Nel settembre 1966 il telefono del capo ufficio stampa dei Beatles Tony Barrow squillò insistentemente. Tutti gli chiedevano notizie sulla morte di Paul McCartney. Come? Cosa? Le notizie erano confuse: c’era chi sosteneva che si fosse schiantato con la macchina mentre guidava sotto effetto di marijuana, chi collocava l’incidente in un giorno non meglio specificato e chi parlava di un motorino. Dall’altro capo del telefono di Barrow c’erano i quotidiani inglesi. Cosa chiedevano? Volevano la conferma sulla morte di Macca, ovviamente, e Barrow smentì categoricamente.
Il 23 settembre 1969 – 3 anni dopo quelle telefonate moleste – il Northern Star pubblicò la notizia e scrisse che il bassista dei Beatles era stato sostituito da un sosia, William Campbell. Nessuna conferma, ma ora quella bufala era arrivata sui giornali e con quel titolo del Northern Star trovò la sua prima ufficialità.
Una bufala che trovò foraggio il 12 ottobre 1969, quando lo speaker radiofonico Russell Gibb riferì di aver ricevuto la telefonata di un certo Tom il quale ritornava sulla morte di Paul McCartney e suggerì di cercare indizi nei dischi dei Beatles. Fu l’inizio ufficiale del complottismo e della lunga storia del PID, la teoria del Paul Is Dead. C’era chi giurava di trovare indizi sulla copertina dell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, nel brano Revolution 9 del White Album, nelle copertine di Let It Be e Abbey Road e in tantissimi altri brani come She’s Leaving Home.
A più riprese sia lo stesso Paul che i suoi collaboratori smentirono questa voce, fino a quando l’artista venne fuori dal suo ranch in Scozia per rompere il silenzio. Era il 7 novembre 1969 e Life pubblicò un’intervista dal titolo: “Paul Is Still With Us” con la parole del bassista:
“Forse la voce ha cominciato a diffondersi perché non sono apparso molto sui giornali ultimamente. Sono stato assediato dai giornalisti per una vita intera, e non ho niente da dire in questi giorni. Sono felice di stare insieme alla famiglia e lavorerò quando avrò voglia di lavorare”.
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