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Home Musica

Rush! dei Maneskin, il pop-rock e i suoi fardelli (recensione)

I Maneskin sanno come muoversi nel mainstream, e lo dimostrano con questo disco rivolto esclusivamente al loro pubblico. La nostra recensione

di Luca Mastinu
20/01/2023
starstarno starno starno star
rush dei maneskin

Ph: Ilaria Ieie

Probabilmente Rush! dei Maneskin è stato uno dei dischi più attesi del 2023, e i grandi numeri già online dal momento della pubblicazione lo dimostrano. Dopo Mammamia, Supermodel, The Loneliest e Gossip non si aspettava altro che sentire l’intero nuovo progetto discografico della band romana.

Chi si aspetta una maturazione, ovviamente, rimarrà deluso: Rush! è semplicemente il nuovo disco dei Maneskin, con tutti i crismi che il mondo mainstream comporta. Su questo non possiamo che essere d’accordo con Manuel Agnelli, che a Rockol ha riferito che la band di Damiano David è semplicemente un prodotto mainstream con tutto ciò che questo comporta, il tutto ben distante dal concetto di rock.

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17 tracce in cui la batteria di Ethan Torchio e le schitarrate di Thomas Raggi – il cui groove è stato benedetto anche da David Carelse di Chitarra Facile, non certo uno qualunque – sono ben presenti, ma finalmente sentiamo maggiormente la presenza di Victoria De Angelis, specialmente nella ballatona retorica Il Dono Della Vita.

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L’errore che commettiamo tutti è quello di analizzare un prodotto giovane con il metro dei classici, una misura che non può reggere quando il contesto storico, discografico, di mercato e fruizione è ben diverso dagli anni ’60. Numerose le tracce che subiscono il fascino di I Wanna Be Your Slave, a partire dalla già nota Mammamia e continuando con Bla Bla Bla e Feel (hey, ma quello è un omaggio a Seven Nation Army?), e mettiamoci anche Don’t Wanna Sleep in cui Thomas Raggi, diciamolo, sforna il riffone.

Lo stesso riffone che ci saremmo aspettati da Gossip, vista la presenza di Tom Morello. Invece, un semplice solo col Whammy e siamo tutti contenti. Frenetica l’italiana Mark Chapman, dove i Maneskin premono sull’acceleratore e puntano al pogo, mentre per i cori da stadio dobbiamo passare a Gasoline che un po’ fa il verso ai Thirty Seconds To Mars.

La Fine è la sorella nascosta in soffitta di Zitti E Buoni, quasi un tentativo di chiudere il cerchio Sanremo-Eurovision e passare al livello successivo. Come la tradizione insegna, non manca lo shuffle violento che troviamo in Read Your Diary, ma le piccole sorprese arrivano con Kool Kids in cui tutto è spinto fino al post-punk con Damiano completamente ubriaco – lo dicono loro, non è gossip – e Timezone, dove i Maneskin tentano la strada del blues rock con un 6/8 notturno. Perché “notturno”? La risposta è nell’ascolto.

Sì, c’è anche la canzone d’amore con If Not For You con riverberi quasi inediti per i Maneskin, quasi uno specchio dentro un monolocale per creare spazio. I Maneskin subiscono il fardello di chi su questa band ha riversato aspettative rock, ma tutto ciò che il quartetto romano mette in scena è solo uno spettacolo mainstream che come tale va inteso. Pop-olare, finto provocatorio e con una tombale grattugiata di cliché.

Rush! dei Maneskin non vuole essere originale: vuole essere il nuovo disco dei Maneskin.

Continua a leggere su optimagazine.com

Tags: maneskinmusica italianamusica rock

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