aprire porte al dialogo.
E Spike Lee con BlacKkKlansman, racconta esattamente questo paese confuso, in cui è possibile che un poliziotto nero si finga bianco per entrare nel Ku Klux Klan – dove si usano slogan sinistri e inequivocabilmente contemporanei, “America First”, “Make America Great Again” -, aiutato da un collega di origine ebraica che si finge razzista.
Con BlacKkKlansman Spike Lee agli Oscar 2019 ha finalmente acciuffato la sua prima statuetta competitiva, dopo che per trent’anni l’Academy ha scandalosamente sottovalutato il suo talento, riservandogli solo le briciole di pochissime nomination e un Oscar onorario poco riparatore nel 2015. Quest’anno invece sono arrivate tre candidature importanti, miglior film, regia e sceneggiatura non originale: e proprio quest’ultima ha portato finalmente la statuetta – in condominio con altri tre autori uno dei quali, Kevin Willmott, nero – annunciata da un raggiante Samuel Jackson in braccio al quale Spike Lee è letteralmente saltato, in uno dei pochi momenti autenticamente spontanei di una serata ingessata e noiosetta. E nel suo discorso di ringraziamento, Spike ha reso omaggio “a tutti i nostri antenati che hanno costruito questo paese sopportando un lungo genocidio”, ricordando poi che “le elezioni del 2020 sono dietro l’angolo. E dunque facciamo la cosa giusta, scegliamo l’amore invece dell’odio”.
Spike Lee hops on Sam Jackson pic.twitter.com/2HEUG5mV0j
— CJ Fogler (@cjzero) February 25, 2019
Spike Lee ha guidato una pattuglia di film e di artisti neri mai così nutrita, che possono a buon titolo essere considerati i veri vincitori di questi Oscar 2019, il segnale più incisivo della cerimonia. Basta ripercorrere i numeri della vigilia: 6 nomination a BlacKkKlansman, 7 a Black Panther di Ryan Coogler, il primo blockbuster nero da oltre un miliardo di dollari della storia di Hollywood, un vero caso politico e di costume negli Stati Uniti, con la sua storia che parla esplicitamente di riscatto e orgoglio nero.
E poi, due nomination per Se la strada potesse parlare del regista nero Barry Jenkins, cui aggiungere il candidato come miglior film d’animazione, favoritissimo e infatti vincente, Spider-Man – Un nuovo universo, la storia di un Uomo ragno di colore, diretta, tra gli altri, dal nero Peter Ramsey. In chiusura va ricordato lo stesso Green Book che, seppure su note più dolciastre, è comunque un film che parla di razzismo e rivalse possibili, capace di collezionare 5 nomination pesanti, dal film alla sceneggiatura originale all’attore non protagonista (che sono anche le tre statuette vinte dal film).
Al drappello dei film vanno aggiunte le candidature individuali degli artisti neri: ben 17, non limitate alle singole presenze di un attore o un’attrice. Tutt’altro. Stavolta parliamo di nomination per la miglior canzone (un quartetto di autori guidato da Kendrick Lamar), di categorie tecniche, di uomini e soprattutto di donne. Diverse tra queste candidature si sono tradotte in statuette, a conferma di un cambiamento in atto nelle politiche dell’Academy, già annunciato dalle nomine in massa di nuovi membri votanti che hanno portato la rappresentanza di colore, in soli tre anni, dall’8 al 16 percento.
Scorriamoli i nomi di questi artisti neri premiati, non sorprendendoci per la sostanziosa presenza femminile, che ha portato a casa ben tre statuette. La prima è stata Regina King, favorita e alla fine vincente come migliore attrice non protagonista per Se la strada potesse parlare, che nel commosso discorso ha giustamente ricordato la figura tutt’altro che conciliante di James Baldwin, influente scrittore omosessuale nero autore del romanzo da cui è tratto il film.
Dopo di lei, una coppia di donne nere premiate per delle categorie tecniche, qualcosa di assolutamente inedito nella storia degli Oscar: la costumista Ruth E. Carter, una delle più rispettate professioniste del suo settore, che alla terza nomination dopo Malcom X di Spike Lee e Amistad di Spielberg, ha vinto finalmente per Black Panther, ringraziando prima di tutto proprio Lee, e poi aggiungendo che “la Marvel ha creato il primo supereroe nero, ma coi nostri costumi noi l’abbiamo trasformato in un re africano”. Dopo è stata la volta di Hannah Beachler, che insieme a Jay Hart ha vinto, anche lei per Black Panther, il premio per la scenografia.
Poi è stata la volta di un altro successo storico, quello di Mahershala Ali, che ha vinto, come da previsione, la statuetta come miglior attore non protagonista per Green Book. Ed è la seconda volta per lui che aveva già trionfato due anni fa nella stessa categoria per Moonlight, diventando così il secondo uomo di colore nella storia dell’Academy ad aver vinto due statuette, dopo Denzel Washington.
Mahershala Ali dedicates his win to his grandmother, “telling me that if at first I don’t succeed, try, try again. I can do anything I put my mind to.” https://t.co/JMSVfr5VhY #oscars pic.twitter.com/LDOUrNuFZ7
— Hollywood Reporter (@THR) February 25, 2019
Si tratta del suggello di un’edizione senza precedenti per la comunità afroamericana. Perché sì, è vero che non è giunto né l’agognato premio per il miglior film a Black Panther né la regia a Spike Lee. Ma il numero, la varietà e la rappresentatività dei successi ottenuti, fanno ragionevolmente pensare che, visti anche i mutati equilibri all’interno dell’Academy – dove i votanti non sono più solo maschi bianchi anziani, ma donne, giovani, persone appartenenti alle minoranze -, quanto è accaduto agli Oscar 2019 non debba restare un evento estemporaneo, ma costituisca il risultato di un trend consolidato. Destinato a crescere.
Ecco la lista completa delle nomination individuali e delle statuette vinte da artisti di colore agli Oscar 2019:
Miglior film
BlacKkKlansman: Jordan Peele, Spike Lee
Miglior regia
Spike Lee, BlacKkKlansman
Migliore attrice non protagonista
Regina King, Se la strada potesse parlare [Vincitrice]
Miglior attore non protagonista
Mahershala Ali, Green Book [Vincitore]
Sceneggiatura non originale
BlacKkKlansman, Kevin Willmott, Spike Lee (condivisa con Charlie Wachtel e David Rabinowitz) [Vincitori]
Se la strada potesse parlare, Barry Jenkins
Miglior film d’animazione
Spider-Man – Un nuovo universo, Peter Ramsey (coregia con Bob Persichetti e Rodney Rothman) [Vincitore]
Migliore Scenografia
Black Panther, Hannah Beachler (condivisa con Jay Hart) [Vincitore]
Migliori Costumi
Black Panther, Ruth E. Carter [Vincitore]
Migliore Colonna sonora
BlacKkKlansman, Terence Blanchard
Migliore Canzone
All the Stars, da Black Panther, Mark Spears, Kendrick Lamar, Anthony Tiffith, Solana Rowe (SZA)
Migliore Documentario
Hale County This Morning, This Evening, di RaMell Ross (condivisa coi produttori Joslyn Barnes e Su Kim)