Tutti Vogliono Un Fenomeno è il libro con il quale Michele Monina racconta Fabri Fibra. Non lo fa, il noto critico e scrittore, con l’occhio del biografo. Le biografie, racconta Michele, appartengono a Wikipedia e ai social in cui i famosi documentano interamente la loro vita. Il libro è piuttosto uno sguardo sulla fenomenologia del rapper di Senigallia, che con l’autore condivide la provenienza marchigiana e quel suo modo di vivere sempre un po’ in disparte rispetto ai colleghi. OM lo ha intervistato.
Michele, perché un libro su Fabri Fibra?
I motivi sono due, uno è cinico: l’editore me lo ha chiesto; il secondo è pratico. Io da anni scrivo biografie che in realtà sono fenomenologie. Questo perché da quando esistono Wikipedia e, un po’ più tardi, i social, le biografie dei personaggi famosi sono presenti tutti i giorni. Una fenomenologia è il modo in cui l’artista si pone nel proprio tempo. Fibra mi sembrava, nel mondo del rap, la figura più interessante. Anzi, sono due gli artisti che hanno segnato il mondo del rap. Un anno prima di lui Mondo Marcio è stato uno che partito dal basso per poi arrivare primo in classifica e rimanerci. In altri anni il rap è stato gli Articolo 31, Frankie Hi-NRG: facevano il picco in classifica ma poco dopo al loro posto arrivava altra musica. Con Fabri Fibra il rap non scompare più. Prima, se usciva un pezzo degli Articolo 31, dovevi scrivere un paragrafo a parte per spiegare ai lettori cosa fosse il rap.
Facciamo finta che qualcuno non conosca Fabri Fibra e scelga di iniziarsi alla sua musica. Da quale disco gli consigli di partire?
Dipende dall’età anagrafica. Se parlo di me dico sicuramente Mr Simpatia, che ha portato a Tradimento. È l’album della carriera underground di Fabri Fibra che ha avuto un maggior impatto nella storia del rap italiano. Il politicamente scorretto e la provocazione di quell’album possono piacere certamente ai ragazzi di oggi, mentre a uno della mia età consiglio gli ultimi lavori come Caos, che è il disco di un adulto che non fa finta di non essere un adulto.
Fabrizio ti ha dato un feedback sul tuo libro?
Io e Fabrizio ci conosciamo da più di 20 anni, ma siamo entrambi molto riservati. Nei fatti non siamo amici, ma c’è stima reciproca. Una volta contestò una mia considerazione su un suo album e lo fece sul suo libro Dietrologia. Non fu un dissing, lui contestò con rispetto la mia posizione sul suo album Chi Vuol Essere Fabri Fibra? che consideravo un flop. Quando è uscito Tutti Vogliono Un Fenomeno lui ha condiviso qualche storia per promuoverlo. Quindi ha apprezzato.
Nel tuo libro leggo: “Il punk […] è stato, proprio insieme all’hip-hop, una delle due più importanti rivoluzioni culturali nel mondo globalizzato. Un fenomeno che con l’hip-hop ha molto in comune, e che in qualche modo ha ridisegnato il concetto di musicista e artista”. Come convinciamo chi non è d’accordo nell’accostare il punk e l’hip-hop?
Nei flussi di controcultura che partono dal rock’n’roll e arrivano al grunge, ogni tot anni arrivava un genere nuovo che in qualche modo sovvertiva o cambiava il genere precedente, e veniva adottato dai giovani delle nuove generazioni. Il punk, rispetto a tutti i generi precedenti, ha la caretteristica di essere pura controcultura nonché appannaggio di non musicisti. Il rap, ecco, ha gli stessi presupposti: un genere musicale fatto da non musicisti. Chi metteva le basi usava i dischi e non suonava. Gli MC non erano cantanti e anzi, a differenza dei punk erano talentuosi. Il punk partiva dall’idea che chiunque può fare tutto, nel rap chi metteva la voce doveva umiliare e primeggiare sugli altri. In entrambi i casi, però, un genere musicale veniva interpretato da non musicisti. Sarebbe giusto accettarlo.