Quello del collasso di Keith Moon fu un episodio tragico. Il batterista dei The Who era ben noto per le sue stravaganze: quel tuffo in piscina all’interno di una Lincoln Continental fu talmente rock’n’roll da ispirare la copertina di Be Here Now degli Oasis; in un’altra occasione pagò 9 tassisti affinché bloccassero la strada sotto il suo albergo per poter lanciare oggetti dalla finestra senza mietere vittime. Indimenticabile, infine, quella volta in cui fece detonare la sua grancasse durante l’esibizione di My Generation in televisione.
Ci fu, poi, quella storia del collasso. Il 20 novembre 1973, come ogni volta, Keith arrivò nervoso al concerto. Gli Who erano attesi al Cow Palace di San Francisco. Il batterista arrivò a braccetto con una fan. Come spesso accade negli aneddoti che riempiono la storia del rock, da questo momento in poi ciò che accadde è stato sempre oggetto di speculazioni. La giovane ragazza offrì un drink a Keith Moon, un bel bicchiere di brandy che il batterista mandò giù senza indugi. Poco dopo salì sul palco e iniziarono i problemi.
Nel bel mezzo dello show Keith collassò sulle note di Won’t Get Fooled Again e crollò all’indietro. I roadies lo trascinarono nel backstage e chiamarono il medico. Rianimato, Keith Moon si riprese e tornò sul palco, ma collassò nuovamente e Roger Daltrey lo trascinò fuori. A quel punto la band rimase senza batterista, dunque il chitarrista Pete Townshend pensò di coinvolgere il pubblico chiede se “qualcuno bravo a suonare” fosse in grado di prendere il posto di Moon almeno fino alla fine dello show.
Così entrò in scena Scott Halpin, un 19enne di Monterey, sospinto dal suo amico: “Non faceva che dirmi: ‘Vai tu, puoi suonare'”. Ma cos’era successo a Keith? Secondo i più, all’interno di quel drink qualcuno – la stessa fan, forse? – aveva inserito del tranquillante per cavalli.