Tár, il film di Todd Field non è all’altezza della sua protagonista Cate Blanchett

Senza la magnifica interpretazione dell’attrice, si vedrebbero con chiarezza i limiti di un’opera pretenziosa, che ha la forma ma non la sostanza del film d’autore. Dal 9 febbraio in sala

Tár

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Per comprendere quel che non va nel celebratoTár scritto e diretto da Todd Field, uno dei film di punta della stagione – sei candidature all’Oscar e una messe di riconoscimenti, in primo luogo per la titanica prova d’attrice di Cate Blanchett nella parte della direttrice, anzi direttore d’orchestra Lydia Tár – c’è bisogno di una premessa.

E partire da una bellissima commedia di Preston Sturges del 1948, Infedelmente Tua. Che ha per protagonista un direttore d’orchestra interpretato da Rex Harrison. La vera protagonista però è la musica. Sequenza delle prove dell’Overture della Semiramide di Gioacchino Rossini: un inserviente sta spazzando il retropalco della sala da concerto, l’attacco dell’orchestra è talmente potente da fargli saltare la scopa di mano. E lì già lo spettatore ha capito la forza tangibile, fisica della partitura. Solo a quel punto l’inquadratura rivela il teatro, in un lungo piano sequenza che mostra tutti gli orchestrali – con la camera che si muove musicalmente assorbendo il ritmo delle note – giungendo alla fine al direttore. A chiusura una gag fulminante: a un timpanista timido che suona piano per paura di essere volgare, Rex Harrison, continuando a dirigere, intima di “essere volgare” e fargli sentire il suo strumento: e allora lui prende due piatti giganteschi che producono un suono fragoroso.

In non più di cinque minuti viene spiegato con chiarezza e senza didasclismi che cos’è la musica, qualcosa di viscerale che ha a che vedere con passione e desiderio. Questa cosa Tár non ce la mostra praticamente mai, basti vedere il modo in cui vengono filmate prove e concerti, sempre a piccoli brandelli, senza alcun linguaggio visivo specifico. Sturges non ha paura di prendersi tutti il tempo necessario; paradossalmente invece Todd Field pare non averne mai di tempo per la musica, nonostante le interminabili 2 ore e quaranta del suo film.

Importa semmai la protagonista, la cui carriera nella prima scena è ripercorsa da un intervistatore – Adam Gopnik del New Yorker nella parte di sé stesso –, il quale a un incontro pubblico snocciola l’impressionante curriculum dell’artista: dottorato in etnomusicologia, vittoria dell’Egot, conduzione delle più prestigiose orchestre del mondo – ora ovviamente dirige i Berliner Philharmoniker –, creazione di un programma per promuovere il ruolo delle donne nella musica.

Insomma siamo già proiettati nella dimensione dell’artista bigger than life – cui la Blanchett offre una maschera giustamente ieratica, astratta e distante –, in cui l’immagine proposta della musica classica è quella canonica del luogo abitato da pochi eletti votati a una sfiancante disciplina, alla ricerca della perfezione e dell’estasi spirituale. Così, a parte qualche rapimento mistico disegnato sul volto di Lydia Tár, della passione e del piacere fisico, sensuale di cui la musica è vettore non c’è traccia nel compassato film di Todd Field, che cerca come la sua protagonista una forma perfetta, distaccata, altisonante.

Eppure Tár ha l’ambizione di raccontare anche altro, per incrinare il ritratto perfetto di questa donna e mostrarne il lato oscuro, legato a certe accuse secondo le quali il suo programma per nuovi talenti servirebbe a fornirle giovani donne da manipolare e sedurre – Lydia è lesbica e vive con la compagna, primo violino dell’orchestra, e la loro bambina Petra.

Solo che, reticente e disincarnato nel modo in cui racconta la musica, Todd Field lo è altrettanto nell’affrontare la vicenda al cuore del film. La personalità di Lydia non va molto oltre l’elenco dei successi snocciolati nel suo curriculum immacolato, non sembra esserci altro da sapere. Né il film offre la più piccola traccia per comprenderne carattere e psicologia. Nemmeno il più piccolo trasalimento che mostri al di sotto dell’immagine pubblica i moventi, sentimenti, desideri leciti o illeciti che muovono Lydia Tár, un personaggio che soffre di un deficit di scrittura che solo il talento di Cate Blanchett riesce a mascherare, con la sua capacità di rendere il più impercettibile dei gesti un dettaglio significante – il modo in cui si riavvia i capelli, ad esempio.

In questo film che vorrebbe raccontare la forza delle passioni – quelle che insieme a talento e tenacia possono condurre all’eccellenza, o viceversa possono trascinare nell’abiezione –, proprio delle passioni non c’è quasi traccia, annegata com’è la storia in quegli spazi immoti di algidi appartamenti di design, abiti di gusto minimalista, scenografie sempre all’insegna di un decoro prezioso e mortifero.

Eppure forse la sua solerte assistente che spera di far carriera (la sempre brava Noémie Merlant) è stata sua amante; forse lo è stato anche Krista, ex allieva che s’è suicidata perché rifiutata; e lo stesso trattamento potrebbe essere riservato alla violoncellista ultima arrivata e subito promossa alla ribalta del palcoscenico. Avrà o non avrà effettivamente approfittato della sua posizione di potere, il grande direttore d’orchestra che pare solo preoccupata delle minuzie dell’interpretazione della partitura e delle alte questioni dello spirito? Anche se poi ci tiene a sottolineare che un’orchestra non è un contesto democratico e solo uno comanda.

Il film non offre nessun indizio per mettere lo spettatore in condizione di, se non rispondere alla domanda, almeno inoltrarsi nell’enigma, che invece resta sbiadito ed evanescente. C’è qualche vaga allusione: Lydia distrugge la copia regalatole da non si sa chi (Krista?) di Challenge di Vita Sackville-West, romanzo basato sulla storia d’amore della scrittrice per una donna (che nel libro minaccia di suicidarsi se abbandonata); e sempre Lydia chiede alla sua assistente di distruggere le compromettenti mail di Krista. Ma per il resto Tár resta ostaggio del suo tono rarefatto, che non mostra più dell’insonnia della protagonista, le sue ossessioni igieniste, la scomparsa simbolica della partitura dell’adorata Quinta sinfonia di Mahler. Al massimo ci sono delle sequenze oniriche: buone a movimentare l’impaginazione visiva, ma non si fanno sintomo di nulla, e niente aggiungono o spiegano.

Il film pare rifugiarsi nel suo perenne riserbo, rapito dalla sua forma da film d’autore sempre alla ricerca della postura migliore. Esattamente come la protagonista, che cerca la posa perfetta per la copertina del suo prossimo disco – ovviamente per la Deutsche grammophone –, imitando vecchi scatti di von Karajan, Abbado o il suo mentore Leonard Bernstein (solo quando rivede vecchi filmati del maestro si commuove).

Eppure questa dizione tutta in sottrazione ogni tanto Tár la infrange in alcuni momenti precisi: quando Lydia critica durante una masterclass un allievo non binario che si rifiuta di eseguire brani del “misogino” Bach; o quando il suo anziano maestro mette a paragone le accuse subite da Lydia (con inevitabili ripercussioni social) col processo subito alla fine della Seconda Guerra mondiale da Wilhelm Furtwängler, che era rimasto nel suo posto di direttore d’orchestra durante gli anni del Terzo Reich hitleriano – e il parallelo tra denazificazione e Me Too non è dei più felici.

Todd Field per quel che riguarda la protagonista sospende il giudizio e mostra ogni cautela possibile – rifugiandosi nella preziosità d’uno stile ellittico –, mentre si concede affondi sbrigativi e taglienti quando parla di quello che, evidentemente, non gli piace. In entrambi i casi il film resta apodittico: da un lato perché dice troppo poco, dall’altro perché trae conclusioni affrettate. Quando invece su alcune questioni spinose al centro del dibattito contemporaneo – il politicamente corretto, o se un’opera d’arte vada giudicata, ed eventualmente censurata, sulla base della presunta moralità del suo autore – sarebbe opportuno discutere offrendo contributi argomentati. Di cui qui non c’è traccia. Così si resta a osservare i pezzi sparsi di un personaggio che non diventa mai tale per mancanza di una struttura e una progressione narrativa capace di regalare a Lydia Tár la coerenza psicologica ed emotiva di cui avrebbe bisogno per diventare davvero memorabile ed esemplare.

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