Mark Zuckerberg si sfila la t-shirt e aderisce a Free The Nipple, capezzoli in libertà su Meta

Il giorno in cui si guarderà ai corpi, maschili, femminili, transgender, senza morbosità, in maniera del tutto laica, sembrano ancora lontani, ma i percorsi si fanno sempre mettendo un piede dietro l’altro


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Sono un uomo di questi tempi, pur con tutte le fatiche del caso. Per cui sto sui social. Inizialmente, come tutti, sono entrato su Facebook, questo è stato il mio primo social, per curiosità. Anche con un po’ di diffidenza, certo, ma spingo comunque dalla curiosità. Col tempo quello che sembrava un passatempo è diventato parte del lavoro, perché i social hanno in qualche modo contribuito a allargare la nostra vita sociale, è chiaro che non sono tra quanti fanno distinzioni tra la vita reale e quella virtuale, con tutte le sfumature che chiunque di voi, a meno che non siate luddisti, ben conosce. Nel caso foste luddisti, per altro, fatico a capire come possiate star qui a leggermi, dal momento che scrivo per un sito online e che scrivo per un sito online questo che è a dirla tutta un articolo su qualcosa che ai social attiene. Comunque, di fatto mi ritrovo a stare sui social da qualcosa come sedici anni, il che attesta appunto come di virtuale ci sia ben poco e come, qui potrei aprire parentesi davvero infinite, chi ancora si ostina a star fuori dai social sia in qualche modo fuori dal presente.

Comunque, andiamo avanti, in questi sedici anni sono stato bloccato su Facebook un numero piuttosto cospicuo di volte, non saprei dire esattamente quante, al punto che a un certo momento mi sono trovato costretto, costretto perché ormai i social servono davvero per il lavoro di chi, come me, fa comunicazione, a aprire un profilo di scorta, buono nel momento in cui il mio profilo principale venisse bloccato. Certo, questo con qualche inciampo tecnico, perché se a venire bloccata è la mia pagina pubblica, ho una pagina pubblica, nella quale posto solo cose di lavoro, e due private, la principale e quella di scorta, entrambe a loro volta legate a quella pubblica, se a venire bloccata è appunto la mia pagina pubblica, beh, a quel punto entrambe le due pagine private vanno in stand-by, col risultato che per un po’ posso solo osservare, senza voce. Essendo, si sarà notato, uno che tende a non usare troppo la diplomazia, quando un tempo i social erano luoghi un po’ meno violenti anche a scontrarmi, sì violentemente, con le fanbase degli artisti che criticavo, con tanto di shit storm subite e segnalazioni in massa atte proprio a bloccarmi pagina e profili, mi è capitato spesso di essere fermato da Zuckerberg non per motivi seri, ma in quanto oggetto di detti attacchi, a volte per certe risposte violente date a attacchi altrettanto violenti, e spesso, molto spesso, per aver postato immagini che, a detta sempre di Zuckerberg, erano inappropriate. Siccome non sono un pornomane, e soprattutto non scrivo di porno, potete ben immaginare che le immagini ritenute inappropriate fossero sempre e soltanto immagini che circolavano intorno alla musica, immagini che in qualche modo sfiorassero il nudo, copertine di dischi, di singoli, roba del genere, ritenute comunque inappropriate per gli standard social (Twitter, è noto, fa debita eccezione). Certo, specie su Instagram, ho a lungo postato foto che potevano essere oltre il confine del lecito, non parlo di legge, attenzione, ma appunto delle regole social, una serie di foto di popstar che giocavano con la propria immagine e il proprio corpo che accompagnavo con l’hashtag #attitudine, poi finito oggetto del mio TedX Venere senza pelliccia, incentrato sul corpo della donna nella poetica e nell’immaginario di cantanti e cantautrici italiane e straniere, ma sono sempre riuscito a scansare la censura lì, mai su Facebook. Avendo su Facebook un giro più ampio di contatti e followers, tra le tre situazioni, pagina pubblica e due pagine private, sfioro i quarantamila, le segnalazioni di qualche bigotto, o semplicemente di un qualche hater sono decisamente più probabili, e così è sempre andata. Proprio aver condiviso, più volte, la copertina del mio libro Venere senza pelliccia, quello che ha dato titolo al mio speech al TedX di Matera del 2018, la cantautrice Romina Falconi a impersonare una Venere di Milo versione Barbie, le zizze in bella vista, ha portato a più blocchi, almeno tre, durati sempre tra i tre giorni e la settimana, e sempre con la minaccia di cancellarmi gli account. Altri blocchi sono arrivati per aver condiviso un mio articolo sull’album di Amanda Palmer There Will Be No Intermission, articolo accompagnato da una immagine della copertina dell’album che la mostrava in piedi su un cippo, una spada alla San Michele Arcangelo in mano, completamente nuda, vista di fronte, con peli folti sul pube e capezzoli in bella vista. Hai voglia a specificare che stavo condividendo un articolo, non una foto, blocco e “fai attenzione, che ti cancelliamo”, come da prassi.

Sui social non si possono mostrare capezzoli, è un dato di fatto. Sui social di Zuckerberg, come su Tik Tok, ripeto, su Twitter puoi mostrarli e puoi mostrarli in un video in cui la titolare dei capezzoli si fa montare da un cavallo, mentre fa chissà cos’altro con mani e bocca. O meglio, sui social di Zuckerberg non si possono mostrare chiaramente capezzoli femminili, perché quelli maschili si possono mostrare e si possono comunque far intravedere, attraverso una maglia trasparente, come un tempo facevano Nadia Cassini, che però era più portata a mostrare il culo, e che culo, e Sidney Rome nei programmi della nostra televisione di stato. Si possono mostrare i culi, su questo c’è molta meno censura, ma i capezzoli femminili no. Poi, parlo di Tik Tok, rispetto al quale ho una conoscenza molto vaga, fatta di brevi incursioni ricorrenti, per provare a farmene affascinare, incursioni che falliscono sempre miseramente, sono probabilmente troppo vecchio per questo social, è tutto un florilegio di tette appena contenute in mini bikini, di culi, di ammiccamenti e di doppi sensi, ma niente capezzoli, almeno esplicitamente esposti, niente capezzoli femminili.

Ogni tanto capita di leggere i lai e i lamenti di chi grida allo scandalo perché è stato bloccato per aver condiviso una qualche opera artistica classica, nella quale si vedevano, appunto, capezzoli, che però erano dipinti o rappresentati statuariamente (nel senso letterale del termine), su questo Zuckerberg e i suoi social sono davvero poco flessibili e colti, direi.

Questo ha generato ogni tipo di proteste, la più nota delle quali è il movimento Free The Nipple, fermato sotto forma di manifesto dalla attrice e regista Lina Esco, da noi nota per essere l’agente della S.W.A.T. Christina Alonso nella serie tv che porta il nome di questa squadra antiterrorismo, movimento che ha provato a sottolineare come distinguere tra capezzoli femminili e maschili fosse esercitare una discriminazione sessuale, il tutto a suon di foto in cui le varie Miley Cyrus, Rihanna, la stessa Amanda Palmer, Tove Lo e altre mostravano i loro, di capezzoli, sfidando la censura forte dei loro milioni di followers, facendone parlare in articoli, speciali tv e radio. Free the Nipple, letteralmente e letterariamente Libera il Capezzolo o Capezzolo Libero. Una campagna, un manifesto, un hashtag, forte di una lieve forma di morbosità, penso a chi lo avrà usato per cercare appunto tette da guardare, oggi che le tette sono alla portata di click di chiunque, come del resto grazie o per colpa di siti come Pornhub e OnlyFans, sono alla portata di click un po’ tutto quel che si può immaginare, sapere che qualcosa è censurato esercita sempre un suo fascino, antico come è antico il mondo. Poi, del perché i capezzoli, e quindi le tette, esercitino questo particolare fascino ho parlato altrove (qui https://www.optimagazine.com/2022/11/14/dalla-parte-dei-gerbilli-levoluzione-delluomo-passa-dalle-tette/2455292), sta di fatto che su Instagram e Facebook potrebbe più facilmente capitare di incappare in un culo o un pube che in un capezzolo femminile, o forse dovrei dire, poteva più facilmente capitare. Perché, di qui questo mio tornare sul tema tette, sembra proprio che la censura ai capezzoli femminili abbia i giorni contati, almeno sui social di Zuckerberg, per quella che, fossi Ricky Gervais, potrei anche raccontare come “una questione del cazzo” (ma non sono Ricky Gervasi, è chiaro).

Il fatto è che una coppia composta da una persona trangender FtM, cioè Female to Male, nata in un corpo di donna e in transizione per diventare uominio e una persona non binaria, si è rivolto al comitato di sorveglianza del colosso californiano, comitato composto da una ventina di esperti e voluto proprio da Zuckberg nel 2020, per discriminazioni, questo perché un post apparso su Instagram che raccontava il dramma, perché di dramma evidentemente si tratta, della mastectomia nelle persone trangender FtM, atto a lanciare una raccolta di fondi per la mastectomia della persona transgender della coppia, e nel farlo hanno accompagnato i loro post con foto dei due a torso nudo, i capezzoli in realtà pixellati, fatto che ha portato a una censura e conseguente blocco dei loro profili. Il che, ovviamente, ha aperto un contenzioso: perché si possono bloccare le immagini di capezzoli di persone che, anche all’anagrafe, risultano uomini, ma, per dire, non lo si può fare durante la transizione. Discorso che ovviamente ha aperto tutta una serie di filoni paralleli, sempre in ambito trangender, ma non solo, il movimento Free The Nipple non ha mai smesso di lottare per quella che potrebbe sembrare una faccenda risibile, i benaltristi sempre all’erta, ma che nei fatti nasconde una ipocrita discriminazione sessista, e soprattutto nasconde una costante oggettificazione del corpo femminile, considerato come pericoloso, quindi da temere e stigmatizzare, in quanto altro. Il comitato ha emesso la sua “sentenza”, sostenendo che le censure dei capezzoli femminili da parte di Meta, questo il nome dell’azienda di cui fanno parte Facebook e Instagram, “si basa su una visione binaria del genere e su una distinzione tra corpi maschili e femminili”, aggiungendo che detti criteri di moderazione di Meta portano alla costruzione di “enormi barriere alla libertà di espressione di donne e persone trans e di genere non binario nelle piattaforme social”, andando quindi a indicare un cambio di marci che guardi a un futuro senza alcuna discriminazione basata sul genere.

Una piccola rivoluzione, quindi, piccola quanto un capezzolo (femminile), ma potente quanto un capezzolo femminile sembra essere. Quella che sembrava una campagna femminista che arriva a una vittoria grazie al movimento LGBTQA+, note sono le distanze che a tratti ha accompagnato i rispettivi cammini, almeno in alcune frange più radicali, e che lascia aperta la porta a un futuro quantomeno curioso.

Il giorno in cui si guarderà ai corpi, maschili, femminili, transgender e chi più ne ha più ne metta, senza morbosità, in maniera del tutto laica, sembrano ancora lontani, ma i percorsi si fanno sempre mettendo un piede dietro l’altro, non dotati come siamo di macchine per il teletrasporto, ben vengano anche questi passaggi solo apparentemente effimeri. Io sto già pronto al giorno in cui questa proposta del comitato di sorveglianza di Meta verrà accolta definitivamente e diventerà operativa per postare finalmente la copertina del mio Venere senza pelliccia, le tette di Romina Falconi in bella vista, conscio che a bloccarmi, d’ora in poi, saranno solo le segnalazione del fanclub di Laura Pausini.

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